“NASCERE NELLA PORPORA”:
EREDI AL TRONO
E SUCCESSIONE
NELLE MONETE DI BISANZIO

(di Luca Mezzaroba) | La successione al trono di Bisanzio rappresenta uno degli aspetti di maggior interesse di tutta la millenaria storia dell’impero d’oriente: può infatti sorprendere che, nonostante la sua straordinaria longevità, lo Stato bizantino non sia mai riuscito a regolare in modo chiaro e sicuro il cruciale passaggio del potere da un individuo all’altro. L’unico serio tentativo al riguardo, infatti, fu attuato sotto il regno di Diocleziano (284-305), tuttavia quel rigido sistema di successione al potere, che prese il nome di Tetrarchia, si rivelò fallimentare già durante il governo di Costantino I (306-337) e di Giuliano (360-363), che si opposero con decisione al criterio di avvicendamento tra imperatori anziani (augusti) e imperatori giovani (cesari).001Tramontata l’illusione della Tetrarchia, l’Impero Bizantino, lungo tutti i suoi millecentoventitre anni di vita, sperimentò numerosi modelli di successione: la carica imperiale, teoricamente elettiva, poteva infatti essere assegnata dal Senato o dal prevalere di una determinata fazione all’interno del Palazzo; queste soluzioni erano però in contrasto con la naturale tendenza dei sovrani a creare una propria dinastia, trasmettendo il potere a figli e parenti. Alla fine, fu proprio questo sistema di successione a prevalere nettamente e, pur non rimanendo immune da tentativi di usurpazione o da colpi di stato militari, riuscì ad assicurare la stabilità del potere a dinastie sempre più durature, garantendo la stabilità dello Stato per periodi sempre più lunghi.

Teodosio I (379-395) fu il primo ad introdurre a Bisanzio il concetto di coreggenza o associazione al trono: egli infatti decise di affiancarsi il giovanissimo figlio primogenito al quale, contrariamente al passato, non fu più assegnato il titolo di Cesare (dignità che, da quel momento, perse ogni valenza attiva) ma quello di Augusto, ponendolo di fatto al suo stesso livello. L’associazione al trono, infatti, prevedeva l’innalzamento alla dignità imperiale di tutti i figli, ma, normalmente, era al primogenito che spettava il compito di succedere al padre. Il sistema della coreggenza vide la sua fioritura solo a partire dal VII secolo; da quel momento tuttavia i basilei non abbandonarono più tale pratica, ritenendo che il trono fosse un bene di loro proprietà e riuscendo ad ottenere quasi sempre la fedeltà degli eserciti, che riconoscevano la dinastia regnante. Per ottenere il loro scopo ai sovrani occorreva però un modo per propagandare in modo evidente la legittimità dei loro eredi, non è quindi un caso che, proprio dal VII secolo, gli imperatori iniziarono a sfruttare l’emissione monetaria per trasmettere questo messaggio. La moneta si prestava infatti in modo ideale a soddisfare la volontà imperiale: le immagini dei correggenti cominciarono da quel momento ad apparire, specialmente nel dritto, affiancate a quella del basileo. Naturalmente quest’ultimo curava con la massima attenzione che fosse sottolineata la sua superiorità, come sovrano anziano, rispetto ai colleghi più giovani.002Le prime monete in cui emerge con evidenza la pratica della coreggenza sono quelle emesse durante il regno di Eraclio I (610-641). Mentre il tremisse continua a mantenere la sola immagine imperiale, invece sia nel solido d’oro che nel follis di bronzo il basileus appare affiancato dagli eredi al trono: prima dal solo Costantino, associato già nel 613, e successivamente anche da Eracleona e dalla figlia Eudocia, entrambi avuti dalla seconda moglie Martina. Proprio grazie a questi “aggiornamenti” della linea di successione imperiale, è possibile datare, almeno in modo approssimativo, le emissioni monetarie, considerando, ad esempio, che Eraclio si associò, cedendo alle pressanti richieste di Martina, il secondogenito solo nel 638, appena tre anni prima di morire.

Nonostante il campo del dritto sia affollato di personaggi, l’identificazione della figura imperiale non risulta difficoltosa: il basileo porta sempre la barba e risulta essere di dimensioni maggiori (o comunque più alto) rispetto a tutti gli altri personaggi. Al tempo stesso però, altri elementi presenti nella moneta sottolineano la condizione di parità tra gli imperatori, in modo da propagandare con efficacia la legittimità dell’associazione al potere: tutte le figure sono frontali, reggono il globo crucigero e indossano la corona e l’abito civile, costituito dai sandali di porpora e dalla clamide, trattenuta sulla spalla da una ricca fibbia.

