“Meno chiacchiere e pia quattrini”, dice un vecchio detto genovese. Tutto lascia pensare che dietro Colombo, a sostenerlo, ci siano stati i suoi concittadini. Non per spirito campanilistico o motivi religiosi, ma perché, da uomini pratici, d’affari, aperti a idee larghe e ai relativi rischi, ritenevano realizzabile la scoperta di una nuova via per l’India. E già calcolavano i profitti che potevano trarne. C’è poi la pista fiorentina. Briolanda Moniz, una sorella di Felipa, la moglie di Colombo, ha sposato Francesco de Bardi, della famosa compagnia fiorentina. Vere e proprie società a nome collettivo, le compagnie dei Bardi, dei Gondi, degli Strozzi, dei Capponi, dei Corsini e soprattutto dei Medici controllano la produzione dei panni pregiati, nella quale gli artigiani fiorentini sono maestri. Commerciano nell’allume, nei libri (ancora non stampati in Spagna), nel legname, nel tonno, hanno l’appalto di molte zecche, si arricchiscono soprattutto con la vergognosa tratta degli schiavi. Nella filiale di Siviglia della compagnia dei Medici è “fattore” Giannotto Berardi, senza dubbio uno dei finanziatori del primo viaggio di Colombo. Una potenza economica mercantile e finanziaria che spiega come i sovrani spagnoli non siano ricorsi solo agli esborsi straordinari degli ebrei ma abbiano imposto nel 1487 una tassa a carico proprio dei mercanti fiorentini e genovesi che, espulsi gli ebrei, tendevano a sostituirsi ad essi nel prestar denaro alla Corte.
Colombo propone invano per due volte a Giovanni II re del Portogallo, al re di Francia Carlo VIII, al re d’Inghilterra Enrico VII quello che per lui non è un sogno ma una assoluta certezza: raggiungere l’India per Ponente, conquistare aldilà dell’Oceano il Paradiso terrestre, dove il Sole fa crescere l’oro… Basta solo attraversare l’Oceano. Ma benché il Portogallo, le cui navi hanno passato per prime l’Equatore nel 1471 e 11 anni dopo hanno raggiunto le foci del Congo, facendo crollare il mito dell’inabitabilità dei Tropici, bruci della febbre dell’oro e delle esplorazioni, Colombo ottiene un secco rifiuto. Nel 1485 Colombo si trasferisce in Spagna, alla corte di Ferdinando ed Isabella che, sposandosi nel 1496, hanno unito i due regni di Aragona e Castiglia.
Altri anni bui, pieni di umiliazioni, di privazioni, di derisioni quelli vissuti da Colombo peregrinando per le corti europee. La sua è giudicata un’impresa impossibile, pazzesca, basata su cognizioni errate. La Terra non può essere tonda, altrimenti le navi come potrebbero, dopo essere andate giù, risalire la curva e tornare su? Hemando de Talavera, confessore della regina e presidente del consiglio nominato dai Sovrani per giudicare l’attendibilità o meno delle proposte di Colombo, ammonisce Isabella che “sorpassare i limiti fissati da Dio al mondo significa peccare e perdere la propria anima per l’eternità”.