Ci sono tuttavia, ed è bene sottolinearle, anche delle differenze tra il dipinto e la moneta. In primo luogo, i due personaggi sono rivolti a sinistra nel quadro e a destra nel tondello; inoltre, nel dipinto è presente un secondo, piccolo angelo, appena abbozzato sullo sfondo, che non compare sulla mezza piastra. Ciò si spiega, a mio parere, con la necessità di non appesantire troppo l’iconografia di un conio che, a ben guardare, sarebbe apparso squilibrato dall’inserimento di un’altra figura. La stessa assenza di legenda fa pensare ad una scelta stilistica del medesimo tenore. Una figura conosciutissima dell’iconografia cristiana (l’Arcangelo Raffaele) che conduce per mano l’umanità (il giovane Tobia) verso la luce divina è, già di per sé, un messaggio rassicurante e benevolo. La vegetazione e i rilievi sullo sfondo della moneta si sostituiscono alle aspre rocce e agli alberi del quadro a costituire, così, un naturale appoggio per la figura del bambino al disotto del quale, in esergo, è posta come d’uso l’armetta del presidente della zecca (monsignor D’Aste, in questo caso).
Tutto considerato, la derivazione della moneta dal dipinto appare evidente e le piccole differenze riscontrate sono da attribuire, a mio avviso, al diverso fine che l’iconografia de “L’Angelo custode”doveva assolvere nei due casi, ai differenti materiali e, conseguentemente, alle tecniche d’esecuzione delle rappresentazioni, che tuttavia hanno influito solo nei dettagli. L’incisore, da grande artista quale era, ha reso il soggetto pittorico con fedeltà e, allo stesso tempo, con spiccata personalità, mostrando per l’ennesima volta come la moneta possa essere una preziosa, piccola opera d’arte.