(di Roberto Ganganelli) | Anche se sotto il nome di “miracolo economico italiano” si fa ricadere l’intero periodo storico tra gli Anni ’50 e i ’60 del secolo scorso, la fase di più elevata crescita del nostro Paese inizia con il 1958 e finisce nel 1963. La forza lavoro migra in modo massiccio dal settore agricolo a quello industriale e si passa ad un’economia legata alle dinamiche dei mercati europei dove le esportazioni sono prevalenti. L’industria italiana, in questo frangente, diventa il settore trainante, mentre l’agricoltura arretra sensibilmente. Infatti, se nel 1951 l’agricoltura aveva contribuito al Pil del settore privato per il 23,5% e nel 1963 per il 15,7%, l’industria, negli stessi anni, passa dal 33,7% al 43,5%, e il terziario dal 42,8% al 40,5%. A questi aspetti si aggiungono gli effetti di quattro linee fondamentali decise dal Governo molti anni prima e che influenzano (nel bene e nel male) anche gli anni del “boom”: l’edilizia popolare, la realizzazione di grandi opere pubbliche, la riforma dell’agricoltura e l’aiuto alle regioni del Sud tramite la Cassa del Mezzogiorno. Grazie a questo poderoso sviluppo l’Italia riesce in pochi anni a ridurre il divario storico con i paesi a più vecchia industrializzazione come l’Inghilterra e la Francia. La fabbricazione di autoveicoli dal 1959 al 1963 sale da 148 mila a 760 mila unità. In questo periodo, i frigoriferi passano da 370 mila a un milione e mezzo, i televisori, che nel 1954 non erano più di 88 mila, a 643 mila.
Lo sviluppo è dunque caratterizzato anche dalla diffusione delle auto, con relativa crescita dei consumi di carburanti. L’Eni, non a caso, in questi anni diviene un gruppo petrolifero di rilevanza mondiale e, accanto ad esso e agli altri colossi dell’oro nero, proliferano medie e piccole compagnie che installano sul territorio nazionale le proprie reti di distribuzione. Tra queste figura la Ozo, attiva fin dal 1940 e parte del gruppo Mattei e che si espande fino a contare circa diecimila punti vendita. E, allora come oggi, la necessità di fidelizzazione dei clienti (e dei gestori delle pompe) spinge la divisione marketing della compagnia a studiare iniziative tali da ampliare il parco consumatori e, al tempo stesso, a gratificare gli esercenti per la loro proficua attività a favore della compagnia. Nascono in questo scenario i gettoni Ozo in argento 800/.. (mm 26,00, g 7,60) e quelli in oro 750/.. (mm 26, g 7,20). Prodotte dalla ditta Buccellati di Milano, entrambe le tipologie presentano bordo rigato e venivano date in omaggio ai gestori delle pompe, secondo un meccanismo originale e poco oneroso per la compagnia petrolifera. Il titolare della stazione di servizio, infatti, riceveva da Ozo un gettone in argento ogni tot litri di benzina venduti; una volta accumulati dieci gettoni in argento, poteva restituirli e ottenere in cambio uno scintillante esemplare in oro. I gettoni raffigurano al dritto una pompa da benzina Ozo con l’iscrizione MILANO – OZO – SOCIETA’ IT. p. AZ. E in esergo il nome della ditta produttrice, BUCCELLATI, in caratteri piccoli. Al rovescio la scritta OZO in caratteri grandi entro un cerchio di rombetti interrotto in basso per lasciare spazio al completamento dello storico slogan dell’azienda, E’ POTENZA. La versione in oro è completata dal punzone aziendale di produzione e da quello del titolo, assenti sul gettone in argento. E, se quest’ultimo è già di per sè raro, quello in oro risulta ancor più difficile da reperire sul mercato.
Le due versioni del gettone Ozo, in oro e in argento (source: author)Accennavamo poco sopra allo “scaltro” meccanismo di ritiro dei gettoni in argento. Riferendoci al periodo tra fine Anni ’50 ed inizio Anni ’60, infatti, notiamo come, ritirando i dieci gettoni in argento (fino di g 60,80) per consegnarne uno in oro (fino di g 5,40), di fatto la Ozo concedeva nel cambio ai benzinai un “premio” di appena il 12,60%. Questo, in anni in cui se una sterlina d’oro (g 7,3224 di fino) costava mediamente 7500 lire, ossia quindici monete d’argento Caravelle da 500 lire (g 9,1850 di fino ciascuna). Ozo carburanti, dopo decenni di costante presenza sul mercato italiano, chiuderà definitivamente i battenti – come varie altre compagnie petrolifere – per effetto della crisi energetica dei primi Anni ’70.