(di Lucio Taraborrelli) | La Contea di Manoppello, storica entità territoriale istituita dai Normanni dopo la loro conquista dell’Abruzzo e controllata, nei secoli successivi, da esponenti di importanti famiglie feudali legate all’autorità regnante di turno (i Palearia sotto gli Svevi, i De Sulliaco, di origini francesi, sotto gli Angioini), pervenne in maniera quasi fortunosa nelle mani di una ben notacasata della nobiltà romana, gli Orsini, all’incirca verso la metà del XIV secolo. Intorno al 1338, infatti, Napoleone Orsini, fratello dell’arcivescovo di Napoli, aveva sposato Maria de Sulliaco, secondogenita di Giovanni detto Russo de Sulliaco, rimasta erede della famiglia dopo la prematura morte del fratello Ugolino;egli seppe condurre con autorità le sorti della Contea e farsi stimare dai regnanti di Napoli, che oltre al titolo di conte di Manoppello gli conferirono anche le cariche di logoteta e protonotario del Regno.
Sebbene dalla documentazione pervenuta ci risultino evidenti gli interessi di Napoleone Orsini per il territorio della Contea e per Guardiagrele in particolare, che all’epoca ne era divenuto il centro egemone proprio a scapito di Manoppello, il conte mantenne un legame molto forte con la città d’origine, Roma, tanto che alla sua morte, avvenuta nel settembre 1369, venne sepolto per sua volontà testamentaria nella cappella di famiglia, ubicata nella chiesa di Santa Petronilla adiacente al complesso della basilica costantiniana di San Pietro.
Gli subentrò nella titolarità della Contea e nelle cariche politiche il figlio primogenito Giovanni Orsini, noto uomo d’arme e partigiano di Carlo di Durazzo, il quale però morì, forse neppure quarantenne, il 5 luglio del 1384. A differenza del genitore, Giovanni Orsini non venne tumulato nel sacrario di famiglia a Roma, bensì nella cappella di San Giovanni Battista, che era stata realizzata nella collegiata di Santa Maria di Guardiagrele, a riprova di un legame ormai sempre più solido dei conti Orsini con la città ai piedi della Maiella.
A Giovanni succedette il figlio primogenito Napoleone II, ben presto insignito anch’egli di tutti i titoli detenuti prima dal nonno omonimo e poi dal padre. Per uno strano scherzo del destino, uno dei primi atti che il giovane Napoleone si trovò a dover compiere, a otto mesi dalla scomparsa del padre, fu la dettatura del proprio testamento, per via di una grave malattia che ne lasciava presagire una morte precoce; l’Orsini fece stilare le sue ultime volontà il 20 marzo 1385, alla presenza di una nutrita schiera di testimoni e di eminenti personaggi dell’epoca. L’importante documento, in passato spesso ritenuto perduto, è stato di recente rintracciato e pubblicato in forma integrale (cfr. L. Taraborrelli, “In terra nostra Guardiegrelis. Guardiagrele e il suo circondario nel Medioevo: nuovi documenti e nuove prospettive”, SIGRAF 2015, pp. 329-337) e dalla sua lettura emergono particolari assai interessanti per la presente indagine:tra tutti, la nomina ad erede universale del piccolissimo figlio Leone Giordano e la volontà di essere sepolto non nella cappella di San Giovanni Battista a Guardiagrele, dove egli stesso stava facendo realizzare il monumento funebre del padre, e neppure in quella che accoglieva i suoi avi a Roma, bensì nella cappella di San Leone papa, che per sua volontà si stava allestendo nella chiesa di San Francesco, parte integrante del convento dei Francescani a Guardiagrele.
Per sua fortuna il giovane riuscì a riprendersi dalla malattia e, tra alterne vicende, resse i destini della Contea di Manoppello fino al 1406, quando venne definitivamente esautorato dal re Ladislao di Durazzo, a cui, in un periodo di gravi turbolenze quale fu l’ultimo decennio del Trecento, aveva voltato le spalle almeno un paio di volte, per prendere le parti di Luigi d’Angiò, pretendente al trono di Napoli.
Inizialmente però Napoleone II era stato uno dei baroni più fedeli alla causa di Ladislao, tanto che il giovane sovrano gli aveva concesso, il 4 giugno 1391, la facoltà di coniare moneta in una zecca che l’Orsini avrebbe dovuto aprire nella sua terra di Guardiagrele; i bolognini d’argento, che per almeno un decennio vennero prodotti nell’officina guardiese, recavano al recto la sigla della zecca, GVAR, circondata dal nome del sovrano, LADISLAVS R[ex], e al verso il busto frontale di papa Leone, raffigurato col simbolo della famiglia Orsini – una rosa a cinque petali – sul manto papale, circondato dalla legenda S LEO PAPA (foto 2).
