(di Roberto Ganganelli) | Innocenzo XI Odescalchi (Como 1611 – Roma 1689), in un secolo dominato dal malcostume del nepotismo, è ricordato tra i pontefici romani come “padre dei poveri”. Dopo aver tentato di rifiutare la tiara, senza riuscirci, impone infatti che la cerimonia di incoronazione sia semplice il più possibile e si distribuiscano ai poveri di Roma e ai pellegrini indigenti i denari risparmiati. Esige per sé una sola veste bianca, cibi frugali e un apparato cerimoniale ridotto vietando a tutti i suoi familiari di chiedere o ricevere alcunché in quanto “nipoti del papa”. Umile nella materialità quanto fermo nei propositi dottrinari, ingaggia con il Re Sole un vero e proprio braccio di ferro diplomatico-teologico a causa dei “Quattro articoli” promulgati da Luigi XIV che prevedono l’indipendenza del re dal papa negli affari temporali, l’inferiorità del pontefice rispetto ad un concilio ecumenico, il rispetto da parte del papa delle tradizioni di Francia e la ratifica, da parte della Chiesa universale, delle decisioni pontificie in ambito dottrinale e dogmatico. Agli Stati della Chiesa, la fermezza di papa Odescalchi costa l’occupazione francese di Avignone e del Contado Venassino, mentre a favore di Innocenzo XI giocano la vittoria delle armate cristiane sui Turchi a Vienna, nel 1683, favorita dall’opera del frate cappuccino Marco d’Aviano inviato per riappacificare il re polacco Giovanni Sobieski con il duca Carlo di Lorena, comandante delle truppe imperiali. Il papa attribuisce la vittoria alla Madonna e, in onore del suo nome, istituisce la festa del 12 settembre. Innocenzo XI muore nel 1689, dopo una breve malattia e sarà beatificato da Pio XII nel 1956.
Ritratto di Innocenzo IX (source: web)
Anche quando viene eletto al soglio di Pietro, papa Odescalchi si pone sotto l’esplicita protezione di Maria, come testimoniano tre monete, di due tipologie diverse, coniate nell’anno I di pontificato. Si tratta di due quadruple e di un testone sulle quali, in abbinamento allo stemma o al ritratto del dritto, troviamo una Madonna in trono con il Bambino tra le braccia, da sola o in compagnia di quattro santi: san Lorenzo martire e sant’Agostino di Ippona a sinistra, santo Stefano protomartire e san Francesco d’Assisi a destra.
Quadrupla di Innocenzo XI, anno I (Au, mm 31,00, g 13,25) (source: author)
Testone, anno I (Ag, mm 31,00, g 9,56) (source: author)
Si tratta di quattro figure assai importanti, ma anche assai distanti e difficilmente “assimilabili” tra loro nella storia della Chiesa: se infatti Stefano – uno dei primi sette diaconi scelti dalla comunità cristiana per aiutare gli apostoli nel ministero della fede – visse a cavallo tra I secolo a.C. e I secolo d.C. (morì probabilmente nel 36), san Lorenzo – pur anch’esso martire – visse tra il 225 e il 258 e fu uno dei primi sette diaconi di Roma per essere quindi, almeno secondo la tradizione, giustiziato su una graticola messa sul fuoco ardente. Per quanto riguarda Agostino (354-430), siamo di fronte ad uno dei massimi dottori della Chiesa: filosofo e teologo, oltre che vescovo, fu autore delle “Confessioni” ed è considerato da molti, anche non cattolici e non credenti, come uno dei massimi pensatori della storia umana; san Francesco d’Assisi (1182-1226), per parte sua, è il “rivoluzionario della povertà” che, in pieno Medioevo, favorì la riforma della Chiesa e il dialogo tra le religioni, invocando l’umiltà ed esaltando la bellezza e il valore della natura.
Qual è, dunque, la ragione che portò gli incisori pontifici – ovviamente, su indicazione dello stesso papa – ad affiancare alla Vergine questi quattro santi? La spiegazione non è poi così oscura, se solo ci soffermiamo ad analizzare un po’ l’iconografia della Madonna sulle monete e il percorso di formazione giovanile di Innocenzo XI. Notiamo, innanzi tutto, come sul testone dell’anno I (Muntoni III, n. 60, p. 12) il trono appaia di foggia antica, con timpano triangolare e due delicati vasetti con dentro tre rose ciascuno collocati sulle sommità delle colonnine di sostegno dello schienale. La Madonna, inoltre, veste un manto che – almeno nei rari esemplari di medio-alta conservazione – appare decorato di stelle e sia lei sia il Bambino sono ornati da nimbo lineare. Il medesimo conio viene impiegato anche per la quadrupla dell’anno I, di eccezionale rarità (Muntoni III, n. 4, p. 5). Per quanto riguarda, invece, la seconda tipologia di quadrupla (Muntoni II, nn. 5 e 5 Var. I, pp. 5-6) la composizione appare decisamente rielaborata con l’aggiunta delle figure dei santi, i nimbi circolari ma a quattro raggi sopra le teste della Vergine e di Gesù ed un evidente restyling – diremmo oggi – del trono, che appare più lineare e moderno nel timpano come nelle finiture delle colonne. In entrambi i casi, si tratta della cosiddetta Madonna dei Monti che si venera in Roma.
La Chiesa di Santa Maria dei Monti in un’incisione settecentesca (source: author)