Semplici nell’impianto grafico, al massimo decorati di pochi simboli politici o di facile riconoscimento – uno su tutti, il garibaldino circondato da stelle sui ben noti biglietti del Corpo Volontari della Libertà -, i buoni che caratterizzarono quella pagina di storia d’Italia conclusasi settant’anni fa rappresentano un grande tesoro numismatico e culturale che racconta una delle fasi più delicate e difficili nella storia del Novecento; un passaggio cruciale nel quale, ancora una volta, il denaro e le sue forme – anche quelle “di fortuna” e meno ufficiali – si trasformano in testimonianze preziose da conservare e da studiare.
Si è accennato, in apertura, a quei buoni che – nei primissimi anni del periodo fascista – furono stampati dall’Unione Nazionale, che come altri partiti si opponeva al nascente regime; capostipiti del fenomeno “buoni della Resistenza”, essi rivelano come la lotta contro la dittatura – e in seguito contro l’invasione straniera – fu continua e sotterranea, lunga e difficile, tanto da costare la vita e la libertà a migliaia di italiani. Una lotta che non terminò – e, anche in questo caso, alcuni buoni di emissione privata ce lo ricordano – neppure con la tanto attesa Liberazione.
Senza contare la perdita dell’Istria e la terribile pagina delle foibe, La Venezia Giulia e Trieste furono a lungo in bilico finché, nel 1954, la città non ritornò definitivamente italiana. Appena terminato il conflitto, una sottoscrizione nazionale venne lanciata a favore della città e della sua regione, definita nei buoni emessi all’epoca “disperatamente sola”. Trieste e Gorizia sarebbero tornate all’Italia, nel frattempo divenuta Repubblica; lo stesso non sarebbe invece accaduto a Zara, Fiume e Pola, dove altro sangue sarebbe stato versato. Anche a quella parte d’Italia che Italia non è più, e a quelle vittime fino a pochi anni fa avvolte nel velo del silenzio della Storia, la numismatica rende la sua testimonianza.