(di Stefano Poddi) | Il 6 dicembre scvorso scomparso a 99 anni un uomo che, dopo essere stato prigioniero e aver sofferto nei lager nazisti da Auschwitz a Ebensee, ha impegnato gran parte della sua vita per combattere contro lo strisciante revisionismo del sistematico massacro operato dai nazisti nei confronti degli ebrei, durante la II Guerra Mondiale. Andava nelle scuole, partecipava a incontri e conferenze in tutto il mondo per mostrare ovunque fosse, le foto, i documenti e talvolta anche il numero del lager che aveva tatuato sull’avambraccio, perché tutte le cose orribili che lui aveva vissuto non potessero verificarsi di nuovo.
Adolf Burger ha fatto parte della più grande operazione di contraffazione nella storia della cartamoneta: l’Operazione Bernhard, che prevedeva la produzione di una quantita’ enorme di sterline false di altissima qualità, tali da ingannare i cassieri di tutto il mondo, e da riuscire in poco tempo a mettere in ginocchio l’economia britannica.Per rendere onore alla sua memoria riporto qui alcune note, che tornato in albergo dopo averlo intervistato nel 2007, avevo scritto a caldo, quasi a voler placare il turbine di emozioni che mi sopraffaceva dopo aver incontrato un uomo del genere, con la voglia di mettere tutto nero su bianco, prima che potesse svanire.
“E’ il 30 ottobre 2007 e siamo a Sporilov, un quartiere di Praga, fatto di grandi palazzi anonimi ma anche di case basse con annesso giardinetto. In una di queste abita Adolf Burger, unico superstite del campo di concentramento di Sachsenhausen, 35 km a nord di Berlino, dove durante la II Guerra Mondiale, i nazisti preparavano, attraverso la massiccia produzione di sterline false di qualità eccezionale, un’inflazione galoppante e quindi il tracollo economico della Gran Bretagna.
Siamo in anticipo di circa un’ora, l’appuntamento, fissato molto tempo prima, è previsto per le dieci. La mattinata è fredda e brumosa ed il quartiere non è fra i più accoglienti di Praga, passeggiamo per scaldarci, io e Marco Poeta, che lavora all’Istituto Italiano di Cultura di Praga e che gentilmente si presta a farmi da interprete. Mentre camminiamo ci appare, quasi come un miraggio, un insegna che reclamizzando una nota marca di caffè ci indica un bar, con tavolini, caffè, cornetti e dolci, cosa non certo comune nella Repubblica Ceca.
Ci sediamo e ordiniamo qualcosa di caldo mentre commentiamo il libro di Burger tradotto in ceco ‘Dablova Dilna’ (‘L’officina del diavolo’) ricco di fotografie, tabelle e documenti, l’argomento è molto interessante e ci prende, e in un attimo arriva l’ora dell’incontro. Ci muoviamo immediatamente non voglio per nulla al mondo arrivare in ritardo ad un appuntamento tanto atteso e preparato da tempo, grazie anche alla collaborazione dell’Ambasciata Italiana a Praga, nello specifico alla cortesia e alla disponibilità dell’ambasciatore Fabio Pigliapoco.
Burger è un novantenne in ottima forma e anche molto impegnato, da quando nel 1972 ha avvertito alcuni tentativi di revisione che tendevano a negare o perlomeno a ridimensionare drasticamente l’Olocausto subito degli ebrei e, da allora, ha iniziato una serie di incontri e di conferenze in giro per il mondo per testimoniare attraverso la sua presenza, i documenti e le foto che porta sempre con sé, che tutto l’orrore generato dal regime nazista è stato reale, anzi realissimo. Infatti quello che nella attuale società occidentale, opulenta e disincantata, potrebbe sembrare un ottimo plot per un film dell’orrore è veramente accaduto, qui nella civilissima Europa, solo una sessantina di anni fa.
L’intervista inizia con il racconto della sua vita, dalla nascita il 12 agosto del 1917 a Velka Lominca, un paesino sugli Alti Tatra nella Slovacchia, al lavoro da tipografo a Bratislava, ai falsi certificati di battesimo cattolico che stampava per salvare gli ebrei dalla deportazione, al suo arresto e alla deportazione nei diversi campi di concentramento di Auschwitz, Birkenau, Sachhausen, Redl-Zipf, ed infine Ebensee, dove avvenne la sua liberazione da parte degli americani il 5 maggio 1945.
