Teche GdN: IL DUCE È CADUTO,
NASCONDI LA CASSA! 

(di Roberto Ganganelli | dal “GdN” n. 26 di marzo 2014, pp. 26-30) | In ambito numismatico non è raro imbattersi in ripostigli e tesoretti, insiemi di monete metalliche di varia natura e provenienza occultate a scopo di tesaurizzazione o in situazioni di emergenza, in seguito mai più recuperate dai proprietari e, così, giunte fortunosamente fino a noi. Talvolta composti da esemplari riferibili ad un periodo limitato di tempo o ad una precisa autorità emittente, altre volte – viceversa – estremamente eterogenei nella composizione tipologica ed estesi nell’arco temporale, tesoretti e ripostigli forniscono indicazioni e spunti di studio sulla circolazione monetaria in una data area geografica o in una certa epoca, sulla frequenza della moneta straniera rispetto a quella locale o, ancora, sulle presunte “scelte” di chi decise l’occultamento, sui criteri che presiedettero alla formazione dei gruzzoli e sulle circostanze per cui si decise di celare – sottoterra, oppure tra le mura di antichi edifici – piccoli e grandi tesori.

Non è altrettanto frequente, invece, poter analizzare insiemi considerevoli o accumulazioni di banconote sopravvissute in un contesto unitario e chiuso, ad esempio, in occasione di un cambio di moneta o di un passaggio storico-istituzionale; pur diffusi in moltissime famiglie, infatti, gli esemplari di denaro cartaceo fuori corso – ad esempio, quelli del Regno d’Italia o le lire repubblicane – rappresentano nella maggioranza dei casi importi modesti dimenticati in vecchi cassetti (come accade anche per gli spiccioli metallici), buoni al massimo per rinverdire il ricordo di un nonno scomparso decenni or sono o per commentare con nostalgia, a patto di avere l’età giusta: “Ai miei tempi, con una di queste si cenava in quattro al ristorante!”.

A sinistra, una veduta d’insieme dell’inedito tesoretto di banconote; a destra, la caduta del fascismo, l’8 settembre 1943, getta nella confusione l’Italia

 Il ripostiglio di banconote oggetto di questo studio, finora mai studiato, è venuto alla luce alcuni anni or sono, durante lavori di ristrutturazione edilizia in uno storico esercizio commerciale aperto fin dalla seconda metà del XIX secolo e tuttora attivo in una città del Centro Italia. Fatto occultare dal bisnonno degli attuali proprietari del negozio in una nicchia del retrobottega, dietro una parete, l’insieme è stato rinvenuto impacchettato con cura in una scatola metallica (per l’esattezza, della storica Magnesia San Pellegrino) avvolta in carta oleata e legata con un robusto spago sul quale, con un timbro a ceralacca, era stampigliata la data 1943.

Attendibili testimonianze familiari riferiscono di altre due cassette (recuperate nel secondo dopoguerra) fatte occultare dallo stesso personaggio in edifici diversi, nel tentativo (stavolta, per fortuna, riuscito) di preservare dai pericoli bellici gli ori di famiglia, documenti ed altri oggetti ritenuti preziosi: i nostri lettori comprenderanno, quindi, le ragioni per le quali si tacciono i nomi delle persone e il luogo esatto che ha visto svolgersi le vicende oggetto di queste pagine: è tuttavia d’obbligo, per chi scrive, ringraziare i proprietari delle banconote per la loro disponibilità, avendo acconsentito allo studio e alla pubblicazione di questa inconsueta pagina di storia monetaria.

In alto, le storiche 50 lire Barbetti “Grande L”, qui nella versione emessa con decreto del 31 marzo 1943 (mm 152 x 90); in basso, il nuovo e più maneggevole biglietto da 50 lire Lupa capitolina, nella versione decretata il 16 dicembre 1936 (mm 116 x 67)

Cosa c’era, dunque, nella misteriosa scatola della Magnesia San Pellegrino? E’ presto detto: la bellezza di 768 biglietti di banca e un biglietto di Stato, per un valore facciale complessivo di 73.801 lire. Dal punto di vista tipologico, escluso un esemplare di biglietto di Stato da 1 lira del 1939 (forse finito per caso nell’insieme di banconote), queste sono le emissioni rappresentate: (1) L. 50 Barbetti “Grande L” con matrice, 3 esemplari; (2) L. 50 Barbetti “Grande L”, 31 esemplari; (3) L. 50 Lupa capitolina, 308 esemplari; (4) L. 100 Barbetti “Grande B” con matrice, 2 esemplari; (5) L. 100 Barbetti “Grande B”, 9 esemplari; (6) L. 100 Capranesi “Aquila romana”, 385 esemplari; (7) L. 500 Capranesi “Mietitrice”, 24 esemplari; (8) L. 1.000 Barbetti “Grande M”, 3 esemplari; (9) L. 1000 Capranesi “Repubbliche marinare”, 1 esemplare. Ad esse si aggiungono un esemplare da L. 100 Capranesi “Aquila romana” ed uno da L. 1.000 Capranesi “Repubbliche mariare” facenti parte della serie, con colori modificati e opportune stampigliature, destinata alla circolazione nell’Africa Orientale Italiana.

