DOSSIER SPECIALE: 150 ANNI FA, IL VENETO ENTRA A FAR PARTE DELL’ITALIA | 2

(di Leonardo Mezzaroba) | Nei primi giorni dell’ottobre 1866, a Venezia le cose andarono rapidamente cambiando, a dispetto del fatto che gli Austriaci fossero ancora presenti in città: il 5 ottobre la “Gazzetta di Venezia” usciva senza l’aquila bicipite sulla testata; il giorno seguente si costituiva la Guardia Cittadina mentre la polizia austriaca cessava le sue funzioni; l’11 ottobre uscivano di prigione i detenuti politici; il 13 ottobre arrivavano i primi soldati italiani (200 fra artiglieri e genieri) per prendere in consegna i materiali giacenti nei magazzini della piazzaforte. Infine il 19 ottobre, alle 8 del mattino, in una stanza dell’Hotel Europa, a pochi passi da Piazza San Marco, il commissario francese Leboeuf consegnava, senza formalità, Venezia e il Veneto ai tre commissari italiani nominati in rappresentanza di Venezia, di Verona e di Mantova. 

Certo Leboeuf avrebbe preferito che il tutto avvenisse in una cornice ben più solenne, alla presenza dei sindaci di tutte le città venete; ma, come ebbe a commentare un indignato Mazzini, la circostanza sarebbe apparsa troppo umiliante per i Veneti, “ridotti a essere trasmessi come merce altrui all’Italia” (riportato in A. Zorzi, “Venezia…”, op. cit., p. 147). Poche ore dopo, le ultime truppe austriache, comandate dal generale Alemann, si imbarcavano per Trieste, mentre facevano la loro entrata a Venezia i soldati italiani accolti dalla popolazione festante.Diapositiva1

A sinistra, A. Sorgato, “Le prime guardie municipali di Venezia”, 1866 (stampa all’albumina; Archivi della Fondazione dei Musei Civici di Venezia); a destra, G. Casa, “Unione di Venezia all’Italia”, 1866 (Udine, Civici Musei e Gallerie di Storia e Arte)

Una giornata tanto importante venne celebrata con una medaglia in tutto simile a quella del 3 ottobre: stesse dimensioni, stesso metallo, stessa iconografia. Sole differenze: la legenda e la data, al rovescio. Dunque le due medaglie furono realizzate in rapida successione o, più verosimilmente, insieme, dalla stessa anonima mano, per costituire una “miniserie” legata ai primi significativi momenti del “passaggio” di Venezia all’Italia. In quello stesso 19 ottobre, poi, Vittorio Emanuele II decretava di decorare la bandiera del Comune di Venezia con la medaglia d’oro al valor militare “per gli atti ammirandi di valore e di imperitura costanza con cui difese la nazionalità italica nel 1848 e 1849”. Medaglia e copia del diploma sono conservati presso il Museo Correr di Venezia.Diapositiva2

Di anonimo autore, “Venezia consegnata all’Italia”, 1866 (AE, Ø mm 25; Collezione Voltolina)

Quella che venne assegnata fu la “tipica” medaglia al valore, realizzata alcuni anni prima da Giuseppe Ferraris, capo incisore della Zecca di Torino: al conferimento però avrebbe provveduto personalmente Vittorio Emanuele II, alla sua venuta nella città lagunare. Lo stesso sovrano, nei giorni immediatamente seguenti, dava due importanti disposizioni: da un lato stabiliva l’assegnazione della medaglia al valore “a chi si fosse particolarmente distinto nel corso della campagna del ‘66”, dall’altra estendeva il diritto ad ottenere la medaglia commemorativa delle guerre per l’indipendenza e l’unità d’Italia anche ai cittadini delle regioni appena annesse. Nella “Gazzetta di Venezia” del 28 ottobre appariva infatti il seguente avviso: “A ricordare que’ fatti gloriosi, che nel 1848-49 illustrarono l’Italia e la città nostra, insorte a combattere la prima pugna nazionale, il governo del Re stabilisce di coniare una medaglia, da conferirsi a tutti coloro che ebbero parte attiva in quelle sante battaglie”.Diapositiva3

A sinistra, G. Ferraris, “Medaglia d’oro al valor militare alla bandiera del municipio di Venezia”, 1866 (AU, g 31,2; Ø mm 33,7; Venezia, Museo Correr); a destra, diploma con motivazione del conferimento della medaglia d’oro (Venezia, Museo Correr)

