(di Mathias Paoletti) | Lunedì 28 novembre è stata una giornata storica per l’economia e la moneta dello Zimbabwe: il paese africano, infatti, reduce da una lunga e pesante fase di iperinflazione che, nel 2009, ha portato alle demonetizzazione del dollaro locale – ormai ridotto a carta straccia, nonostante le varie riforme monetarie attuate nel tempo – ha visto l’introduzione, da parte della banca centrale, di nuovi biglietti cartacei denominati “bond notes” che, di fatto, sono sia un normale strumento di pagamento che un’obbligazione con interesse. Questa controversa forma di “quasi moneta” è stata emessa al momento per un controvalore complessivo di 10 milioni di dollari USA (che, di fatto, sono ormai la valuta di maggior uso nel paese) in tagli, per ora, da 2 e 5 dollari.
Le banconote obbligazionarie dello Zimbabwe sono convertibili in dollari USA supportate da una riserva 200 milioni di dollari che il governo ha ottenuto in prestito dall’African Export Import Bank, stando ad un comunicato stampa della Reserve Bank of Zimbabwe, nel maggio di quest’anno. La stessa nota stampa fa sapere anche che i biglietti – concepiti per ovviare alla crisi di liquidità e favorire le esportazioni – sarebbero stati stampati al di fuori dello Zimbabwe “come salvaguardia contro eventuali abusi”. La corruzione, infatti, regna sovrana nel paese la cui circolazione, priva da sette anni di una valuta nazionale, è defintia “multi currency” con i problemi che ben si possono immaginare.