Come sottolineato da Cécile Morrisson (cfr. “Byzance et sa monnaie. IV-XV siècle”, Lethielleux 2015, p. 39), questo modello iconografico ebbe particolare successo durante la dinastia Eracliana, tanto che, ad un primo sguardo, vi è il rischio di confondere le monete di Eraclio I con quelle del nipote Costante II (641-668). Venuti infatti a mancare in rapida successione entrambi i figli di Eraclio I (Costantino III morì pochi mesi dopo essere asceso al trono, mentre Eracleona, preso il potere, fu immediatamente destituito, mutilato del naso e inviato in esilio a Rodi), il nuovo sovrano Costante II non esitò a riproporre l’iconografia della coreggenza anche nei follis e soprattutto nei solidi, facendosi rappresentare, nel dritto di questi ultimi, dapprima con il solo primogenito Costantino, e aggiungendo successivamente, nel rovescio, gli altri figli Eraclio e Tiberio, tutti associati al trono. Anche in questo caso il basileo è chiaramente riconoscibile per le dimensioni e la barba; come di consueto egli è rappresentato di fronte con addosso la corona e gli abiti civili, tuttavia non ha in mano il globo crucigero, che è portato invece dalle due figure presenti sul rovescio.003Come si è già avuto modo di vedere, le monete, rappresentando le varie tappe delle associazioni al trono imperiale, offrono un quadro, necessariamente limitato, su ciò che avveniva nella corte di Bisanzio; questo emerge in modo evidente verso la fine della dinastia Eracliana. Nei solidi di Costantino IV (668-685), infatti, l’imperatore non è più ritratto nell’abito civile ma in quello militare, riprendendo così la tradizione dei sovrani del VI secolo, di maggior interesse però risulta l’iconografia legata alla coreggenza: se nelle sue prime monete il basileo è infatti ancora accompagnato, nel rovescio, dalle figure dei due fratelli associati al trono, nelle monete risalenti alla fine del suo regno i correggenti scompaiono del tutto. Questa scelta fu dovuta certamente al tentativo di usurpazione operato da Eraclio e Tiberio, che portò l’imperatore a destituirli facendo amputare loro il naso in modo che, menomati nel fisico, non potessero più accedere alla dignità imperiale (681). Secondo il diritto bizantino, infatti, una persona menomata non era considerata idonea a governare e, d’altra parte, queste punizioni avevano anche lo scopo di salvaguardare l’onore di chi le praticava, in quanto evitavano la poco decorosa uccisione del sovrano.004Con la drammatica fine di Giustiniano II Rinotmeto (685-695 e 705-711), riuscito a tornare sul trono imperiale nonostante la menomazione del naso, e del suo giovanissimo figlio, ebbe termine la dinastia Eracliana; il sistema della coreggenza e la sua espressione attraverso le monete si erano tuttavia mostrate efficaci, per questo motivo la nuova dinastia Isaurica decise non solo di riproporre tale iconografia nelle proprie monete, ma addirittura di incrementarne l’efficacia, con l’intento di glorificare l’intera famiglia regnante. Dall’VIII secolo si afferma dunque la prassi di rappresentare il basileo sul dritto della moneta, sia essa il solido o il follis, e il correggente (che ormai viene incoronato poco dopo la sua nascita) sul rovescio; tale iconografia fu favorita dall’adozione, da parte degli Isaurici, delle teorie iconoclaste, le quali portarono all’eliminazione della croce dal rovescio delle monete, facendo in questo modo sparire ogni connotazione “cristiana”.

