EDITORIALE: TESORI NUMISMATICI
RITROVATI E DIMENTICATI, PERCHE’?

(di Roberto Ganganelli) | La storia che mi accingo a raccontarvi è reale e recente; i nomi delle persone coinvolte sono ovviamente stati omessi, ma l’essenza dei fatti – e dei “non fatti” – è troppo importante per essere taciuta. E’ ben noto come la Sardegna sia una regione ricca di storia e, per conseguenza, di testimonianze numismatiche sia prodotte dalle zecche dell’isola, nel corso dei secoli, che “importate” dalle diverse autorità che, nel tempo, ne hanno dominato il territorio. E i rinvenimenti monetali, in Sardegna, si può dire siano all’ordine del giorno: a volte si tratta di singoli esemplari, altre volte di piccoli gruppi di monete.

In questo caso, tuttavia, a presentarsi alla porta di casa dell’ispettore onorario di una delle Soprintendenze archeologiche dell’isola è stato un giovane che recava con sé un barattolo contenente ben 748 piccole monete in bronzo. L’ispettore, dopo averlo accolto e aver visionato l’insieme appena riemerso da una non meglio identificata località, ha convinto il “proprietario” (in realtà, come sappiamo, quelle monete erano e sono parte del patrimonio pubblico) a consegnargliele affinché fossero messe a disposizione delle autorità competenti.

Cosa che l’ispettore onorario ha fatto immediatamente, recandosi presso la locale Soprintndenza Archeologica accompagnando i materiali con una lettera nella quale si specificava come l’insieme risultasse, già da una prima e sommaria analisi, di eccezionale importanza non solo per la consistenza numerica, ma per la presenza preponderante di esemplari a nome di Costanzo II, Costanzo Gallo e Giuliano l’Apostata. Insomma, il primo tesoro di monete tardo imperiali romane emerso nella regione.

La Soprintendenza del caso, come prassi, ha preso in carico i 748 esemplari, ringraziando l’ispettore onorario per aver adempiuto ai doveri del suo incarico e, infine, consegnando allo stesso una copia protocollata, timbrata e firmata della lettera di accompagnamento delle monete, a mo’ di ricevuta.

Questo, nel gennaio di quest’anno; da allora, dei 748 bronzi non si è saputo più nulla; neppure è stata data notizia alla stampa locale. E’ presumibile che le monete si trovino al sicuro, ma è quasi certo che da allora nessuno si è premurato di catalogarle, studiarle ed evidenziarne l’importanza storica e per la conoscenza della circolazione monetaria in Sardegna. E pensare che lo stesso ispettore si era detto disponibile a provvedere, in modo non oneroso per le istituzioni – leggi, gratis e per amor di scienza – allo studio completo del tesoretto stesso.

Una storia, quella appena riassunta, che presenta aspetti positivi – per certi versi, eccezionali – ma anche, per l’ennesima volta, più di una zona d’ombra. Di certo è non comune che l’attore di un rinvenimento monetale si presenti da un esponente delle istituzioni e consegni il gruzzolo, piuttosto che cercare di venderlo sottobanco a qualche collezionista o mercante compiacente, oppure attraverso Internet, in barba al Codice Urbani e al resto della legislazione italiana.

Niente di strano, invece, nella successiva consegna da parte dell’ispettore alla Soprintendenza; ciò che amareggia è soprattutto il fatto che l’istituzione, come altre in casi simili, si sia limitata ad “incamerare” i materiali – torno a ripetere, di grande importanza scientifica per numero e per periodo cronologico – chiudendoli nel dimenticatoio di qualche magazzino.

In attesa di cosa? Di “tempi migliori”? Di quell’ampliamento degli organici e di quell’arrivo di nuovi fondi economici che permettano alla Soprintendenza di studiare le monete? La risposta è purtroppo più semplice: non si è ancora compreso, da parte di molte istituzioni pubbliche del settore beni culturali, innanzi tutto che il documento numismatico ha la stessa dignità e importanza degli altri reperti (specie quando si tratti di un insieme consistente e vario, come in questo caso) e poi che per censire e valorizzare il patrimonio pubblico ci si potrebbe avvalere in modo efficace di soggetti privati (cultori della materia, periti, professionisti) che sarebbero disponibili a studiare gratuitamente i tesoretti, o le migliaia e migliaia di monete giacenti nei musei, facendole “riemergere” una seconda volta da un sottosuolo – quello dell’oblio – che rischia di distruggerle definitivamente.