IN PUNTA DI BULINO… E DI PENNELLO: IL SEGRETO DI UNA RARA PIASTRA PAPALE

EGREDIATVR POPVLVS ET COLLIGAT (“Il popolo esca e raccolga [ciò che basta per il giorno]”; ES 16, 4) è, non a caso, l’invito rivolto ai fedeli che circonda la dettagliata incisione sul campo del rovescio: un messaggio biblico, ma al tempo stesso politico-propagandistico dal momento che la moneta celebra in realtà la diminuzione della tassa sul macinato decisa da Alessandro VIII, una vera “manna” specie per la povera gente la cui alimentazione era basata su pochi prodotti e che aveva nel pane e nella farina generi di primissima necessità.

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La piastra del 1699 (Ag, mm 42) con la scena della raccolta della manna (source: archive)


La complessità della scena, soprattutto, fa riflettere: una composizione del genere, infatti, sia in termini di numero di personaggi che di geometrie e di impostazione appare, infatti, molto più simile ad un dipinto che ad un soggetto numismatico creato “ad hoc”. Non a caso, dopo una ricerca condotta tra alcuni musei europei – e con un po’ di fortuna, perché no – si è riusciti a risalire al quadro cui, in modo evidente, il Saint-Urbain si ispirò per la sua incisione. Si tratta de “Gli Ebrei raccolgono la manna nel deserto”, un grande olio su tela (cm 200 x 149) oggi conservato al Louvre di Parigi e realizzato tra il 1637 ed il 1639. Dipinto da Nicolas Poussin (1594-1655), considerato un maestro da classicisti come Jacques-Louis David e Ingres, il quadro è di rilevante significato simbolico: ci aiuta a comprenderlo, e quindi a capire meglio la moneta, un articolo di Felix Thürlemann dal titolo “La meraviglia come passione dello sguardo. A proposito della ‘Manna’ di Poussin”.

Evidenziando le diverse figure rappresentate, lo studioso si sofferma sui due livelli di lettura “carità divina / carità umana” che si rivelano dalle figure, che mutuamente si sostengono, e dalla presenza divina, impalpabile ma fondamentale. Questa, in particolare, si rivela nella discesa della manna e resta al tempo stesso immateriale e sottaciuta nell’evocare anche l’Eucaristia. Guardando da sinistra verso destra si sviluppa la narrazione per cui gli Ebrei, affamati e disperati, scoprono il dono divino e se ne saziano; scorrendo il quadro dal basso in alto si coglie invece la connotazione teologica del trinomio carità-cibo-redenzione. Le categorie fondamentali sono quelle della “meraviglia” (data dalla “Caritas” romana e pontificia), quindi il “miracolo” e infine il “mistero”. 

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Il dipinto di Nicolas Poussin che è servito da soggetto per la piastra del 1699 (source: web)


Ovviamente, Saint’Urbain non poté – viste le dimensioni del conio – riprodurre tutte le numerose figure del dipinto di Poussin ma, piuttosto, ne realizzò una “sintesi” selettiva ad uso emozionale ed espressivo approfittando tuttavia a man bassa sia delle anatomie che dettagli primari e secondari – dai vasi per la manna, alle tende – e addirittura del paesaggio di sfondo con rocce, alberi e nuvole. Ma come fece l’artista conoscere (e quindi a “copiare”) la grande tela di Poussin? La risposta, probabilmente, è più semplice di quanto si creda, dal momento che a fine Seicento, a Roma, già circolavano da anni, sul mercato, eleganti incisioni a stampa del quadro in questione, fedeli nei minimi dettagli; stampe che, per un valido incisore e un personaggio di cultura quale era Ferdinand de Saint-Urbain (che, fra l’altro, eraa anche architetto), erano una delle fonti di ispirazione più ricche e importanti. In mancanza di Internet, quella stessa che ci ha consentito di riscoprire una pagina di numismatica pontificia e di storia dell’arte.