Nella sezione risorgimentale del medagliere del Museo Correr sono conservate numerose medaglie al valore modellate su quella del Ferraris, ma talvolta senza il nome dell’autore e con modeste varianti, che riportano incisi luogo e date delle battaglie e nome del decorato. Quanto alla medaglia commemorativa, non si trattò di un nuovo conio, ma semplicemente della medaglia realizzata fin dall’anno precedente da Demetrio Canzani (attivo tra il 1864 e il 1870 presso la Zecca di Torino). In base al regio decreto che l’aveva istituita il 4 marzo 1865 (riportato in R. Mondini, Spigolando tra medaglie e date (1848 – 1870-71), Livorno 1913, pp. 340-342) essa doveva essere “portata appesa al lato sinistro del petto con un nastro in seta della larghezza di trentatré millimetri, formato di diciotto righe verticali coi tricolori della bandiera d’Italia alternati. Al nastro verranno adattate tante fascette d’argento quante sono le campagne alle quali l’individuo che ne è fregiato ha preso parte. Su di ogni fascetta sarà designata la campagna mediante il millesimo dell’anno in cui ebbe luogo”. Ad essa avevano diritto (previa domanda) tutti coloro che erano appartenuti a un qualche corpo militare regolare, volontario o alla guardia nazionale. È importante sottolineare che coloro che avevano militato nel 1866, ma avevano già ricevuto la medaglia in precedenza, dovevano limitarsi ad aggiungere la “fascetta” recante il millesimo 1866. La medaglia, molto ambita, ebbe grande successo, tanto da essere replicata, con modestissime differenze, dalla ditta Johnson che continuò a venderla almeno fin verso il 1920.

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D. Canzani, “Medaglia commemorativa con fascette delle varie campagne (1848, 1849, 1859, 1860, 1866)”, 1865 (AR, g 14,6; Ø mm 32; Venezia, Museo Correr)

In quel memorabile ottobre del 1866 rimaneva però da compiere ancora l’ultimo, fondamentale atto previsto già con l’armistizio di Cormons: il plebiscito. A questo riguardo, il commissario Leboeuf aveva stabilito che la consultazione avrebbe dovuto svolgersi senza alcuna ingerenza del governo italiano e anzi si era mostrato irremovibile nel proibire qualsiasi manifestazione inneggiante all’Italia prima della cessione di Venezia da parte di Napoleone III, impedendo ai cittadini veneziani persino di esporre bandiere tricolori.

Da parte sua, il primo ministro italiano, Bettino Ricasoli, aveva liquidato il plebiscito come una inutile ridicolaggine. Di rimando Leboeuf aveva rincarato la dose affermando che la cessione avrebbe dovuto essere solennemente proclamata da lui stesso dalle finestre di Palazzo Ducale e, infine, che la bandiera francese sarebbe dovuta salire sulle antenne di San Marco prima di quella italiana. Solo la mediazione dell’ambasciatore italiano a Parigi, Costantino Nigra, valse a smussare le tensioni più gravi e a portare a una uscita “informale” dell’Austria e, soprattutto, della Francia, dalla scena.

Convocata dal commissario civile del re, Giuseppe Pasolini, la consultazione, a suffragio universale maschile, ebbe luogo tra il 21 e il 22 ottobre. La formula stampata sulla scheda elettorale suonava a questo modo: “Dichiariamo la nostra unione al regno d’Italia sotto il governo monarchico costituzionale di Re Vittorio Emanuele e dei suoi successori”. A Venezia si crearono spontaneamente comitati di cittadini che giravano per la città muniti di volantini propagandistici con il “sì” stampigliato in bella evidenza. In quegli stessi giorni una delegazione veneta si recava a Torino per porgere a Vittorio Emanuele II “l’indirizzo di fedeltà di Venezia”.Diapositiva5

A sinistra, A. Pieroni, “Il plebiscito decreta la volontà di Venezia di essere italiana”, 1866 (AE, Ø mm 44; Collezione Voltolina); a destra, i conii della medaglia di A. Pieroni, conservati presso il Museo Correr di Venezia

