SANTA MARIA AI MONTI NELLE MONETE DI INNOCENZO XI

L’attribuzione del soggetto ad una specifica iconografia mariana, dopo che sia il Muntoni sia Vittorio Emanuele III non si erano soffermati su questo dettaglio, è confermata risalendo a quella che è la prima opera significativa sulla monetazione dei papi, ossia la “Breve notizia delle monete pontificie antiche, e moderne sino alle ultime dell’anno XV del regnante pontefice Clemente XI” scritta dall’erudito Saverio Scilla nel 1715. A p. 278, infatti, troviamo scritto esplicitamente: “Sub tuum praesidium. Nel Doblone da 4. Scudi d’oro, con l’impronto della B.V. de’ Monti, e li 4. Santi, San Stefano, San Lorenzo, S. Agostino, e San Francesco d’Assisi; e nel Testone con la detta Immagine senza i suddetti 4. Santi”. Evidentemente lo Scilla, profondo conoscitore di Roma e prossimo, da un punto di vista temporale, alla data di emissione delle tipologie in oggetto, fu dunque in grado di descrivere compiutamente la moneta, come del resto avrebbe fatto, oltre un secolo più tardi, anche Angelo Cinagli (cfr. “Le monete de’ papi descritte in tavole sinottiche”, p. 253 nn. 1-3 e p. 256 n. 63).

Torniamo ora a Roma, nel suo cuore antico e pulsante: nel luogo in cui oggi sorge la Chiesa di Santa Maria ai Monti vi era un monastero di clarisse del XIII secolo nel quale, all’inizio del XV secolo, una sala fu affrescata l’immagine della Madonna con il Bambino e alcuni santi. Dopo l’abbandono da parte delle monache, la sala fu utilizzata come fienile finché nel 1579 l’edificio fu interessato da numerose scosse, simili ad un terremoto, tanto che gli abitanti pensarono fosse infestato dagli spiriti. Si udì anche una voce che pregava di “non far male al bambino”: a parlare – secondo le cronache – era stato l’affresco rinvenuto in una cavità di un muro. La notizia si sparse per tutta Roma e iniziarono a verificarsi guarigioni miracolose. Il ripetersi dei miracoli e la folla che ogni giorno si accalcava dinanzi all’edificio convinsero papa Gregorio XIII a far rimuovere l’immagine e a dare incarico all’architetto Giacomo della Porta di costruire la Chiesa di Santa Maria ai Monti dove custodirla e renderne possibile il culto.

Ne palazzo a fianco della chiesa aveva sede la Confraternita dei catecumeni e neofiti, nata da un’intuizione sant’Ignazio di Loyola, il quale già a casa sua a Roma (dove arrivò nel 1538) usava ricevere alcuni ebrei, predicando loro il Vangelo e battezzandoli. La Confraternita nasce formalmente nel 1542 ed inizia la sua missione con buon successo, tanto che le fonti ci parlano di centinaia di catecumeni. Anche in virtù di questa prossimità con l’istituzione gesuitica, la Chiesa di Santa Maria dei Monti, in seguito, diventa la seconda per importanza dell’Ordine dopo quella del Gesù. Sullo spigolo tra la facciata principale del palazzo del Collegio e quella laterale, che confina con la chiesa, è collocato un tabernacolo a bassorilievo, con cornice architettonica che ospita al suo interno un gruppo scultoreo risalente al XVII secolo che raffigura, in stile ben più moderno rispetto all’affresco miracoloso, la Madonna dei Monti. Lo stesso stile e la stessa impostazione – guarda caso – in cui è realizzato il gruppo iconografico inciso sulle quadruple e i testoni di Innocenzo XI.

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L’edicola che ospita il gruppo scultoreo “copiato” sulle monete di Innocenzo XI


Per quale ragione, tuttavia, il pontefice volle fare omaggio di tanta gloria numismatica a questa icona in fondo “minore” nel panorama del culto mariano? Ci guida verso la risposta ancora lo Scilla, a p. 258 della sua opera quando, in riferimento alla quadrupla e al testone dell’anno I, riporta che “L’una, e l’altra Moneta battuta nell’anno I del Pontif. In memoria dell’essere stato egli Protettore del Collegio de’ Neofiti, unito alla d. Chiesa”. Benedetto Odescalchi, infatti, oltre ad essere stato educato in giovane età presso il Collegio dei Gesuiti di Como si era anche iscritto alla Congregazione Mariana e, nel corso della sua carriera ecclesiastica nell’Urbe, era stato a lungo responsabile del Collegio dei neofiti e catecumeni.

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Scudo di Innocenzo XI con stemma araldico e soggetto mariano (Au, mm 23,00, g 3,36) (source: Nomisma 50, 2014, lot 261)


Furono, in definitiva, la formazione gesuitica, il legame con l’istituzione religiosa del rione Monti e il fervido attaccamento dell’Odescalchi al culto mariano (testimoniato anche da altre emissioni del pontificato) a far sì che il beato Innocenzo XI – non avendo potuto rinunciare alla tiara, di cui avvertiva tutto il gravoso peso – prendesse la decisione di porre su alcune delle sue primissime, e più prestigiose monete, quella Vergine ai Monti ritenuta capace di far miracoli e quel motto – “Sotto la tua protezione” – così carico di devozione e di umana fragilità.