Poco meno di un decennio dopo, nel 1400, ultimati ormai i lavori di costruzione della cappella di San Leone che avrebbe dovuto accogliere i suoi resti mortali, Napoleone II Orsini solennemente la dotava di una cospicua rendita e vi nominava un cappellano per la celebrazione delle funzioni religiose ed un economo per l’amministrazione dei beni. Sempre per la stessa cappella, il conte commissionava la realizzazione di unostraordinario codice miniato, noto appunto come “Messale Orsini”, oggi custodito presso la Curia Arcivescovile di Chieti e da tempo noto al pubblico per la eccezionale qualità delle miniature che lo decorano.
Già all’inizio del secolo scorso c’era stato chi aveva notato, tra le messe dedicate alle feste dei santi durante l’anno liturgico, la particolare solennità riservata a quella di san Leone (foto 1) e la ricchezza delle decorazioni che caratterizzano l’incipit della messa (tra queste, in un composito intreccio di ghirigori coloratissimi, compare a fondo pagina lo stemma degli Orsini – foto 3): una ulteriore dimostrazione della sentita venerazione nei riguardi del Santo papa. Anche la seconda emissione di bolognini della zecca di Guardiagrele, sotto la regina Giovanna II di Durazzo, nel corso del terzo decennio del Quattrocento, vide confermata al rovescio la presenza del busto di san Leone, sebbene leggermente modificata nell’atteggiamento rispetto alla prima emissione (il papa ha la mano destra benedicente e con la sinistra regge una croce processionale, ad imitazione della figura di Celestino V che campeggiava sui bolognini di L’Aquila – foto 5).
Che nel personaggio in questione si debba riconoscere san Leone I, papa e dottore della Chiesa, non è mai stato posto in discussione dagli studiosi che nell’ultimo secolo si sono occupati dell’argomento, tanto è rilevante la sua statura per la dottrina della Chiesa, che gli ha conferito l’appellativo di Magno. Già nel 1913, infatti, Enrico Carusi sosteneva che si trattava di san Leone I papa e l’ipotesi è stata poi ribadita in tutti gli studi seguenti; anche in campo numismatico il busto di pontefice raffigurato sui bolognini guardiesi è sempre stato identificato con papa Leone Magno, pur restando oscure le motivazioni di una tanto profonda devozione dell’Orsini per il pontefice, col quale il conte poteva vantare unicamente una lontana affinità di carattere onomastico, non certo sufficiente a giustificare siffatta venerazione, giunta al punto da inserire nel nome del figlio primogenito un chiaro riferimento al papa santo e di allestire una cappella in suo onore, destinandola a propria estrema dimora.
Perché poi far effigiare sulle monete san Leone Magno con la rosa degli Orsini sul petto, associandolo così alla propria casata, piuttosto che altri santi che a Guardiagrele godevano di ben diverse attenzioni? Inoltre è finora passato inosservato il particolare che la messa dedicata a san Leone, nel “Messale Orsini”, occupa una posizione insolita nel calendario delle festività: essa infatti precede la messa per la festa dei santi Pietro e Paolo, che notoriamente si celebra il 29 giugno, mentre la ricorrenza di san Leone Magno in passato cadeva l’11 aprile.
La lettura integrale dell’atto del 28 giugno 1400 appena ricordato, anch’esso edito in forma integrale nel volume sopra citato (“In terra nostra Guardiegrelis” cit., pp. 338-344), ha però fornito elementi nuovi, in particolare nella sua parte conclusiva,dove si legge la data del documento: “Anno Domini millesimo quatricentesimo, die vicesimo octavo, mensis iunii, in festo gloriosissimi beati Leonis”. Appare chiara la volontà dell’Orsini di far coincidere la dotazione di uomini e beni per la cappella di San Leone, da lui edificata, con il giorno della festa solenne del Santo papa che, lo afferma proprio l’inedita pergamena, si celebrava il 28 giugno. Pertanto è assolutamente precisa e corretta la posizione della ricorrenza nel Santorale del “Messale Orsini”, a precedere quella dei santi Pietro e Paolo.
Indagini nelle agiografie più accreditate, come la “Bibliotheca Sanctorum”, confermano che in passato la festa del santo pontefice si celebrava realmente il 28 di giugno, ma la solennità non era quella di Leone Magno, bensì quella di papa Leone II, che resse la Chiesa romana dal febbraio 681 all’estate del 683; i vari testi agiografici riportano però scarsissime notizie su Leone II: di origini siciliane,era figlio di un medico ed è noto alle cronache per la sua eloquenza e la conoscenza del greco e del latino. Anche nella prima edizione del “Martirologio romano” del 1587, Leone II compare tra i santi elencati al 28 giugno (Leone Magno è invece all’11 aprile), mentre ulteriori conferme si trovano sia negli “Acta Sanctorum” dei padri Bollandisti, sia nel “Breviarium Romanum”, opere anch’esse autorevoli che, tra l’altro, ribadivano le origini siciliane del pontefice; ugualmente, in un raro calendarietto devozionale illustrato dell’anno bisestile 1868,erano presenti entrambe le festività dei santi pontefici, Leone Magno l’11 aprile e Leone II il 28 giugno (foto 4).
