(di Gaetano Russo) | Sul finire del primo scorcio del XX secolo, in Italia iniziavano ad emergere in modo sempre più marcato severe critiche rivolte ai biglietti della Banca d’Italia disegnati dal senese Rinaldo Barbetti, critiche che riguardavano sia aspetti di natura tecnica che estetica. In un rapporto confidenziale (datato Roma, 13 ottobre 1909) Bonaldo Stringher, allora direttore generale della Banca d’Italia, consapevole della necessità di sostituire i biglietti di banca circolanti con “altri che abbiano maggiori pregi estetici, anche per rendere meno facili le falsificazioni” chiedeva all’amico, l’onorevole Antonio Fradaletto, di indicargli “tre artisti ai quali possano essere fatti eseguire bozzetti dei nuovi biglietti”. Ed è da questa inedita corrispondenza confidenziale che prende origine una delle realizzazioni più eccelse dell’arte monetaria italiana divenuta, col tempo, oggetto di ammirazione e di “contesa” di intere generazioni di collezionisti: le 50 lire “Buoi”. Ma procediamo con ordine nella nostra storia.
Dovette passare un altro anno, tra concorsi banditi e disdetti, tra indagini e perorazioni, verifiche ed esami, prima che al professor Giovanni Capranesi, presidente dell’Accademia di San Luca in Roma, fosse affidato l’incarico di realizzare i nuovi bozzetti delle banconote da 50, 100, 500 e 1000 lire. Tra i biglietti citati, il primo taglio ad essere eseguito, fu quello da 50 lire, che la storia avrebbe poi battezzato con l’epiteto “Buoi”.
Si trattò di un percorso lento e difficile, anche perché le cronache hanno taciuto sui bozzetti originari, ed in particolare su quello, davvero interessante, che rappresentava sul fronte la dea Pallade (Minerva) con un elegante elmo mascherato, sormontato da un cimiero, adagiata accanto a strumenti geodetici, tecnici e musicali (raffigurati con dettagli impressionanti), con movimento dinamico ed uno sguardo altamente espressivo; tale bozzetto, di eccellente fattura, fu invece inspiegabilmente scartato (Fig. 1). Dal decreto delle caratteristiche del 16 giugno 1915 si apprende invece che la versione definitiva del biglietto “reca sul recto nel campo di destra, la figura seduta di Pallade […] con ramo di ulivo nella destra e scudo imbracciato con la sinistra, il piede destro poggiato su una base e il sinistro su capitello ionico […]” (Fig. 2).
Soffermandoci invece sul verso del biglietto,occorre precisare che in origine era previsto un maggiore squarcio prospettico della scena bucolica, con la raffigurazione di “due piccoli greggi in distanza sull’orizzonte che raffigurano: quello a sinistra un uomo a cavallo e quello a destra un aratro trainato dai buoi”. Invece, tali dettagli vennero soppressi in seguito ad un provvedimento interno della Direzione Generale del Tesoro del 7 marzo 1916. Fu poi necessario il varo di uno specifico decreto (il D.M. 15.06.1915) per modificare la disposizione del 1896 in base alla quale il contrassegno governativo trovava collocazione nel fregio inferiore del verso, rimodulandone la collocazione in modo scenografico, al centro del fregio superiore del biglietto, tra eleganti festoni di frutta (Fig. 3).
Il biglietto venne autorizzato alla fabbricazione dal 15 giugno 1915 al 7 giugno 1920, un periodo davvero esiguo per un esemplare così prestigioso. Andrà fuori corso il 30 giugno del 1950 e sarà prescritto in via definitiva, dopo alcune proroghe, il 14 aprile del 1953. Mentre l’invenzione e la realizzazione dei disegni e dei bozzetti furono opera del Capranesi, l’incisione a mano delle lastre per la realizzazione dei cliche di stampa fu affidata a Tommaso Di Lorenzo e ad Andrea Bianchi, valenti artisti del tempo e legati da un rapporto di collaborazione con la Banca d’Italia. La filigrana, a punto fisso, raffigurante il busto del sommo poeta Dante Alighieri, con raffinata trasparenza ed espressività, venne affidata ad Ettore Filosini, già affermato nel settore codicologico.
Passando agli aspetti organolettici del biglietto,occorre precisare che la carta ebbe caratteristiche tecniche di assoluta avanguardia per l’epoca. Si passò infatti dal vecchio impasto della serie Barbetti in fibra di canapa e lino, alla fibra di “ramiè” (conosciuta anche come “carta francese”). Una filigrana più definita ed espressiva, una maggiore resistenza alle doppie pieghe (in media 425 pieghe, rispetto alle 150 con tensione massima di due chilogrammi, con verifica mediante “sgualcimentro Schopper”); una maggiore lunghezza di rottura della trama cartacea (con una media del 50% in più) ed un minor peso del biglietto (circa la metà del 50 lire della serie Barbetti).
La procedura di lavorazione fu però molto complessa, perché la carta fu sottoposta ad un primo processo di patinatura a base di ossido di zinco, tale da richiedere anche un mese per il pieno assorbimento della vernice. Inoltre, la stampa del recto e del verso del biglietto imponeva di attendere un altro mese tra le rispettive impressioni. Poi il foglio, così ottenuto, prima di essere sottoposto a verifica tecnica, veniva trattato con uno strato di vernice speciale over-print, utilizzando una apposita macchina cilindrica della ditta Augusta. Ciò creava una sensazione di oleosità e di umidità della carta, tale da determinare fenomeni di collimazione dei biglietti tra loro, se posti a contatto. Per converso, l’utilizzo avveniristico dei nuovi cliche nichelati per la stampa, consentiva un risparmio marcato nei tempi di realizzazione dei biglietti, rispetto ai semplici cliche in rame, che si deterioravano molto più in fretta.
La stampa fu realizzata in cromo-tipografia a quattro colori, senza matrice. In questa fase storica, si preferì approdare ad una evoluzione della stampa tipografica, piuttosto che ricorrere in modo frettoloso alla stampa calcografica (poi utilizzata per i successivi biglietti della serie) che avrebbe richiesto tempi molto lunghi, anche a causa della riconversione dell’intero parco macchine esistente. La qualità di stampa ottenuta in tipografico è davvero superba. Il cromatismo del biglietto è abbagliante, la tecnica di realizzazione avveniristica, le qualità organolettiche di assoluto pregio, la simmetria del quadro scenico è sapiente: si recepisce l’alito armonico della classicità, unito all’impero meccanico della tecnologia.
Passando agli aspetti di mercato, occorre sottolineare che dall’esame dei cataloghi storici dagli anni Sessanta ad oggi, tale banconota ha espresso un continuo trend di crescita. Ciò significa che a fronte di una base relativamente stabile di esemplari disponibili, la domanda ha registrato notevoli incrementi. Nelle basse conservazioni il biglietto è già considerato raro (R/R2), mentre nelle medie conservazioni è molto raro (R2); nelle alte conservazioni è invece rarissimo (R3). Il biglietto da 50 lire “Buoi” resta uno dei reperti più ambiti e richiesti dal mercato italiano ed internazionale. Testimonianza tangibile del supremo valore dell’arte umana, che sfida in modo imperituro, le vane lusinghe del tempo.