Tuttavia è interessante osservare che questo vale principalmente per la moneta spicciola, mentre le monete d’oro e d’argento, la cui circolazione era più limitata, hanno provenienze più differenziate, a testimonianza da un lato di una maggiore tendenza alla loro tesaurizzazione, dall’altro al diverso ambito di utilizzo rispetto alle monete in rame o mistura, destinate queste alla circolazione quotidiana di gran parte della popolazione.
Ultima testimonianza ufficiale sulla circolazione monetaria nello Stato di Piombino è un editto di Jacopo VI che si riporta integralmente: “Jac°: vj Aragona d’Appiano per la Dio grã Signore di Piomb°: Dell’Isola dell’Elba | = Monte Cristo, Pianosa = | Mossi da giuste, è ben considerate ragioni, e per ridurre la valuta delle monete che corrono nella Terra, e Stato nostro di Piombino al corso delli Stati con vicini, habbiamo stabilito pigliar provedimento sopra di esse, acciocche il contrattare, e mercantare reciproco si renda più facile, e non generi confusione; Vogliamo dunque, ordiniamo, et espressamente comandiamo in virtù del presente decreto firmato di nostra propria mano, e sigillato del nostro piccolo e solito sigillo, che nel detto nostro Stato lo scudo d’oro in oro di qualsivoglia sorte cunio, o zecca, pur che sia di buono, e, giusto peso, non si prenda per più, che per quindici carlini di soldi dieci correnti per carlino come valeva prima.
Reali d’Argento di Spagna per soldi quattordici correnti per reale. Cianfroni d’argento di Napoli per lire tre, et un soldo corrente per Cianfrone. Piastre grosse d’argento di Genova battute in quella Città per lire otto l’una di questa moneta intendiamo si debbino spendere per lire sette e mezzo, e le Piastre minori di detta Città battute per lire quattro non si spendino per più che per lire tre, e, soldi quindici, parlando sempre a moneta fiorentina. Le Monete del Serenissimo Gran Duca di Toscana restino tutte nel loro proprio valore, e si spendino per lo stesso che si spendono per li Stati di S. A. Serenissimo. Tutte l’altre monete di qual si voglia valuta, sorte, Conio, Zecca, et Impronta, delle quale di sopra non ne sia fatta special mentione s’intendino, et intender si debbino in vigore di questo medesimo Decreto bandite, e prohibite, ne’ si possino spendere, accettare, o tenere da alcuna persona sottoposta al nostro Dominio, et in esso abitante, o negoziante sotto pena et alla pena di scudi dieci d’oro in oro per ciascuna volta, e, della perdita delle monete; Nella qual pena, e perdita dichiariamo così incorsi coloro che ricevono dette monete, come quelli che le pagano. Intendendo però che fatto il pagamento di tal monete bandite e proibite caschi il danno sopra il ricevitore, ma insino a che non son finite di numerare sia il risico della pena, e perdita del pagatore; La qual pena, e perdita come di sopra s’applichi per la metà alla Camera nostra fiscale, per un quarto all’Accusatore, il quale sarà tenuto segreto, e per l’altro quarto all’esecutore. Diamo nientedimeno tempo ad ogni persona che avesse di dette monete proibite tutto il di XV d’Aprile prossimo futuro 1573 a smaltirle, e levarsele d’appresso, Il qual termine passato caschi ciascuno nel medesimo pregiudizio, ordinando ad ogni nostro Governatore Vicario Commissario Podestà, Officiale Ministro e’ Rettore, che faccia esequire inviolabilmente il presente Decreto.- Dato in Ghezzano q:° dì iij di Marzo M:Dlxxiij. | Il signore di Piombino = L.O.S.= Ministro Mª: Calzetti Segretario | A di p°: d’Aprile 1574. | Becone p.m. doppo la Commissione referì a suon di Tromba haver notificato e pubblicato il soprascritto Decreto per i luoghi soliti della Terra di Piombino e con affissione alla porta del palazzo del Mco: Signor Vicario del detto Decreto”. Il documento è conservato presso l’Archivio Storico del Comune di Piombino (“Comune di Piombino, 1, Breve storia della Città e Stato di Piombino 1569, c. 176v. – 178r.).
Con il decreto si evidenzia la volontà di facilitare le operazioni di cambio, attraverso una drastica riduzione del circolante che viene limitato – con l’esclusione degli scudi d’oro “di qualsivoglia sorte cunio, o’ zecca, pur che sia di buono, e’, giusto peso” – alle piastre genovesi, ai cianfroni napoletani e ovviamente ai reali di Spagna che erano, all’epoca, la principale moneta di scambio europea. L’assenza di monetazione propria, malgrado già dal 1509 l’imperatore Massimiliano d’Austria avesse concesso a Jacopo IV lo “ius cudendi”, continua senza grandi problemi o ripercussioni sull’economia del Principato ancora fino al 1595 quando il giovane Jacopo VII inizia a battere moneta.