(di Maurice Cammarano) | Come noto, i luigini nacquero in Francia come dodicesimi di scudo d’argento o cinque soldi, a seguito della riforma monetaria del 1642 voluta da Luigi XIII re di Francia. Successivamente, con Luigi XIV – diventando il commercio con il Levante latino sempre più importante – per agevolare i commercianti di Marsiglia e per la necessità di avere in uso moneta corrente più “spicciola” rispetto alle piastre d’argento, vennero utilizzati i dodicesimi di scudo non più da 11 denari di argento fino per libbra, ma da 10. Dal 1658, con l’assenso del re, tutte le zecche meridionali di Francia assieme a Monaco (e illegalmente Orange e Avignone), batteranno per Marsiglia questo tipo monetale.
Nel 1663 a Dombes, con l’autorizzazione del Ministro delle finanze francese Colbert, la principessa Anna-Maria Luisa di Borbone, iniziò la produzione di dodicesimi di scudo con al dritto il proprio busto e al rovescio lo scudo di Francia con i tre gigli. Questo tipo di luigino, raffigurante un busto di donna così procace e fatto di buon argento, suscitò così tanto interesse tra i mussulmani che il suo valore passò in breve tempo da 5 a 10 soldi. L’enorme guadagno economico così garantito determinò per le piccole zecche italiane poste lungo la costa e nell’entroterra ligure (Toscana inclusa) una corsa a produrre – in aggiunta a quelle già esistenti – enormi quantità di luigini, la maggior parte dei quali, sempre più di bassa lega.
Se nel breve periodo questa divenne una brillante “intuizione” per risanare le finanze (secondo una stima di quel tempo, nell’arco di circa un decennio – tra il 1660 ed il 1670 – vennero prodotti circa 180 milioni di pezzi), nel lungo periodo tutto questo renderà risultati opposti, con grave pregiudizio alla credibilità delle zecche che li avevano coniati. Nella storia della numismatica i luigini ebbero infatti una vita molto breve e burrascosa proprio a causa della loro scarsa affidabilità, tanto da giustificare chi li ritenne la più grande “speculazione monetaria” avvenuta nel corso dei secoli.
Non si può non convenire sul fatto che – causa la progressiva diminuzione dell’argento presente nella lega di cui erano composti – gran numero di queste monete possano essere considerate a tutti gli effetti delle contraffazioni. Nonostante ciò, anch’essi vennero contraffatti: ne abbiamo numerosissimi esempi (in parte già pubblicati sia nel “Corpus Luiginorum” a cura di chi scrive, e altri illustrati nella sua nuova edizione al momento ancora in fase di stesura). Presentiamo di seguito un’inedita – per ora unica – contraffazione (forata) del luigino di Monaco del 1664 raffigurante al dritto il busto del principe Luigi I e al rovescio lo scudetto Grimaldi e le motivazioni che ci inducono a ritenerla tale. Per confronto abbiamo posto accanto alla contraffazione il rarissimo originale classificato come CL 266.
Quali possono essere le ragioni per giudicarla un falso? Al dritto: le forme rozze del busto, del naso e della capigliatura. Al dritto e al rovescio: l’irregolarità delle lettere delle leggende, come ad esempio le due piccole O accostate ad una N più grande di MONOECI. Al rovescio: l’irregolarità della frase DEO IVV, le grossolane losanghe nello scudetto Grimaldi, lo strano simbolo simile ad una I al posto della ghianda tra la data e DVX, ma soprattutto la brutta corona fiorata che sormonta lo scudetto Grimaldi.
Oltre a queste ragioni, invero molto tecnicistiche e da esperti in materia, una cosa salta immediatamente all’occhio, anche inesperto, di chi osserva le due monete: una delle due presenta un evidente foro. Diverse erano le ragioni per cui una moneta veniva bucata: se il foro si trova sull’estremo limite della moneta e posto al disopra di un simbolo o di un personaggio religioso, poteva essere stato fatto per portare la moneta al collo come medaglia devozionale; se il foro è posto al centro della moneta, sfregiando la figura o lo scudetto che individua la signoria emittente, poteva significare il disprezzo per l’autorità raffigurata; infine, se il foro è posto in un punto qualsiasi dell’estremo limite della moneta, significa che era riscontrata falsa e probabilmente conficcata sul tavolo di lavoro come confronto.
Siamo del parere che il foro presente sul falso luigino di Monaco, qui presentato, possa essere ricondotto alla terza ragione e che nel lontanissimo passato qualcuno, dopo aver riscontrato la non autenticità della moneta, giustamente abbia agito di conseguenza; e questa, per chi scrive, è la prova che “certifica” irrevocabilmente il falso.