Quasi con orgoglio ci mostra il numero 64401 che i nazisti gli hanno tatuato sull’avambraccio sinistro il 12 settembre 1942 a Birkenau, dove venne sottoposto anche agli esperimenti del dott. Josef Mengele, riportando febbri oltre 42 gradi e rischiando di morire; ma dopo 18 mesi di permanenza, durante una conta serale dei deportati, viene convocato per la mattina successiva dal responsabile del campo Rudolf Franz Hess.
Durante la notte Burger non riesce a dormire, è agitato e teme che sia giunto il suo momento, dal campo di Birkenau e molto difficile uscire vivi, non può neanche immaginare che quello e’ solo l’inizio del percorso che lo porterà verso la salvezza. Il giorno dopo il responsabile del campo Hess si rivolge a lui chiamandolo inaspettatamente per nome e cognome: ‘Lei e’ il Sig. Adolf Burger?’. ‘Si’. ‘Lei e’ un tipografo?’. ‘Si’. ‘Abbiamo bisogno di lei a Berlino’. I nazisti stanno raggruppando nella baracca n. 19 del campo di concentramento di Sachsenhausen, un gruppo di persone esperte nella lavorazione della carta: disegnatori, tipografi, ritoccatori, chimici, fotografi, decoratori, ecc., il gruppo è composto da 137 deportati ebrei di 13 nazionalità differenti prelevati dagli altri campi.
Mentre i ricordi fluiscono in modo uniforme, senza fretta, come un mantra recitato mille volte ma che ogni volta rivela qualcosa di nuovo, io faccio domande, ascolto le risposte, registro e prendo appunti, mentre Burger ci offre gentilmente dei pasticcini con ripieno alla pasta di noci, chiedendoci se preferiamo accompagnarli con tè o caffè, poi iniziamo a parlare del film ‘Die Fälscher’ di Stefan Ruzowitzky, che nell’edizione italiana si chiamerà ‘Il falsario’, che già ha vinto numerosi premi e che in seguito vincerà a mani basse l’Oscar per il miglior film straniero del 2008.
Burger ha fatto da consulente per il film senza ricevere nessun compenso, ma pretendendo di dare il benestare finale alla sceneggiatura, in modo che fosse rispettata nella sostanza della verità storica. Infatti, nella sua stesura originale, la sceneggiatura riportava diversi errori storici, sicuramente più spettacolari ma assolutamente falsi: come il fatto di aver prodotto milioni di dollari falsi, mentre in realtà se ne produssero solamente 200 pezzi del taglio da 100 dollari; oppure della liberazione dei prigionieri da parte dei Russi, mentre in realtà furono gli Americani a liberarli dal campo di Ebensee; o anche la falsa notizia di alcune onorificenze naziste, croci di guerra e medaglie al merito, concesse agli internati della baracca n. 19.
Per quanto riguarda questa ultima questione, che poteva lasciare intravedere un lato umano nel comportamento dei nazisti verso i deportati, che erano pur sempre degli ebrei ma, utili alla causa tedesca, originariamente venne riportata in un libro scritto nel 1956 da Wilhelm Hottl sotto lo pseudonimo di Walter Hagen, ripresa poi da numerosi testi successivi; ebbene questa storia è completamente inventata, Burger ha denunciato Hottl, ma questi è scomparso prima che il processo a suo carico potesse essere celebrato, portando con sé nella tomba anche le sue false verità.
I nazisti non avevano certo comportamenti umani verso le proprie vittime, ma probabilmente non erano neanche tutti dei violenti sanguinari; purtroppo, secondo il clima imperante in quel momento storico, un comportamento anche se inumano poteva essere percepito e accettato da persone non avverse per principio al nazismo e sottoposte alla propaganda martellante, come l’unica cosa giusta da fare in quel momento.
Il racconto di Burger prosegue avvincente: quando i nazisti decisero di produrre i dollari falsi, il chimico olandese Abraham Jacobson, alterando la gelatina necessaria al processo di stampa, fece in modo di ritardare l’esecutività del progetto e Burger era l’unico che fosse a conoscenza del sabotaggio. Visti gli insuccessi Kruger, il maggiore delle SS responsabile dell’ Operazione Bernhard, inserì nel piccolo team che lavorava alla falsificazione dei dollari un falsario professionista; Salamon Smolinoff, già detenuto nelle prigioni tedesche per il reato di falsificazione e internato a Sachsenhausen.
