(di Raffaele Iula) | Il terzo secolo d.C., un periodo – per dir così – piuttosto movimentato della storia dell’Impero Romano, ha offerto spesso degli spunti di ricerca avvincenti e, a volte, nuovi, ora per un verso, ora per un altro. Molte sono state le occasioni per ribadire tale concetto, ma la vivacità storica che caratterizza questo secolo rende i suoi protagonisti oggetto di continua indagine e divulgazione. Non è diverso il caso dell’usurpatore che viene a trovarsi al centro di questo scritto, anzi, il suo è ancora più controverso di altri e merita un adeguato resoconto compendiario per delinearne il profilo alla luce delle recenti vicende che l’hanno visto coinvolto in un ampio dibattito mediatico.
Tutto ebbe inizio il 28 novembre 1900 nella località detta Les Cléons, dipartimento della Loira Inferiore, in Francia, quando in un terreno di proprietà di un certo Félix Chaillou, membro della Société Archéologique de Nantes, fu rinvenuto un cospicuo tesoretto monetale, racchiuso in un semplice vaso, in cui erano rappresentati molti imperatori romani e di quel comparto territoriale secessionista che va sotto il nome di Impero delle Gallie. Il tesoretto pervenne nelle mani del noto studioso Allotte de la Fuye che provvide a pubblicare alcuni articoli inerenti al ritrovamento, nonostante quelli di risonanza minore dati alle stampe dallo stesso Chaillou. Allotte de la Fuye fu tra i primi a rendersi conto che tra le varie monete che componevano il tesoretto (vi erano rappresentati Gordiano III, Gallieno, Postumo, Vittorino, Tetrico I, Claudio II e persino un antoniniano di Macriano) ve n’era una che, all’apparenza, nulla aveva di diverso dalle altre degli Imperatori gallici, se non il nome che recava nella legenda del dritto, il quale non apparteneva a nessuna autorità ufficiale nota in quel periodo: aveva così sapientemente distinto dal resto dei 1300 antoniniani del tesoretto di Les Cléons un pezzo unico che avrebbe aperto nuovi spiragli alla conoscenza storica dell’Impero Romano nel III secolo. La moneta viene così descritta: D/ IMP C DOMITIANVS P F AVG, busto radiato e corazzato rivolto a destra. R/ CONCORDI | A MILITVM, la Concordia stante a sinistra, regge nella mano destra una patera e nella sinistra una cornucopia.
Con un peso di g 2,20 prima della pulizia e di g 2,19 dopo l’intervento che ha rimosso i residui e le incrostazioni conseguenti al ritrovamento, l’antoniniano di Domiziano (a cui è stato aggiunto il numerale II per distinguerlo dall’omonimo imperatore Tito Flavio Domiziano che ha regnato dall’81 al 96 d.C.) è stato classificato in RIC V, Part II, a p. 590, n. 1 (figg. 1 e 1 bis).
Fin dai primi scritti di Chaillou e di Allotte de la Fuye si è cercato di stabilire, a livello storico, chi fosse questo Domiziano, il quale, grazie al ritrovamento di Cléons, irrompeva così d’improvviso nella Storia dell’Impero Romano: il tutto era dovuto ad una piccola e, all’apparenza, insospettabile moneta di scarso valore intrinseco. Entrambi gli studiosi francesi misero in relazione questo usurpatore con un ufficiale che, prestando servizio sotto Aureolo, generale, all’epoca, dell’imperatore Gallieno, intorno al 261 d.C., avrebbe fermato nell’Illirico l’avanzata di un altro usurpatore proveniente dall’Oriente, Macriano. Almeno ciò è quanto riportato dagli storici dell’“Historia Augusta” e dal bizantino Zosimo. L’attenzione che presto si focalizzò su un pezzo di tale importanza portò alla formulazione di più ipotesi da parte dei maggiori studiosi del tempo: Ernst Babelon si interessò del caso e tentò perfino di acquistare la moneta per inserirla nelle raccolte numismatiche del Cabinet de France, mentre altri, come W. Wroth ed A. Fred iniziarono a diffondere la notizia dell’eccezionale ritrovamento anche su riviste scientifiche estere.
