(di Roberto Ganganelli) | Come ben noto ai numismatici, il Ducato di Castro venne concesso, con bolla del 31 ottobre 1537, da papa Paolo III al figlio naturale Pier Luigi Farnese, con tanto di privilegio di battere moneta. La zecca sembra sia stata aperta nel 1538 e affidata agli zecchieri Leonardo Centone di Parma e Giammaria Bossi di Reggio, e non vi sono documenti su ulteriori attività di monetazione dopo la scomparsa di Pier Luigi avvenuta a Piacenza nel 1547. Per Castro, il “Corpus Nummorum Italicorum” censisce scudi d’oro, paoli, grossi, mezzi grossi, baiocchetti e quattrini. “Gli scudi d’oro ed i paoli sono molto rari, rare le altre monete ad eccezione dei quattrini che sono comunissimi, indizio di emissioni speculative da parte del duca”: così scrive Lorenzo Bellesia in un articolo sull’argomento pubblicato in “Panorama Numismatico” nel quale, peraltro, lo studioso approfondisce alcune incongruenze su tre denominazioni: lo scudo d’oro, il presunto testone e il presunto paolo (leggi qui l’approfondimento completo).
Alla legenda di quest’ultimo nominale – il presunto paolo, secondo Bellesia un probabile ottavo di piastra – dedichiamo questo spazio dato che al rovescio campeggia in latino VIRTVS SECVRITATEM PARIT (“La Virtù genera la sicurezza”), a circondare la bellissima raffigurazione di un unicorno che tuffa il proprio corno nelle onde mettendo in fuga alcuni serpenti. Scrive Mario Traina ne “Il linguaggio delle monete”: “Il mitico animale, simbolo di purezza e amico della virtù, appare cinto da una fascia, quella regia o cingolo militare, simboleggiante il comando, che la regina Giovanna di Napoli concesse al suo generale Niccolò o Cola Farnese, figlio di Ranuccio, padre di Ranuccio II di Isola d’Ischia di cui fu signore, riconoscimento di cui venivano insigniti i condottieri più valorosi ed abili.
Secondo la credenza la polvere del corno dell’unicorno era un antidoto miracoloso contro qualsiasi veleno. Prima che altri animali si abbeverino, si avvicina il serpente e sputa il suo veleno nell’acqua, ma quelli animali che lo sanno non osano bere. Essi attendono l’unicorno: questo arriva, entra subito nell’acqua e traccia il segno della croce con il suo corno. Ciò cancella l’effetto del veleno. Solo dopo che l’Unicorno ha bevuto, potranno bere anche tutti gli altri animali”. Come l’unicorno, dunque, il duca si riteneva in grado di sventare le insidie dei nemici. O così, almeno, intendeva far credere ai propri sudditi…