Gli splendidi ritratti effigiati sulle monete del Ducato di Milano nella seconda metà del Quattrocento rappresentarono un nuovo modo di fare propaganda politica
Di Gabriele Tonello. Il Rinascimento affonda le sue radici nella ribellione dei Comuni al potere imperiale, nel profondo rinnovamento della vita spirituale e più in generale nello stato d’animo degli uomini del tempo, che si misero a cercare appassionatamente la bellezza nel mondo, trovandola nella cultura classica antica e nel rifiorire dell’arte. Questa sete di bellezza determina la nascita quasi contemporanea di espressioni artistiche quali non si erano mai viste prima, eccezion fatta forse per l’Atene di Pericle, e non si sarebbero più viste dopo. Non vi è città italiana che non sia ornata dai frutti di questa grande arte e, per citare Bernareggi, illustre numismatico, a “questa stessa grande arte si riportano le monete che noi consideriamo”, una serie di monete di straordinaria bellezza che portano il ritratto di principi, sovrani e pontefici, di un’epoca che va dalla metà del secolo XV al primo decennio di quello successivo. Un’attenzione alla bellezza che nelle monete viene abbinata a un nuovo modo di fare propaganda politica.
Le migliori espressioni di questo connubio si hanno nel Ducato di Milano dopo il 1450; un’epoca caratterizzata dal dominio degli Sforza, che ci hanno lasciato numerose testimonianze numismatiche. La prima che prendiamo in esame per comprendere l’importanza dell’estetica nel messaggio politico è il doppio ducato di Galeazzo Maria Sforza (1466-1476). Le monete di Milano avevano una enorme rilevanza anche internazionale ed è quasi ovvio che avvenisse un graduale cambiamento verso nuove forme di propaganda politica. Sovrani a cavallo erano un segno forte nel panorama monetario del Quattrocento. Se Francesco Sforza conserva questo tipo di raffigurazione, il nuovo ducato sforzesco si distingue però per la testa del sovrano. E la testa, con Galeazzo, diventa la protagonista indiscussa della moneta. La ricchezza e il potere devono emergere dal ritratto, il volto del Signore si mostra in forme nuove e personali, mentre il diametro delle monete diventa progressivamente più largo e sempre più disponibile per rappresentare il più fedelmente possibile l’autorità del Duca.
Un’ulteriore evoluzione dello stile si ha pochi anni dopo con Gian Galeazzo Maria (1476-1494). La perentorietà del ritratto del suo predecessore lascia spazio ai fini e delicati lineamenti del giovane Duca e alla mirabile sintesi plastica incentrata sui capelli, sul tipico berretto e sul profilo presente nel doppio ducato, caratteristiche che lo rendono uno dei più ammirati esemplari della serie rinascimentale.
Questo rapido excursus sulla monetazione rinascimentale milanese continua con due monete in argento che ben rappresentano le trame del potere del periodo. Ludovico il Moro (1476-1494) è rientrato in città da qualche anno e con arguzia e vari inganni riesce a subentrare a Bona di Savoia in qualità di reggente di Gian Galeazzo, diventando il vero padrone di Milano. Se nel primo dei due testoni in argento il Duca viene rappresentato da solo abbinato ai simboli del governo cittadino, il secondo mostra come l’ascesa al potere del Moro sia ormai giunta a compimento, con il suo ritratto accoppiato a quello del suo signore in un esemplare che è forse da considerare come il più artisticamente prestigioso fra quelli coniati dalla Zecca di Milano.
Da notare inoltre come i due ritratti abbiano proporzioni leggermente diverse, con il profilo di Ludovico più imponente, proprio a rimarcare il predominio sul nipote. In chiusura, possiamo dunque sostenere che ancora una volta numismatica e politica dimostrano di essere profondamente legate, ma abbiamo inoltre visto che con il Rinascimento l’elemento artistico ritorna ad arricchire e rafforzare questo connubio, divenendo una costante fino ai giorni nostri.