Il tesoretto, compreso l’antoniniano di Domiziano II, restò nelle mani della famiglia dello scopritore fino a quando, dopo la sua morte, il tutto fu lasciato al figlio adottivo, il quale, il 26 luglio del 1929, donò l’intero gruzzolo al Museo Dobrée di Nantes. Ora che il reperto numismatico era così stato affidato ad un’istituzione pubblica, Allotte de la Fuye tornò ad intervenire, pubblicando agli albori degli anni Trenta del Novecento un calco in suo possesso che fu fatto sull’esemplare originale dell’antoniniano allora unico e che non aveva potuto rendere noto prima a causa dei timori che Chaillou gli aveva esposto, ovvero che dei falsari, grazie al calco, potessero realizzare delle riproduzioni fraudolente. Il calco pubblicato dall’orientalista francese fu ripreso anche da Percy H. Webb che curò la compilazione del RIC vol. V, Part II, in cui fu classificato ed illustrato l’antoniniano di Cléons (fig. 2).
Ben si riscontra, se si confronta l’immagine del calco di Allotte de la Fuye pubblicato in RIC V, II dal Webb con quelle più recenti qui riportate in figg. 1 e 1 bis, come la moneta si presentasse all’epoca più ricca d’incrostazioni, ancor più di quante ne avesse al momento della recente pulizia presentata da S. Estiot e G. Salaün nel loro articolo del 2004, alla citata tav. XIV (per cui si rimanda alla bibliografia). Ciò spinge ad ipotizzare che in passato, dopo il ritrovamento, l’antoniniano di Domiziano abbia subito altri interventi per liberarlo dalle incrostazioni proprie del suo stato.
La segretezza con cui Allotte de la Fuye custodì il calco della moneta e non lo divulgò prima della morte dello scopritore e della donazione delle monete al Museo Dobrée di Nantes da parte del figlio, spinse alcune esimie personalità del mondo numismatico a dubitare dell’autenticità dell’antoniniano di Domiziano II e a pensare ad una truffa, anche ai danni di studiosi seri che si erano lasciati trascinare dall’onda dello scoop, scambiando per genuino ciò che in realtà era stato rimaneggiato ed architettato ad arte.
Tra i detrattori dell’autenticità della moneta dell’usurpatore figurano, in particolar modo, l’italiano Lodovico Laffranchi ed il tedesco R. Delbruek, i quali si opposero al contemporaneo G. Elmer che, invece, considerava il pezzo originale. Condivisibili, per l’epoca, i dubbi espressi in merito dal Laffranchi in un suo corposo articolo pubblicato nel 1942 (per tutti i riferimenti bibliografici richiamati nel testo si rimanda all’apposita sezione bibliografia a fine scritto): egli affermava, infatti, che, data la somiglianza del ritratto con gli Imperatori gallici Vittorino e Tetrico I, la monetina del tesoretto di Cléons altro non era se non un comunissimo antoniniano di uno di questi due imperatori secessionisti rimaneggiato appositamente per creare una nuova moneta e far emergere così un personaggio semisconosciuto della Roma del III secolo, forse con l’intento di frodare qualche Museo, o qualche collezionista improvvisato ma agiato, che si sarebbero aspramente contesi il privilegio di possedere un pezzo unico al mondo. Il contesto archeologico in cui fu rinvenuto l’antoniniano incriminato – ricordiamo – tra circa 1300 monete, molte delle quali contemporanee, per emissioni e circolazione al nostro esemplare, fu una buona occasione, sempre stando al Laffranchi, per legittimare e rendere credibile una moneta autentica ma rimaneggiata per fini non proprio limpidi.
