IN PUNTA DI BULINO… E DI PENNELLO: IL SEGRETO DI UNA RARA PIASTRA PAPALE

documents-button(di Roberto Ganganelli) | Nella lunga galleria delle monete pontificie in argento di massimo modulo – le piastre, nella fattispecie – che si inaugura nel XVI secolo e termina solo all’alba del XVIII sono innumerevoli i capolavori di incisione che fanno di queste coniazioni una delle serie più apprezzate dai collezionisti. Monete con scene evangeliche o con raffigurazioni di santi, altre che esaltano edifici o città, altre che – ancora – celebrano eventi importanti tramite solenni epigrafi in lingua latina. Monete, in ogni caso, di notevole bellezza e complessità, che videro all’opera i migliori incisori del tempo per soddisfare il desiderio dei pontefici di trasformare la monetazione – come accadeva per ogni altro sovrano, del resto – in un potente veicolo di propaganda, non solo religiosa. Nella piastra e nella mezza piastra si esaltano al massimo i ritratti dei papi, con le loro fisionomie peculiare e la ricchezza dei paramenti, come pure gli ampi tondelli si prestano alla raffigurazione di scene complesse e di dettagli minuti, tali da portare la moneta allo stesso livello espressivo ed artistico delle migliori medaglie celebrative. Talvolta, la moneta si fa a tutti gli effetti “pittorica” prendendo ispirazione da opere d’arte più o meno celebri. E’ il caso, come già pubblicato in queste pagine, della mezza piastra di Clemente XI che si è scoperto riprodurre fedelmente “L’Angelo Custode” di Pietro da Cortona (leggi qui l’articolo).

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La mezza piastra (Ag, mm 37) di papa Albani ispirata ad un dipinto di Pietro da Cortona (source: archive)


Un’altra moneta che, a seguito di recenti ricerche, ha rivelato la sua origine iconografica – per quanto riguarda il rovescio, in particolare – è la piastra dell’VIII anno di pontificato (1699) di Innocenzo XII Pignatelli (1691-1700). Prima, fra le piastre dei papi, ad essere realizzata “a quattro mani” da due diversi incisori, l’immancabile Giovanni Hamerani e Ferdinand de Saint-Urbain. Quest’ultimo, nato a Nancy attorno al 1654, era stato chiamato alla zecca di Roma nel 1696 dove ottenne la nomina ad “incisore soprastante” delle monete, e più tardi, delle medaglie. Per la verità, l’Hamerani non ebbe mai un buon rapporto con il Saint-Urbain tanto che, in pochi anni, dovette abbandonare l’Urbe e tornare in Francia. Sta di fatto, però, che i due “nemici di bulino” si trovarono a firmare entrambi la moneta di cui parliamo sul cui dritto l’Hamerani ritrrasse il papa rivolto a destra, con camauro e mozzetta (in una variante con arabeschi, in un’altra con crocifisso); l’artista transalpino, invece, bulinò i conii del rovescio dedicati alla scena biblica della discesa della manna sul popolo ebraico affamato nel deserto, durante l’Esodo.

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Medaglia (Ae, mm 52) di Ferdinand de Saint-Urbain per papa Clemente XI dedicata al “Trionfo della Dottrina” (source: archive)


Narrano le Scritture: “E, evaporato lo strato di rugiada, apparve sulla superficie del deserto qualcosa di minuto, di granuloso, fine come brina gelata in terra. A tal vista i figli d’Israele si chiesero l’un l’altro: «Che cos’è questo?» perché non sapevano che cosa fosse. E Mosè disse loro: «Questo è il pane che il Signore vi ha dato per cibo. Ecco ciò che ha prescritto in proposito il Signore: ne raccolga ognuno secondo le proprie necessità, un omer a testa, altrettanto ciascuno secondo il numero delle persone coabitanti nella tenda stessa così ne prenderete». Così fecero i figli di Israele e ne raccolsero chi più chi meno. Misurarono poi il recipiente del contenuto di un omer; ora colui che ne aveva molto non ne ebbe in superfluo e colui che ne aveva raccolto in quantità minima non ne ebbe in penuria; ciascuno insomma aveva raccolto in proporzione delle proprie necessità»”  (ES 16,16-18).