Lo stato di conservazione degli esemplari rinvenuti è mediamente basso (Mb o Bb); fa eccezione una piccola parte dei biglietti emessi con decreti tra il 1940 e il 1942, a motivo del breve periodo intercorso tra la loro immissione in circolazione e l’occultamento; buona parte delle banconote appare dunque “vissuta” e reca strappi, forellini, tracce di ruggine, le classiche piegature con cui venivano riposte nei portafogli, oltre a sporadiche annotazioni a matita o a inchiostro, rare timbrature di controllo e conteggio ed alcune riparazioni di strappi effettuate – non esistendo, all’epoca, il moderno nastro adesivo – utilizzando bandelle di margine recuperate da fogli di francobolli.

A sinistra, il biglietto di Stato da 1 lira emesso dal 1939 con l’effigie dell’Augusto di Prima Porta; a destra, la moneta in acmonital da 1 lira datata 1943-XXI, l’ultima della serie Impero

Per quanto riguarda le date dei decreti delle banconote, queste spaziano tra il 1926 e il 1942; una volta analizzati, inoltre, tutti i biglietti – escluso, ovviamente, il biglietto di Stato da 1 lira che ne è privo – appartengono ad emissioni aventi come secondo contrassegno, in abbinamento alla testina diademata introdotta dal Decreto ministeriale del 30 luglio 1986, il fascio littorio e la data OTTO | BRE | 1922, imposto con Decreto ministeriale del 19 maggio 1926 e, in seguito, sostituito dal monogramma distintivo della Banca d’Italia (BI) sulle missioni successive al 7 agosto 1943.

A sinistra, banconota da 100 lire Barbetti “Grande B” emessa con decreto datato 16 maggio 1932 (mm 188 x 120); a destra, biglietto da 100 lire Barbetti “Grande B” con colori modificati datato 9 dicembre 1942 (mm 190 x 119)

Un aspetto, quello dei contrassegni, ci permette di formulare alcune considerazioni ed ipotesi. Innanzi tutto, l’assenza di biglietti recanti al retro lo storico contrassegno con iscrizione DECRETO | MINISTERIALE | DEL 30 LUGLIO | 1896 rivela come, da un lato, questi fossero ormai rarefatti, nel 1943, nel panorama del circolante cartaceo italiano e, dall’altro, come il proprietario del ripostiglio privilegiò in media banconote di emissione più recente, mediamente meno usurate rispetto agli esemplari superstiti ante 1926 pur aventi ancora, all’epoca, corso legale.

L’assenza di esemplari con al retro il monogramma BI, inoltre, permette di collocare con buona attendibilità proprio al 1943 (come confermato dal sigillo in ceralacca cui si è fatto cenno) l’occultamento del cospicuo insieme, probabilmente nascosto in conseguenza della confusa situazione bellica e istituzionale che, in pochi mesi, vide la caduta del ventennale regime di Mussolini, il governo Badoglio, l’armistizio con gli Angloamericani e la fuga di Vittorio Emanuele III verso Brindisi, quindi la Luogotenenza, la liberazione del duce dal Gran Sasso e la spaccatura del Paese in Regno del Sud e Repubblica Sociale Italiana con conseguente occupazione militare tedesca e la guerra partigiana, fino a quel fatidico 25 aprile 1945 in cui l’Italia venne ufficialmente dichiarata libera.

Le 500 lire Capranesi “Mietitrice”, qui nell’emissione dell’11 giugno 1940 (mm 201 x 117)

A proposito della data di presunto occultamento, è inoltre da sottolineare come sia le ultime emissioni con fascio littorio (ante 25 luglio 1943) che le prime con monogramma della Banca d’Italia (post stessa data) non ebbero, come è ampiamente documentato, una rapida e capillare diffusione sul territorio, specie a livello di sportelli bancari periferici e, quindi, di utenti finali; questa potrebbe essere, perciò, la ragione per la quale il nostro previdente esercente di commercio non riuscì ad includere nel gruzzolo alcun biglietto testimoniante gli ultimi mesi di vita del regime né la successiva fase storico-monetaria.