Si trattava di un ebreo di origine russa, falsario per vocazione, il quale entrando a Sachhausen era stato prontamente isolato dagli altri deportati in quanto detenuto comune e non politico come tutti gli altri. Diventò, contrariamente alle aspettative, molto amico di Burger. ‘Quello si che era un vero falsario, riusciva a ritoccare i negativi tramite i quali produrre le banconote, e non i positivi come facevano i comuni falsari’ ci dice Burgher mentre ci mostra un quadro che conserva con molta cura, il quadro che lo ritrae giovane ed internato, realizzato proprio da Smolianoff.
Quindi prende alcune banconote false prodotte a Sachsenhausen e nel farlo le controlla controluce, le cosiddette ‘White Notes’ spesso erano tenute insieme fra loro con uno spillo, ma nessuno dei sudditi della regina, si presumeva, si sarebbe permesso di trafiggere l’effige della Britannia posta nell’angolo in alto a sinistra della banconota. I prigionieri addetti all’invecchiamento della banconote false, per renderle più simili agli originali, lo facevano invece di proposito, per segnalare all’esterno, in qualche modo, la falsità della banconota.
Dopo la produzione dei 200 biglietti da 100 dollari di ottima qualità, tutto era pronto per stamparne milioni di esemplari dal giorno successivo in poi, ma i russi erano arrivati molto vicini, erano a circa 100 km da Berlino e arrivò il contrordine. Le sterline false, gli strumenti per produrle e gli archivi segreti vennero sistemati in una sessantina di casse, che caricate su un convoglio formato da una quindicina di camion, vennero trasferite e gettate nelle fredde acque del laghetto alpino di Oplita in Austria, al fine di nascondere il tutto agli occhi del mondo.
La segretezza della Operazione Bernhard, che prendeva il nome da Bernhard Kruger, il maggiore nazista responsabile del progetto, doveva essere assoluta. Sia la baracca n. 19 ed in seguito anche la n. 18, vennero isolate dal resto del campo tramite un triplice filo spinato percorso da corrente ad alta tensione, quando qualcuno del gruppo si ammalava, anche in forma leggera, veniva direttamente eliminato senza passare dall’infermeria, per evitare la fuga di notizie. Burger si reca spesso in Germania e in altri paesi, fra pochi giorni sarà in partenza per una serie di conferenze in Giappone: è una specie di ‘globetrotter della verita’. Il libro, dal quale è tratto il film, ora disponibile anche in ceco oltre che il lingua tedesca, è il frutto di tre anni di ricerche e di viaggi, perchè dice Burger, ‘si possono scrivere volumi e volumi, ma per essere creduti bisogna comprovare quanto si dice con foto e documenti’.
Il tempo è volato e ci accomiatiamo da Burger nel giardinetto che circonda la villetta con una stretta di mano ed un intenso sguardo negli occhi, accompagnati dalla promessa di risentirci a breve; c’è una sorta di imbarazzo da superare nell’interrompere la corrente umana che si è stabilita fra di noi, ma ognuno di noi ha i suoi impegni e Burger ha addirittura una missione da compiere. Sono le tredici, ormai, e lo straordinario incontro con un testimone della storia è da poco terminato: mi rilasso sul sedile posteriore del taxi che attraversando Praga mi riporta in albergo e ripenso a quanto è accaduto, alle mie domande e alle sue risposte, ma soprattutto al tono della sua voce, all’energia e alla determinazione che mi ha trasmesso.
Mentre nel primo pomeriggio scrivo queste brevi note, la tensione della mattinata è calata e mi prende una gradevole e appagante sensazione, quella di aver avuto la fortuna di vivere un’opportunità straordinaria, quella di conoscere un uomo integro ed intero, nel quale la storia personale, il pensiero e l’azione sono correlate e conseguenti, indissolubilmente intrecciate fra di loro in una unica ed esemplare storia di vita”.
Per chi avesse voglia di approfondire questa la storia, nel mio volume “Soldi di carta“, pubblicato recentemente, vi è un capitolo dal titolo “Operazione Bernhard. L’Officina del Diavolo” che parla proprio di questo.