In tutte le province coinvolte votarono 647.315 cittadini. Il 27 ottobre Sebastiano Tecchio, presidente della Corte d’Appello, proclamò i risultati definitivi, leggermente modificati, il 31 ottobre, da un ulteriore riconteggio. In effetti quello della discordanza dei voti costituì un piccolo giallo, testimoniato anche in ambito medaglistico. Ad esempio, nella medaglia specificamente dedicata al plebiscito, eseguita da Adolfo Pieroni, i “sì” sono indicati in 641758, mentre in quella che ricorda il saluto rivolto dal sovrano alla delegazione veneta, il 4 novembre 1866, risultano 647246. L’entità della differenza ha fatto concludere al Mondini (cfr. “Spigolando…”, op. cit., p. 372) che, evidentemente, dal conteggio erano stati volutamente esclusi i voti di Mantova. In pratica la medaglia del Pieroni sarebbe specificamente “veneta”. Tale ipotesi appare ragionevole dato che i conii sono conservati presso il Museo Correr e fanno ipotizzare dunque una committenza “veneziana”.

Il 4 novembre una nuova delegazione veneta era a Torino per presentare al re i verbali dei risultati del Plebiscito. A guidarla era il conte Giambattista Giustinian, rientrato a Venezia il 20 ottobre, dopo sette anni di esilio, e subito nominato podestà. Su questa appassionata figura di patriota conviene spendere almeno qualche parola. Appartenente all’antica famiglia patrizia veneziana dei Giustinian, Giambattista (1816-1888) aveva aderito entusiasticamente ai moti del 1848-1849 divenendo comandante della divisione della Guardia civica mobilitata e questore nell’assemblea permanente. Dopo la resa, il Giustinian e la moglie Elisabetta Michiel furono sottoposti a un controllo tanto severo da parte delle autorità da convincerli, nel 1859, a emigrare definitivamente a Torino rinunciando alla loro condizione agiata per vivere in ristrettezze.

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A sinistra, le tre medaglie di Giambattista Giustinian, deputato dal 1860 al 1866 (opera di G. Ferraris, AU g 8,0; Ø mm 20; Venezia, Museo Correr); a destra le due medaglie di Giambattista Giustinian, senatore, 1866 (opera, l’una di G. Ferraris; l’altra di F. Speranza; AU g 8,0; Ø mm 20; Venezia, Museo Correr)

Nel 1860 Giustinian era stato eletto nel Comitato politico centrale veneto, con sede a Torino, e nello stesso anno fu nominato deputato del Parlamento sabaudo e rieletto nelle varie legislature sino al suo rientro a Venezia dove fu accolto trionfalmente e scortato, tra uno stuolo di gondole, dalla stazione di Santa Lucia alla sua residenza a San Trovaso. Fu subito nominato podestà (l’ultimo) con l’incarico di governare il breve periodo di transizione fra gli ordinamenti legislativi del cessato regime e quelli nuovi. All’inizio di novembre, prima dell’arrivo di Vittorio Emanuele II in città, il Giustinian fu nominato senatore del Regno.Diapositiva7

Di anonimo autore, “Medaglia di Giambattista Giustinian eletto consigliere comunale”, 1868 (AR g, 5,8; Ø mm 21; Venezia, Museo Correr)

Primo sindaco di Venezia, egli rimase in carica sino al 1868, quando, lasciato il posto a Giuseppe Giovannelli, coprì il ruolo di consigliere comunale. Morì nel 1888, non ebbe figli e, dopo la morte della moglie, tutte le sue sostanze andarono in beneficenza. Naturale dunque che i Veneziani avessero posto il Giustinian a capo della delegazione, comprendente rappresentanti di tutte le città venete e di Mantova, per incontrare il sovrano e ufficializzare il passaggio del Veneto all’Italia. E questo giorno memorabile fu variamente rappresentato in opere pittoriche (ad esempio da Carlo Bosoli), ma fu celebrato anche in due medaglie e in vari gettoni.

Una prima medaglia, opera del francese Maurice Borrel (1804-1882), colpisce per la insolita rappresentazione di Vittorio Emanuele II. Eloquente il giudizio del Mondini al riguardo: “in essa [la medaglia del Borrel, NdA] l’artista non fu molto felice nel riportare il ritratto del Re, il quale, laureato e avvolto nella clamide, vi appare in tale atteggiamento da dirsi più feroce che forte e fiero” (Spigolando, op. cit., pp. 372-373).Diapositiva8

