Nel 1528 Venezia coniò una nuova tipologia monetale, lo scudo d’oro, per pagare i suoi soldati.
Di Carlo Barzan. Gli anni del dogato di Andrea Gritti, dal 1523 al 1538, furono piuttosto tumultuosi per l’Italia. La battaglia di Pavia aveva dato a Carlo V il temporaneo predominio nella penisola. Roma aveva subìto il sacco da parte dei lanzichenecchi, i mercenari arruolati nell’esercito imperiale. Firenze aveva perso le sue libertà. I possedimenti veneziani a Oriente erano minacciati dall’impero ottomano.
La Repubblica di Venezia rispose con decisi interventi militari e finanziari. Per far fronte alla richiesta di monete d’oro da parte delle truppe impegnate sui vari fronti, il Consiglio dei Dieci previde di affiancare al ducato allora in uso una nuova tipologia monetale aurea.
Il 15 maggio 1528 un decreto firmato da Daniel Rhenerius e Franciscus Donatus chiariva: «Questo Conseglio intende quanto sia il continuo bisogno che si ha di trovar scudi dal sol per mandar alli exerciti nostri». Annunciava quindi l’entrata in uso della nuova moneta, lo scudo, e lo descriveva: «con il S. Marco in soldo in uno scudo da una banda et dall’altra una iusticia cum lettere atorno che dicano Andr. Griti». In effetti sul diritto la moneta raffigurava una croce fiorata all’interno di un cerchio, mentre dentro un bordo perlinato la legenda citava Andreas Griti dux Venetiar(um), ‘Andrea Gritti doge di Venezia’. Al rovescio il campo era occupato al centro dal leone di san Marco e nella parte superiore da un gruppo di tre foglie e due volute ai lati. La legenda precisava Sanctus Marcus Venetus. L’iconografia era semplice ma vigorosa: mancava il ritratto del regnante, ma il simbolo cristiano della croce e il leone, per antonomasia riferimento al potere di Venezia, bastavano per identificarla immediatamente.
Il peso era di 3,4 grammi e il titolo di 917 millesimi, inferiore quindi al titolo del ducato, che era di oro zecchino, cioè 997 millesimi.
A causa della nuova commessa, la zecca di Venezia si trovò a dover fronteggiare un improvviso e imponente carico di lavoro. I provveditori in zecca cercarono di rimediare con l’assunzione di nuovo personale: intanto ad aiutare Gambello e Benintendi alla lavorazione dei conii era arrivato Paolo de Franceschi. Fra maggio 1528 e luglio 1529 tutta la produzione si svolse sotto la sovrintendenza del massaro all’oro Marco Donà.
Le loro fatiche furono premiate perché, grazie agli utili derivati dalla produzione delle nuove monete, la zecca di Venezia poté provvedere autonomamente al pagamento dei salari, che dal 1507 erano a carico della cassa del Consiglio dei Dieci.
Il 7 novembre 1530 «ritrovandose questa cita et altre terre nostre in strettela de monede» venne ritenuto conveniente «proveder che almeno se possi haver oro de menor quantità de quello del ducato». Fu quindi introdotta anche una frazione dello scudo: pesava 1,68 grammi, valeva la metà ed era definita medias corona aureas.