(di Roberto Ganganelli) | Torniamo ad occuparci delle inchieste giudiziarie che, periodicamente, vedono protagonisti i collezionisti nel nostro Paese segnalando due recenti sentenze di segno opposto e che, come tali, confermano l’esistenza di una distanza – purtroppo ancora lungi dall’essere sanata – tra la legittima passione numismatica privata ed il ruolo dello Stato nella definizione, gestione e tutela dei beni culturali, nella fattispecie le monete.
La prima sentenza, pronunciata dal Tribunale di Pisa, riguarda un collezionista rinviato a giudizio nel 2009 che, secondo il capo di imputazione, “acquistava o comunque riceveva 2357 monete antiche provento del delitto di cui all’art. 173 lettera a) D.Lv. 42/04 […] omettendo di presentare, nel termine indicato all’art. 59 comma 2, la denuncia degli atti di trasferimento della proprietà o della detenzione di beni culturali prevista dall’art. 10 D.Lv. 42/04”.
Sono seguiti anni di attesa, quindi il processo – in fondo, relativamente breve – con udienze concentrate in un anno, da marzo 2015 allo stesso mese di quest’anno, tra rinvii per l’assenza di testimoni, perizie di accusa e a difesa, fino al pronunciamento della sentenza con la quale il giudice ha ritenuto che “l’imputato debba essere assolto dall’imputazione di ricettazione sotto il duplice profilo dell’insussistenza della qualità di beni culturali delle monete a lui sequestrate e della mancata dimostrazione della loro provenienza da delitto”. E, fatto altrettanto importante: “Deve essere altresì assolto dall’accusa di omessa denuncia degli atti di trasferimento trattandosi di un adempimento non dovuto, e in ogni caso non ricadente sul soggetto che riveste la qualità di acquirente di beni culturali”. Quindi, assoluzione perché il fatto non sussiste e immediato dissequestro e restituzione dei materiali all’avente diritto.
Finalmente, dopo altri procedimenti in cui si è assistito ad una paradossale inversione dell’onere della prova e alla pretesa di voler far rientrare qualunque moneta – soprattutto se antica – nell’alveo di tutela/controllo dello Stato, anche se acquistata o detenuta regolarmente dal privato e anche se comunissima, ecco dunque una sentenza che riafferma con chiarezza sia il diritto al collezionismo sia il fatto che la denuncia di trasferimento di proprietà di monete, solo e quando qualificate come “beni culturali”, debba essere effettuata, eventualmente, dal venditore e non dall’acquirente. Questo, anche a conferma del fatto che le monete oggetto del procedimento – come la stragrande maggioranza degli esemplari numismatici antichi presenti sul mercato sia italiano che estero – non presentano alcuna caratteristica, anche se di elevato valore pecuniario, per essere classificate come “beni culturali”, ossia come oggetti da ricomprendere, più o meno coattivamente, nel patrimonio dello Stato.
La seconda sentenza è stata pronunciata in primo grado, sempre in aprile, ma dal Tribunale di Perugia. In una situazione più o meno simile alla precedente – sequestro, rinvio a giudizio, udienze e perizie – alla fine un collezionista si è visto arrivare tra capo e collo una condanna a due mesi di reclusione, ad un’ammenda e al pagamento delle spese processuali. Nulla di strano, si potrebbe pensare, dato che ogni processo ha una storia a sé, ma ciò che appare incomprensibile è che la sentenza di condanna – di cui presto si avranno le motivazioni, delle quali vi daremo conto – è scaturita, del tutto a sorpresa, dopo che: (1) lo stesso perito nominato dal Tribunale aveva dichiarato le monete sequestrate di nessun particolare interesse, rarità o valore; (2) era stata accertata l’esistenza di tutte le pezze d’appoggio relative agli acquisti presso commercianti abilitati; (3) lo stesso pubblico ministero aveva evidenziato al giudice, stante la situazione, il decadimento delle accuse e chiesto l’assoluzione con formula piena dell’imputato per insussistenza dell’ipotesi di reato.
In primo luogo è da sottolineare come alla base dell’operato dei periti di Stato non sembra esistere – alla luce dei tanti procedimenti seguiti negli anni – alcuna linea guida comune, né criteri univoci per il giudizio relativo alle monete: si spazia, infatti, tra posizioni di equilibrio e di obiettiva valutazione sulla natura degli esemplari oggetto di sequestro a posizioni limite, in senso restrittivo, per cui ogni tondello antico è considerato automaticamente unico e frutto – diretto o indiretto – della spoliazione del patrimonio nazionale o di qualche sito archeologico.
C’è da riflettere, quindi, e domandarsi se, ed in che misura, i giudici tengano conto delle sentenze emesse in casi simili e si avvalgano della giurisprudenza sul tema, per giungere a simili difformità di giudizio. Certo, la mole di sentenze emesse in Italia e la quantità dei procedimenti in corso rendono complessa un’analisi sistematica dei dispositivi, ma il fatto che “la legge non ammette ignoranza” deve valere anche per coloro che – proprio in base al diritto e alla giurisprudenza – sono chiamati a giudicare sull’innocenza o la colpevolezza dei cittadini.