Tutto questo appare in modo evidente già nelle monete di Leone III (717-741), fondatore della dinastia e promotore della crisi iconoclasta: il basileo, come di consueto, appare frontale, barbuto, con corona, clamide, mappa e globo crucigero (quest’ultimo assente nei follis); al rovescio il figlio Costantino, con le stesse insegne e le medesime dimensioni del padre, è invece sbarbato, chiaro indizio della sua giovane età. Proprio con quest’ultimo, l’iconografia inizia a subire le prime importanti variazioni, che porteranno la monetazione degli Isaurici ad assumere caratteristiche uniche nella storia bizantina e non solo: nei suoi solidi, Costantino V (741-775), raffigurato con corta barba, corona, clamide e mappa, sceglie di far rappresentare il figlio Leone sul dritto accanto a sé, riservando invece il rovescio al padre Leone III, il fondatore della dinastia. Il solido dunque assume una vera e propria funzione di esaltazione della famiglia regnante, che diverrà eclatante durante il regno di Leone IV (775-780) quando, oltre al basileus e al di lui figlio Costantino (rappresentati nel dritto), al rovescio appariranno le figure di Leone III e di Costantino V.005Tutto questo trova conferma anche nella legenda greca, posta sia nel dritto che nel rovescio del solido di Leone IV, nel quale sono identificati con precisione i vari personaggi: “Leon uios kai eggonos Constantinos o neos / Leon pappos Constantinos patèr”. Il fondatore della dinastia, Leone III, è così identificato come nonno (pappos) e Costantino V come padre (“patèr”) dell’imperatore regnante Leone IV; a loro volta lo stesso Leone IV e suo figlio Costantino sono rispettivamente figlio (“uios”) e nipote (“eggonos”) di Costantino V. In particolare, il futuro Costantino VI, che regnerà dal 790 al 797, per poi essere detronizzato e accecato dalla stessa madre Irene, è definito nelle monete del padre come “giovane” (“neos”), adeguandosi in questo modo alla tradizione bizantina che identificava, a partire da Eraclio I, gli eredi al trono di nome Costantino con tale appellativo. (cfr. “Byzance et sa monnaie”, op. cit., p. 42)

Con l’inizio del IX secolo, l’iconografia legata al sistema della coreggenza divenne la norma, apparendo sempre nelle monete imperiali, nonostante i gravi problemi politici e militari di quegli anni rendessero la trasmissione del potere ai figli molto complicata. È il caso, ad esempio, dei follis e dei solidi emessi durante il regno di Niceforo I (802-811) il quale, dopo aver posto fine alla dinastia Isaurica spodestando Irene, si fece rappresentare nelle monete assieme al figlio Stauracio. Riprendendo l’iconografia del VII secolo, i due basilei, pur con le stesse dimensioni, sono raffigurati rispettivamente nel dritto (Niceforo I) e nel rovescio (Stauracio); entrambi indossano la clamide e la corona, tuttavia mentre il giovane coreggente ha in mano il consueto globo crucigero, il sovrano, con corta barba, regge la mappa e una croce, primo timido segnale del ritorno all’ortodossia.006Molto simili appaiono le monete d’oro (non solo solidi, ma anche i tremisse) emesse da Michele II (820-829) capostipite della dinastia Amoriana. Anche in questo caso il sovrano regnante è mostrato di fronte sul dritto, mentre al rovescio appare il figlio Teofilo; curiosamente, rispetto ai solidi di Niceforo I, le insegne della regalità appaiono invertite, in quanto, in questo caso, è il correggente Teofilo a tenere in mano la croce mentre Michele II regge il globo crucigero.007Nonostante le speranze di creare una dinastia fossero evidenti, la fortuna non arrise ad entrambe le famiglie: Niceforo I, infatti, cadde in battaglia contro i Bulgari e, mentre il suo teschio veniva trasformato in una coppa per ordine del sovrano bulgaro Krum, il figlio Stauracio, gravemente ferito, era costretto ad abdicare prima di morire, qualche mese dopo. La dinastia Amoriana invece sopravvisse più a lungo: Teofilo infatti riuscì ad ereditare il trono (829-842), tuttavia suo figlio Michele III l’Ubriacone finì strangolato da uno dei suoi confidenti, Basilio il Macedone, il quale diede inizio ad una delle più grandi dinastie di Bisanzio.008Proprio con la gloriosa dinastia Macedone finisce questa rapida rassegna di monete imperiali legate al sistema dell’associazione al trono: con i Macedoni, infatti, il concetto di correggente si radica a tal punto nella mentalità comune che i vari usurpatori, che assunsero il potere approfittando della frequente minorità degli eredi al trono e che pure, nelle monete, tenteranno in ogni modo di far dimenticare i giovani principi non rappresentandoli, non riuscirono mai ad eliminarli a causa della cieca fedeltà della corte e degli eserciti alla dinastia. I figli della coppia imperiale infatti, per il semplice fatto di essere stati partoriti nella “Porphyra” (una stanza del Palazzo imperiale interamente ricoperta di porfido) erano considerati legittimi eredi e per questo erano detti “porfirogeniti”. Anche dal punto di vista numismatico, la rappresentazione dell’imperatore e dei correggenti, pur non sparendo, viene proposta solo al rovescio, in secondo piano rispetto all’immagine del Cristo, unica figura che ormai domina il dritto. Questa iconografia rimarrà pressoché invariata per oltre tre secoli.