La seconda metà del 1918, tuttavia, come la storia ci insegna riservò all’Austria-Ungheria e ai suoi alleati una cocente sconfitta: sul fronte italiano, in particolare, tra il 24 ottobre e il 3 novembre la linea del Piave venne sfondata in più punti e le truppe comandate dal generale Armando Diaz dilagarono rapidamente nei territori occupati liberando Vittorio Veneto il 30 ottobre e le città di Trento e Trieste il 3 novembre. E con la fine dell’amministrazione militare asburgica fini anche la Cassa Veneta dei Prestiti, rendendo di fatto carta straccia i buoni in circolazione. Così, dopo l’armistizio fu istituita una commissione per accertare l’entità dei buoni in circolazione, compito quando mai arduo dato che i documenti erano stati trasferiti a Vienna poco tempo prima della sconfitta. Un’attenta analisi basata sullo studio dei numeri di serie portò a quantificare in alcune decine di miliardi di lire l’importo dell’emissione, ma alla fine si arrivò a stimare una circolazione effettiva di circa 500 milioni di lire.
La forte differenza è da imputare al fatto che, con tutta probabilità, i buoni di cassa non furono numerati dagli Austriaci in serie progressiva ma “casualmente” in modo da poter richiedere, in caso di sconfitta dell’Italia, un indennizzo stratosferico. Così, il 27 febbraio 1919 si giunse alla deliberazione di cambiare ad ogni capofamiglia un massimo di 1000 lire in buoni “veneti” contro un 40% di indennizzo in lire italiane. Poco più di 106 milioni di lire “venete” vennero ritirate per il cambio contro circa 42,4 milioni di lire italiane. In seguito, ai possessori dei buoni della Cassa Veneta dei Prestiti fu riconosciuto un ulteriore 20% che riguardò tuttavia solo 51 milioni di nominale per un indennizzo di 10,2 milioni di lire circa. L’annullamento dei buoni ritirati, prima della loro distruzione, venne in molti casi effettuato tramite perforazione in prossimità dei numeri di serie, come dimostrano alcuni rari esemplari con tale caratteristica reperibili sul mercato collezionistico, come quello da 20 lire qui illustrato.
Tra i buoni della Cassa Veneta dei Prestiti, tuttavia, il più importante per i numismatici è il taglio massimo da 1000 lire, molto raro perché poco utilizzato e quasi irreperibile in condizioni perfette. Inutile parlare di biglietti campione, finora pressoché sconosciuti e di cui siamo in grado, solo grazie alla disponibilità di un privato collezionista, di mostrarvi in esclusiva un esemplare. La stampa è identica agli esemplari di serie e mostra al dritto una cornice decorativa con agli angoli il valore 1000, in alto la denominazione BUONO DI CASSA | DA MILLE LIRE intervallato dal monogramma della Cassa e al centro due vignette laterali, a sinistra con testa di dea elmata (Minerva? Oppure una personificazione dell’Austria guerriera?) e a destra il valore e la clausola di corso legale; al centro il nome CASSA | VENETA | DEI PRESTITI e la data di emissione (2 GENNAIO 1918). Sotto le vignette laterali i numeri di serie.
Al retro, una cornice simile racchiude la vignetta centrale in cui sono ripetuti valore e nome dell’istituto emittente, nonché una comminatoria contro eventuali falsari. Il biglietto misura mm 161 x 110 ed è, come tutti gli altri della medesima serie, stampato su cartoncino e privo di filigrana. Ciò che rende unico e inedito il biglietto qui presentato – un vero e proprio “sopravvissuto numismatico” di quella Grande Guerra iniziata, per l’Italia, giusto un secolo fa – è, per l’appunto, l’assenza della numerazione e la contemporanea presenza dei due fori di annullamento: è probabile, perciò, che si tratti di un esemplare specimen fuoriuscito, dopo la fine conflitto, da una delle filiali bancarie coinvolte nell’operazione “buoni di cassa” e che, all’epoca usato come riscontro e ritenuto privo di ogni valore, è stato conservato per decenni fino ad entrate, fortunosamente, nel mercato del collezionismo.