A sinistra, L. Montatone, I rappresentanti per il plebiscito veneto, 4 novembre 1866 (stampa all’albumina; Archivi della Fondazione dei Musei Civici di Venezia). Giambattista Giustinian è seduto al centro; a destra, C. Bossoli, La delegazione veneta porta a Torino i risultati del plebiscito, 1866 (Venezia, Museo Correr)

Una seconda, grande medaglia ci riporta più puntualmente all’incontro della delegazione con il sovrano che, a Palazzo Reale, rispose al saluto indirizzatogli da Giustinian con un appassionato discorso. Il passaggio più significativo viene proposto proprio nel rovescio della medaglia: “Nel giorno d’oggi scompare per sempre dalla Penisola ogni vestigio di dominazione straniera. L’Italia è fatta se non compiuta. Tocca ora agli italiani saperla difendere farla prospera e grande: Signori, la corona di ferro venne pure in questo giorno solenne restituita all’Italia: ma a questa corona io antepongo ancora quella a me più cara, fatta coll’amore dei popoli.”Diapositiva9

M. Borrel, “Vittorio Emanuele II ratifica i risultati del plebiscito”, 1866 (AE, Ø mm 74)

Si trattò di una medaglia davvero singolare, le cui straordinarie dimensioni esaltavano l’iconografia, altamente spettacolare, e consentivano l’ampia trascrizione appena riportata, con l’aggiunta di altre informazioni legate, ad esempio, all’esito della consultazione plebiscitaria. Singolare, e per certi versi misteriosa, la tecnica di realizzazione: secondo alcuni commentatori l’esecuzione dei conii non fu portata a compimento; sta di fatto che la medaglia venne ottenuta, in un limitato numero di esemplari, attraverso un procedimento di galvanizzazione. Ancora più misterioso lo scioglimento delle iniziali dell’autore o, più verosimilmente, degli autori (Z. C. B. F. ET. M. F.) dietro le quali dovrebbe celarsi il nome Bonfiglio Zaccagnini (Zaccagnini Cavalier Bonfiglio Fece), mentre restano irrisolte le lettere M. F. (cfr. A. Modesti, M. Traina, “Le medaglie e le monete che hanno fatto l’Italia (1846-1871)”, Roma 2011, p. 489).

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B. Zaccagnini (?), “Vittorio Emanuele II proclama l’annessione del Veneto all’Italia”, 1866 (galvano, AE, Ø mm 106; Venezia, Museo Correr)

Al 4 novembre è legata anche una strana, modesta medaglia-gettone inneggiante, con numerose varianti (ne sono note almeno sette), all’Italia unita. Nel suo aspetto “base” la medaglia appare caratterizzata dall’immagine simbolica dell’Italia (testa di donna con corona turrita) e la scritta VIVA ITALIA UNITA. Alcune varianti presentano, nel campo del rovescio, un numero (3 e 50), forse inciso successivamente, che potrebbe far pensare a un utilizzo particolare della medaglia, magari come gettone per la distribuzione di beni alimentari ai poveri, in occasione dei festeggiamenti. Quasi tutti gli esemplari sono anonimi; in un paio appare la sigla, misteriosa, E. M.; solo uno reca la firma di un autore piuttosto noto all’epoca: Carlo Tabasso, incisore torinese che, a partire dal 1870, diede vita ad un’officina meccanica per l’incisione e la coniazione di metalli e medaglie.

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Due varianti della medaglia gettone inneggiante all’Italia unita (la prima è siglata EM e reca inciso il numero 3); 1866 (AE, Ø mm 22,3 – 22,5; Collezione Voltolina)

Fin dalla proclamazione dei risultati del plebiscito, a Venezia si attendeva la venuta del sovrano. Francesco Stiore (1806-1884), ultimo grande incisore della Zecca di Venezia, si era messo subito all’opera per creare una medaglia da offrire a Vittorio Emanuele II. Egli non era nuovo a simili iniziative: già nel 1847 aveva fornito di sua iniziativa una medaglia ai membri del IX Congresso degli scienziati, svoltosi appunto a Venezia; nel 1865 aveva personalmente promosso la medaglia commemorativa per l’amico e maestro Antonio Fabris. Il 2 novembre la “Gazzetta di Venezia” dava questa notizia: “Medaglia commemorativa. Sentiamo che il sig. Francesco Stiore pubblicherà una medaglia commemorativa del solenne ingresso del Re a Venezia. Essa raffigurerà da una parte il Canal grande affollato dalle barche, ed avrà dall’altra una iscrizione”.

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(leggi qui la terza parte)