Colpisce, anche agli occhi del profano, come dritto e rovescio si presentano, sotto il profilo stilistico, nettamente diversi: se il primo, infatti, è lineare e nitido, agevole alla lettura nel suo apparire più epigrafico che iconografico, il secondo ospita una composizione figurativa di grande complessità che si sviluppa in cerchio attorno ad una meno evidente, seppur importante, simbologia centrale. I marziali ritratti accollati di Vittorio Emanuele II e del nipote – all’epoca “felicemente regnante” – scandiscono la metà superiore del recto, tra foglie d’alloro e di quercia; più in basso, i nomi dei sovrani e un’iscrizione celebrativa completano la composizione. Al verso, l’aquila sabauda coronata ad ali spiegate, caricata in petto dell’arma reale, distende gli artigli a “ghermire” gli stemmi delle tre città capitali del Regno (Torino, Firenze e Roma) e le date delle rispettive proclamazioni (1861, 1865 e 1870).
Il dritto della grande medaglia celebrativa del Cinquantenario del Regno (source: archive)Sulla corona esterna del rovescio vengono invece celebrate la dinastia sabauda e l’epopea del Risorgimento: si riconoscono il Conte Verde e il Conte Rosso, Emanuele Filiberto, Carlo Emanuele I, Vittorio Amedeo II, Carlo Alberto che concede lo Statuto e Vittorio Emanuele II; con loro, variamente alternati, alcuni patrioti, un artigliere, l’eroe Pietro Micca. Chiude il corteo una vittoria alata che porge un serto ed una corona all’Italia, in piedi su un cocchio trainato da destrieri. Non manca nemmeno la scena bucolica con la seminatrice e i buoi all’aratro, illuminati dalla fiaccola della Civiltà. Tante, quindi, le anonime raffigurazioni di uomini, donne e bambini, simbolo di quel popolo che, al pari di generali e statisti, fu protagonista del Risorgimento e del processo di unificazione. Allo stesso rimasero senza volto né riconoscimento – almeno in questa celebre medaglia – personaggi celeberrimi come Giuseppe Garibaldi, Giuseppe Mazzini e lo stesso Conte di Cavour i quali, pur non facendo parte della Casa Reale, forse più della stessa dinastia avevano contribuito in concreto a “fare l’Italia”: una scelta dettata, con ogni probabilità, dal desiderio di esaltare la monarchia sabauda quale perno della nuova Nazione.
Il complesso rovescio che celebra i Savoia e il Risorgimento (source: archive)
Nella stessa direzione va anche la legenda del nastro sul quale poggiano le figure storiche ed allegoriche; qui trova infatti spazio – omaggio al padre della lingua italiana – parte di una terzina di Dante adattata, nella forma, ai tempi moderni: “Secol si rinnova; / torna giustizia e primo tempo umano / e progenie scende dal ciel nuova” (“Purgatorio”, XXII, 70-72). E’ Stazio che si rivolge a Virgilio, con queste parole, confessandogli come sarebbe stata una sue delle “Egloghe”– nella quale si leggeva, in epoca medievale, una profezia dell’avvento del Cristianesimo – a spingerlo alla conversione.
Dal Trecento al Novecento, e dalla carta al metallo, tuttavia, le parole dell’Alighieri mutano la loro semantica per celebrare l’ancor giovane Regno e la sua storia. Una sorta di “licenza poetica” in medaglia, dunque, tenuto conto che del resto, già nel “De monarchia”,Dante aveva sollevato la questione dell’unità nazionale e nello stesso “Purgatorio”(VI, 105) – definendo l’Italia “’l giardin de lo ‘mperio” – ne aveva teorizzato un ruolo di guida in un mondo sorretto dagli ideali della romanità e del Cristianesimo. Un ruolo che, come la storia ci insegna, la Nazione italiana e i Savoia avrebbero tentato di giocare, con intenzioni non sempre lodevoli ed alterni risultati, nei decenni che seguirono quel Cinquantenario, quell’ormai lontano 1911 che oggi, trascorso oltre un secolo, anche grazie all’arte della moneta e della medaglia possiamo tentare di conoscere meglio e da un punto di vista diverso.