Avendo come unico pezzo da considerare quello del Museo Dobrée, i numismatici si sono dati battaglia per anni per definire la genuinità o meno dell’esemplare di Cléons. Da ciò dipendeva una conclusione di vitale importanza per la storia e la numismatica romana: se l’antoniniano francese si fosse rivelato autentico, non solo avrebbe dimostrato l’esistenza storica, già accennata da fonti tarde come l’“Historia Augusta” e Zosimo, di un nuovo usurpatore gallico che avrebbe preso il potere per un periodo di tempo più che breve, brevissimo, ma che ebbe anche il tempo e la possibilità di battere moneta, con la conseguente problematica dello studio specifico di siffatti pezzi.
Quando e dove operò Domiziano II per condurre la sua ribellione? Contro chi l’organizzò? Domande simili si sarebbero sollevate e avrebbero preteso una risposta nel caso l’antoniniano di Cléons si fosse rivelato autentico. Nel caso opposto, non aveva senso chiedersi queste cose se la moneta in oggetto era un antoniniano rimaneggiato, semplicemente perché non poteva offrire le informazioni, quanto meno credibili, necessarie per tentare di risolvere tali quesiti.
Un primo elemento datante per l’antoniniano di Domiziano è lo stesso tesoretto di Cléons: il contesto archeologico in cui fu rinvenuta la moneta, infatti, consente di offrire un primo punto fermo a livello cronologico. Grazie alla composizione del ritrovamento, si stabilisce che quest’ultimo possa essere stato nascosto tra la fine del 273 e l’inizio del 274 d.C. e dunque l’antoniniano di Domiziano II deve essere stato coniato non molto tempo prima di questa data.
Le fonti antiche possono fornire altri dati utili: Zosimo afferma che nel 271 circa Aureliano ebbe problemi con tre diversi usurpatori tra cui figura anche il nostro Domiziano, così come prima di prendere il potere in Gallia egli avrebbe scalato la gerarchia militare ricoprendo un ruolo di comando sotto Aureolo (267–268, prima generale di Gallieno (253–268) e poi alleato del suo nemico Postumo (260–269), allorquando questi ricevette l’ordine di fermare l’avanzata dell’esercito ribelle di Macriano, proveniente dall’Oriente, nel 261 d.C. Dopo la sconfitta e la morte di Aureolo a Milano che, come abbiamo detto, si era ribellato al legittimo Imperatore Gallieno, sembra verosimile che Domiziano abbia conservato il suo rango militare e sia fuggito con i rivoltosi superstiti in Gallia per unirsi alle truppe secessioniste del neonato Impero delle Gallie, governato dal suddetto Postumo, il quale non aveva dato alcun appoggio ad Aureolo, poiché anche lui costituiva una minaccia al suo potere. Intanto, però, Postumo aveva associato al trono gallico un certo Vittorino (267–269 come coimperatore e 270–271 da solo). Dopo la morte di quest’ultimo, la madre del defunto sovrano, Vittoria, spinse le legioni ad acclamare Tetrico I (271–274 d.C.), già governatore dell’Aquitania, come suo successore e nuovo Imperatore delle Gallie.
Dallo stile del ritratto che compare al dritto dell’antoniniano di Domiziano II, molto vicino a quelli monetali di Tetrico, si ipotizza che il Nostro abbia tentato di assumere il potere dopo la morte di Vittorino e che abbia conteso il trono delle Gallie a Tetrico. Tale ricostruzione, non solo è suffragata dal confronto delle monete in questione, ma l’inizio del principato di Tetrico, fissato al 271 d.C., e la ribellione di Domiziano II, secondo quanto riportato da Zosimo, coincidono.
Sembra molto probabile, dunque, che Domiziano abbia conteso il potere a Tetrico nel 271 e, in questo anno, abbia avuto a disposizione anche una zecca in cui battere moneta propria, forse per il pagamento dei soldati che intendevano sostenere la sua causa. Naturalmente, il tentativo di Domiziano era destinato a fallire entro breve tempo. Mentre il ritratto sembra fortemente vicino a quelli di Tetrico, il rovescio è del tutto particolare: la legenda CONCORDIA MILITVM non ha legittima corrispondenza con l’iconografia della Concordia con cornucopia e patera.
