Dacchè Ferdinando di Borbone unificò i due Regni di Napoli e di Sicilia, dando vita al Regno delle Due Sicilie (legge 8 dicembre 1816, n. 565), tutta la monetazione del Regno venne prodotta nella zecca di Napoli, fatta eccezione per un tentativo di coniazione avvenuto nel 1836 presso la zecca di Palermo, in occasione del quale “vennero battuti cinque tipi di monete di rame con pesi e dimensioni pari a quelli delle corrispondenti monete normali da 10, 5, 2. 1 e mezzo tornese, ma con valori espressi in grani siciliani” (cfr. D’incerti V., “Le Monete Borboniche delle Due Sicilie”, Milano 1960).
Tali monete, che in ossequio al principio dell’autonomia dell’Isola recavano, anziché la legenda prescritta dalla legge monetaria, quella incisa nelle vecchie monete del Regno di Sicilia (“Regni Siciliarum et Hierusalem Rex”), non furono approvate e per esse venne immediatamente impartito l’ordine di non immetterle nella circolazione e di rifonderle, sebbene alcuni esemplari finirono ugualmente nell’ordinario flusso circolatorio. L’ultima coniazione nella zecca di Napoli di monete borboniche, recanti il ritratto di Francesco II ed emesse in quattro tipi, di cui due in argento (120 grana e 20 grana) e due in rame (10 tornesi e 2 tornesi), avvenne il 15 novembre del 1860, come si apprende da una lettera del 19 novembre 1860 diretta al “Signor Consigliere incaricato delle Finanze” (cfr. D’Incerti V., opera cit., p. 39 e Bovi G. “La monetazione napoletana nel 1859 e negli anni seguenti” in “Estratto dall’Archivio storico per le Province Napoletane”, Nuova serie , vol. XL, p. 427).
Un contingente di oltre 480.000 pezzi della moneta da 10 tornesi con il ritratto di Francesco II, venne poi coniato nella zecca di Roma nel febbraio del 1861, durante l’esilio del monarca borbone presso la fortezza di Gaeta. Per inciso, nella ex Collezione Reale sono anche presenti, a nome di Francesco II, una mezza piastra e una moneta da 5 tornesi definite “prove” (cfr. “Corpus Nummorum Italicorum. Volume XX. Italia Meridionale Continentale”, Roma 1943, pp.692-693). Tali monete, che vennero introdotte nel Regno per finanziare i rivoltosi filo-borbonici, erano del tutto simili, salvo per la mancanza delle iniziali dell’incisore, per l’orientamento della rigatura sul taglio e per altri modesti particolari, a quelle coniate a Napoli con il millesimo 1859, sebbene i relativi tondelli non fossero di puro rame ma in mistura di bassa lega.
Analizziamo ora l’ordinamento monetario durante la dittatura di Garibaldi. La suddivisione territoriale del Regno delle Due Sicilie in Province continentali e domini “al di là del Faro”, comportò un’attuazione temporalmente differenziata dei provvedimenti monetari che caratterizzarono la breve fase della Dittatura che precedette l’annessione al Regno d’Italia. Appena tre giorni dopo lo sbarco dei Mille a Marsala, con decreto del 14 maggio 1860 n. 1 il generale Giuseppe Garibaldi assumeva nel nome di Vittorio Emanuele re d’Italia la Dittatura in Sicilia (l’appellativo di “re d’Italia” era ovviamente improprio, in quanto egli era, in quel momento storico, monarca del Regno di Sardegna). Il primo provvedimento riguardante la monetazione venne adottato con legge del 17 agosto 1860, n. 159 promulgata dal Prodittatore della Sicilia, Agostino Depretis, nominato da Garibaldi con decreto in data 22 luglio 1860, n. 118.
Con questa legge, la cui applicazione era riferita alla sola Sicilia e non alle Province continentali, si ordinava l’unificazione del sistema monetario dell’isola con quello italiano, stabilendo che l’unità monetaria sarebbe stata da quel momento la “lira nuova italiana o franco”. Nel contempo, la legge n. 159 disponeva la riapertura della zecca di Palermo per la coniazione delle monete in argento da 50 centesimi, 1 lira, 2 lire e 5 lire nonché delle monete in bronzo da 1, 2 e 5 centesimi e in oro da dieci e 20 lire.