La devozione del conte di Manoppello per uno sconosciuto papa vissuto nell’oscuro VII secolo, per di più di origini siciliane, piuttosto che per il più noto e venerato Leone Magno, risulterebbe ancora più misteriosa e incomprensibile se non fosse che san Leone II papa – lo si apprende da più di una fonte – sembra fosse invece nativo dell’Abruzzo, più precisamente della Valle Siciliana, ai piedi del Gran Sasso. Il canonico teramano Nicola Palma, ad esempio, riferiva notizie a conforto delle origini abruzzesi di Leone II, in particolare un passo del “Pontificale Romano”, conservato nella Biblioteca Vaticana: “Leo II Junior dictus, ex Cedella Vallis Sicilianae in territorio Ulterioris Aprutii”.
Ma anche altri storici della Chiesa, non abruzzesi e dunque meno tacciabili di campanilismo, erano del medesimo parere, dal parroco romano Lorenzo Cardella (“Leone figlio di Paolo Menejo di professione medico, sortì i suoi natali in Cedella territorio della Valle di Sicilia”) al canonico Giuseppe De Novaes (“S. Leone II, figliuolo di Paolo Maneo Medico, nato, secondo alcuni, in Cedella nell’Abruzzo Ulteriore”), fino a Francesco Capecelatro (“Leone II, come nell’ottavo tomo del Cardinal Baronio si vede, fu un Pontefice Santo, nato in un picciol luogo di Abruzzo, nel territorio della Valle siciliana”).
Allo stesso modo non mostravano incertezze nel ritenere abruzzese Leone II sia Louis Marie de Cormenin (“Leo was born in Cedella, a small city of the thiter Abruzza”), sia il frate francescano Domenico di Sant’Eusanio, che in un’opera del 1850 dedicata ai santi e beati originari dell’Aquilano scriveva: “San Leone Secondo, dicesi nel Dizionario Universale delle Scienze Ecclesiastiche di Richard e Giraud, era figlio di un medico, per nome Paolo, della piccola città di Cedella in un cantone dell’Abruzzo Ulteriore, chiamato la Valle di Sicilia; ed è perciò che dalla maggior parte degli Scrittori è creduto Siciliano di nascita”.
Non è lo scopo principale della nostra indagine accertare se papa Leone II fosse siciliano di Sicilia, come sostenuto dalla “Bibliotheca Sanctorum”, oppure originario della Valle Siciliana d’Abruzzo, come tramandato da alcuni storici ed eruditi del passato; è importante piuttosto scoprire come, ben prima che si accendessero i dibattiti tra varie località della Sicilia e della Calabria sull’effettivo luogo natio di Leone II (soprattutto dal XVI secolo in poi, si contendono l’onore di avergli dato i natali Aidone, piccolo centro in provincia di Enna, ove esiste la parrocchia di San Leone II con tanto di iscrizione dedicatoria sull’architrave del portale, datata 1590, la stessa Messina, ove esiste un quartiere “San Leone”, ed anchela calabrese Gioia Tauro), sia stato un influente personaggio del Trecento, il conte di Manoppello e protonotario del Regno Napoleone II Orsini ad essere fermamente convinto che il papa fosse originario di quella Valle Siciliana che costituiva buona parte della Baronia di Palearia, area di provenienza della famiglia comitale omonima che aveva dominato la valle dall’alto della sua rocca e che, da lì, aveva esteso i propri possedimenti fino alla Contea di Manoppello, mentre alcuni suoi esponenti entravano addirittura nelle grazie dell’imperatore Federico II di Svevia (Gualtiero de Palearia fu vescovo di Catania e Palermo ed uno dei più influenti consiglieri del sovrano)
Quei vasti territori Napoleone li aveva ereditati in virtù del matrimonio tra suo nonno e l’ultima discendente dei Palearia ed ora li controllava in qualità di successore di tale antica e nobile casata. Se dunque la Valle Siciliana d’Abruzzo aveva dato i natali ad un papa santo, oltre che ai propri illustri antenati, il cui sangue ancora scorreva nelle sue vene, egli non poteva che esserne il più fervente devoto, serbandone e tramandandone il ricordo. L’Orsini ne era convinto al punto da far erigere una cappella in suo onore, destinata ad accogliere la propria sepoltura, da farlo effigiare sulle monete della zecca di Guardiagrele e da dedicargli una messa solenne in un prezioso messale: la rosa a cinque petali degli Orsini, raffigurata sul manto di papa Leone II nel verso dei bolognini, e lo stemma della famiglia che campeggia in fondo alla pagina della messa di san Leone nel “Codice Orsini“, mostrano così di possedere un significato assai più concreto e profondo, che fino ad oggi era sfuggito.