(di Roberto Ganganelli) | Corre l’anno 1693 quando Venezia, per l’ennesima volta nella sua storia, si trova a fare i conti con le pressioni dei Turchi sui propri possedimenti nel Mediterraneo orientale. L’anno prima, dopo alcune cocenti sconfitte, il comandante della flotta della Serenissima Domenico Mocenigo era stato sollevato dal suo incarico e trasferito per punizione a Vicenza. In quell’anno venne emessa anche un’osella (in oro da 4 e da 3 zecchini, e in argento, sul cui rovescio campeggia un braccio loricato la cui mano stringe un fascio d’armi. Attorno, la legenda QVEM NON EXERCVIT ARCVM (“Quale arco non hai impiegato?”) a sottintendere come soggetto, secondo alcuni, proprio il doge Francesco Morosini (che, tuttavia, nel 1692 non ricopriva alcun comando effettivo) e, secondo altri, la Repubblica nel senso che nessun mezzo bellico era stato trascurato nella guerra contro i Turchi: se la sorte non era stata favorevole a Venezia, la colpa non era quindi del doge o della Repubblica.
L’anno seguente, tuttavia, un’altra osella, di diverso soggetto e tenore, tornò sull’argomento; coniata in oro con valore di 3 zecchini e in argento, reca sul rovescio un inconsueta composizione di quattro berretti da condottiero insieme ad altrettanti bastoni da comando, il tutto sormontato dal corno dogale. La moneta, come spiega tra gli altri Mario Traina, “Si riferisce alla decisione di Francesco Morosini, ormai settantaquattrenne, di deporre il corno dogale per riprendere in mano, per la quarta volta, la spada e guidare di nuovo i Veneziani contro i Turchi, che negli ultimi tempi avevano inflitto a Venezia una serie di sconfitte. I quattro berretti ricordano come per ben quattro volte Morosini avesse ricoperto la carica di capitano generale”. Il tutto sottolineato dal solenne motto latino VIRTVTEM VESTIGAT ET VLTRO AMBIT HONOS (“L’onore va in cerca del valore e anzi lo corteggia”). Sui dritti di entrambe le coniazioni la scena usuale in cui san Marco, patrono e protettore della Serenissima, porge al doge inginocchiato il vessillo.
Come si concluse quest’ennesima avventura del doge condottiero Francesco Morosini? Sebbene acclamato dal popolo per la sua decisione di riprendere le armi, e nonostante vari tentativi di bloccare i Dardanelli e di difendere Corinto da un possibile assedio, il Morosini non potè che “tamponare” le azioni ottomane nel corso dell’estate di quel fatidico 1693. La stagione bellica, conclusasi senza scontri risolutivi, portò alla decisione di far svernare la flotta veneziana nel porto greco di Nauplia (detta ai tempi “Napoli di Romania”) dove il doge, soprannominato “il Peloponnesiaco”, si ammalò e morì il 6 gennaio del 1694. Nel suo testamento lasciò la sua intera fortuna ai discendenti dei fratelli, non avendo egli eredi diretti, ma solo a patto che chiamassero Francesco tutti i loro figli maschi per sempre, “ultimo segno – hanno scritto alcuni storici – d’una vanità che confinava con l’arroganza”.