Sotto il profilo dei valori facciali, prevalgono numericamente le banconote da L. 50 (342 esemplari, pari al 44,5%) e da L. 100 (398 esemplari, pari al 51,7%), due tagli medio-bassi molto diffusi, facilmente raggruppabili e agevolmente spendibili, anche uno per uno, in caso di necessità. Residuali, invece, pur con una certa incidenza sul valore complessivo, le banconote di maggior valore da L. 500 (24 esemplari in tutto, pari al 3,1%) e i tagli massimali da L. 1.000 (soli 5 esemplari, pari allo 0,65%). Le percentuali comprendono anche le due banconote “fuori contesto” per l’Africa Orientale Italiana, forse riportate in patria da un militare o da un commerciante rientrato prima caduta dell’Impero nel 1941 e, in seguito, finite per caso (o per svista) in circolazione nel territorio metropolitano. Ad eccezione di un esemplare di biglietto di Stato da 1 lira tipo sono assenti, infine, i titoli emessi dal Ministero del Tesoro con basso valore nominale (1, 2, 5 o 10 lire), caratterizzati da un rapporto tra ingombro e potere d’acquisto troppo sfavorevole e, pertanto, non meritevoli di essere tesaurizzati. Sotto il profilo dei valori ripartiti per tipo, i biglietti da L. 50 incidono (con un totale di 17.100 lire) per il 23,2% circa sulla cifra complessiva, quelli da L. 100 (39.700 lire in totale) per il 53,8%, mentre le banconote da L. 500 e da L. 1.000 coprono, rispettivamente, il 16,2% e 6,8% dell’importo totale (con 12.000 e 5.000 lire).

La 1000 lire Barbetti “Grande M”, celebre biglietto italiano, qui in un esemplare dell’emissione 20 ottobre 1930 (mm 210 x 120)

E’ interessante, a questo punto, tentare di comprendere meglio la quantità di ricchezza effettiva che il nostro esercente – evidentemente benestante – scelse di sottrarre alla propria liquidità d’uso immediato nella speranza di garantire per sé, la propria famiglia e le propria attività, una riserva di valore in caso di bisogno. Utilizzando algoritmi basati sulle serie storiche degli indici dei prezzi al consumo in Italia, opportunamente corretti e pesati, si ricava che le 73.801 lire del 1943 equivarrebbero, come potere d’acquisto, a circa 24.300 euro di oggi; se consideriamo, tuttavia, lo stesso importo in lire, già a fine 1944 vediamo crollare il valore reale in termini di euro di oggi, secondo lo stesso schema di calcolo, a meno di 5.500 euro per precipitare, infine, sotto i 2.800 dopo la fine del conflitto, alla fine del 1945. A riprova dello svilimento subito dalla lira italiana durante la II Guerra mondiale vale la pena ricordare come il prezzo del pane schizzò, solo tra il 1938 e il 1943, da 1,80 lire al chilo a 8,50 mentre la pasta, da 3 lire circa al chilogrammo, nello stesso arco di tempo triplicò il proprio prezzo passando a 9 lire.

Le due emissioni per l’A.O.I. presenti nel tesoretto, rispettivamente da 100 e 1000 lire (mm 185 x 110 e mm 229 x 125)

Può dirsi esaurita, a questo punto, la vicenda del nostro ripostiglio di banconote del Regno d’Italia risalenti alla fase più cruenta e confusa della II Guerra mondiale, almeno per quanto è stato possibile ricostruirla in assenza di documenti scritti e attraverso le testimonianze orali. Sappiamo che il proprietario dei biglietti, dopo la fine della guerra, proseguì ancora per molti anni nella gestione del negozio che passò in seguito ai figli, ai nipoti e infine ai pronipoti. Forse l’età lo avrà portato a dimenticarsi di quel gruzzolo nascosto in tempi difficili o, magari, sarà rimasta viva in lui la segreta convinzione di lasciare un giorno ai propri eredi un autentico tesoro senza rendersi conto che il passaggio dell’Italia da Regno a Repubblica, il rinnovamento della moneta cartacea, i decreti di ritiro emessi nel 1950 e 1953 e l’onnipresente svalutazione avrebbero, invece, trasformato in breve quelle centinaia di biglietti, un tempo di notevole valore, in un accumulo di carta straccia. Per molti, almeno, ma non certo per noi numismatici che, grazie ad essi, possiamo rileggere oggi un’inedita pagina della storia monetaria d’Italia.

RINGRAZIAMENTI

L’autore ringrazia Guido Crapanzano e Gerardo Vendemia per le informazioni fornite e per le immagini delle tipologie dei biglietti che illustrano il presente articolo. Le foto del tesoretto sono dell’autore.