Proprio l’epiteto MILITVM dovrebbe contraddistinguere l’iconografia di una Concordia che abbia a che fare con degli attributi militari, come uno o più stendardi. L’ipotesi corrente per spiegare questa anomalia nel rovescio esplica la possibilità che, data la concitazione di quei momenti, Domiziano abbia ripreso dei conii già usati in due diverse officine monetarie delle Gallie: il dritto, con il suo ritratto vicino a quello di Tetrico, sarebbe stato frutto dell’Atelier II, mentre il rovescio proverrebbe dall’Atelier I. Una siffatta legenda, inneggiante alla concordia tra le truppe, accompagnava già prima della rivolta di Domiziano II un’iconografia più consueta della Personificazione, con patera e cornucopia. Già sotto il regno di Gordiano III (238–244 d.C.) comparvero degli antoniniani in argento con al rovescio la Concordia seduta mentre reggeva patera e doppia (ma a volte anche singola) cornucopia. La legenda che l’accompagnava recitava però CONCORDIA MILIT, caso molto simile al nostro: non vi è alcun riferimento iconografico al mondo militare, se non l’epigrafe sola (fig. 3).
L’affaire Domiziano si arricchì ulteriormente nel 2003: in quello stesso anno, mentre al Museo Dobrée veniva nuovamente individuato il primo esemplare dell’antoniniano di questo usurpatore, grazie al riordino dei depositi museali, in Inghilterra, di preciso nella regione dell’Oxfordshire, un fortunato cercatore, Brian Malin, ha rinvenuto con il suo metal detector un tesoretto di 4957 antoniniani ribattezzato Chalgrove II, poiché nella stessa zona, nel 1989, era stato già ritrovato un primo tesoretto (Chalgrove I, appunto), scoperto sempre dallo stesso Malin.
Il tesoretto di Chalgrove II rivelò immediatamente la sua importanza tant’è che fu portato a Londra dove fu ripulito e studiato da Richard Abdy , curatore del Roman Coins Department of Coins and Medals del British Museum. La sua composizione si rivelò ben presto molto simile al già noto Chalgrove I: le monete recavano i nomi di Imperatori legittimi da Treboniano Gallo (251– 53 d.C.) a Probo (276–282 d.C.), a cui andava aggiunto anche un nucleo di monete degli Imperatori gallici, da Postumo a Tetrico II (273–274 d.C.). E’ del tutto normale che monete coniate dalle zecche galliche circolassero anche nella Britannia romana, poiché anch’essa era parte integrante dei territori che si erano staccati dal governo centrale di Roma, mettendone in discussione l’autorità.
Tra gli antoniniani di questo tesoretto inglese spuntò inaspettatamente un secondo esemplare recante il nome di Domiziano II, del tutto simile a quello francese appena descritto (fig. 4). L’eccezionalità del ritrovamento non sfuggì neanche ai media locali ed ebbe grande risalto nel mondo scientifico e numismatico, in particolare.
Questo secondo antoniniano non solo prova in modo inattaccabile l’autenticità del primo, rinvenuto in Francia nel 1900, ma si è appreso che le due monete furono realizzate nello stesso atelier utilizzando i medesimi conii, sia di dritto che di rovescio.
Con questi nuovi dati, non solo abbiamo un quadro più completo sulla produzione monetale degli imperatori gallici nel corso del III secolo d.C. (ed anche sulla circolazione delle loro monete, poiché l’antoniniano di Domiziano II rinvenuto in Chalgrove II ha raggiunto i territori inglesi quasi sicuramente mediante circolazione), ma è stata fatta anche nuova luce su di un personaggio che, prima della scoperta di queste due testimonianze numismatiche, era stato trattenuto nelle tenebre della Storia, se non fosse stato per le scarsissime menzioni in fonti letterarie poco affidabili o tarde. Un usurpatore ignorato da molti che dopo più di millesettecento anni circa si è ripreso la sua rivincita conquistando le prime pagine di tutte le più note riviste di settore e non solo. Tutto grazie alla Numismatica.
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