(di Eleonora Giampiccolo) | Nello Stato Pontificio, l’introduzione delle piastre, le grosse monete di argento, che avevano un peso di circa 32 g, un diametro di 43-44 millimetri ed un valore di 10 giuli, si deve a Sisto V (1585-1590). In realtà, si possono considerare piastre anche i ducati o ducatoni di Clemente VII, battuti in fretta e furia a Castel sant’Angelo per pagare il riscatto di 400 mila ducati richiesto dall’imperatore Carlo V per la libertà del pontefice e di Roma assediati dai Lanzichenecchi a partire dal maggio 1527 (fig. 1). Le piastre, data la loro grandezza, erano tra le monete più belle e più adatte a svolgere un ruolo di propaganda tipico, del resto, di tutte le monete e delle medaglie soprattutto di questi secoli; su di esse, infatti, essendo i nominali di maggior modulo emessi dalla zecca pontificia, si esercitò l’arte dei più grandi incisori del tempo con raffigurazioni di soggetti religiosi o profani di importanza capitale per la vita sia della Chiesa sia dello Stato Pontificio, come accadeva appunto sulle medaglie. La battitura di questi nominali iniziò nel IV anno di pontificato di Sisto V, il 1588.
La scelta del soggetto delle piastre battute nella zecca di Roma, san Francesco, richiamava l’ordine religioso cui il pontefice apparteneva, cioè quello dei frati minori conventuali. La prima variante reca, al dritto, il busto del pontefice a sinistra con piviale e razionale e la legenda intorno SYXTVS V PON MAX AN IIII e, al rovescio, san Francesco in ginocchio, di fronte alla città di Assisi, mentre riceve le stimmate; in alto, la legenda IN TE SITIO (fig. 2).
Figura 1 (source: Biblioteca Apostolica Vaticana) Figura 2 (source: Biblioteca Apostolica Vaticana)