(di Roberto Ganganelli) | Settant’anni fa, il 25 aprile 1945, l’Italia festeggiava la fine della II Guerra Mondiale, la liberazione definitiva dal regime fascista e dall’occupazione nazista e, soprattutto, la speranza di un rapido e definitivo ritorno alla democrazia e ai diritti civili. Speranza che sarebbe diventata certezza poco più di un anno dopo quando, con il referendum del 2 giugno 1946, gli italiani avrebbero scelto la Repubblica scrivendo la parola fine su quel Regno d’Italia retto dai Savoia i quali, per ottantacinque anni, dell’Italia come Nazione unitaria era pur stati gli artefici e i sovrani.
Al 25 aprile, per decenni, è stato legato un forte messaggio politico-ideologico, che da qualche tempo ha lasciato spazio ad un concetto diverso, quello di pacificazione e concordia nazionale che, tuttavia, non ha mai messo in ombra l’assoluto valore civile della lotta condotta dalle formazioni partigiane e dalla popolazione nel comune obiettivo di restituire l’Italia alla libertà e alla pace. Dopo l’8 settembre, infatti, in ogni italiano avvenne – come nel paese – una frattura profonda che portò taluni ad organizzarsi nella lotta armata contro i nazifascisti, altri a schierasi con la Repubblica Sociale Italiana, altri – ancora – a vestire l’uniforme sotto le insegne del Regno del Sud, cobelligerante con gli Alleati. Senza contare quanti, per la loro scelta finirono internati nei campi di prigionia, deportati nei lager e costretti al lavoro coatto in condizioni disumane o, più sbrigativamente, giustiziati sull’uno o sull’altro fronte.
Poco meno di 400 mila furono gli italiani che, dopo la guerra, si videro riconosciuto il diploma di “partigiano” (anche se poi, le stesse associazioni partigiane hanno rivisto a circa 200 mila il numero degli effettivi combattenti); altri 500 mila soldati finirono internati per non aver voluto continuare la guerra a fianco di ciò che restava dell’Asse; milioni, infine, furono coloro che in silenzio, con coraggio sostennero le formazioni della Resistenza dando ai combattenti cibo ed armi, rifugio e soccorso e, in molti casi, finanziandoli con i pochi risparmi loro rimasti.