(di Roberto Ganganelli) | Nel catalogo della vendita n. 161 della ditta tedesca Numismatik Lanz di Monaco spicca, al lotto n. 603, un interessantissimo esemplare in oro di zecca italiana, uno scudo d’oro (o, più esattamente, un unghero) battuto a nome di Ercole e Cornelio Pepoli nel 1700. La moneta, di grande rarità, era già passata in asta una prima volta da Lanz nel 2012 (vendita n. 154, lotto n. 1160). Stimata oggi ben 20 mila euro, la moneta si vede attribuita una base d’asta di 12 mila. Nel 2012, alla base di 5 mila eruo corrispose un realizzo di 13 mila. Al di là del risultato finale dell’incanto, tuttavia, l’unghero pepolese merita spazio perchè ci permette di riscoprire la breve storia di una delle tante, piccole zecche (intese come istituzioni, non tanto come effettive officine di coniazione) che nei secoli hanno costellato la Penisola trasformando la numismatica italiana in uno dei panorami più variegate ed affascinanti del mondo.
Paese montano in provincia di Bologna, quasi al confine con la Toscana, Castiglione dei Pepoli – già Castiglione dei Gatti – assurge alla “gloria numismatica” nel 1700 quando l’imperatore Leopoldo I d’Austria attribuisce i titoli di marchesi e principi dell’Impero ad Ercole e Cornelio Pepoli, con diritto di battere moneta in oro e in argento. Ne nascono I rarissimi ungheri di cui un esemplare è inserito nell’asta Lanz di dicembre e sui quali, al dritto, è incise una cartella quadrangolare decorate con, all’interno, I nomi HERCVLES | ET | CORNELIVS | COMITES | PEPOLI e al rovescio l’aquila bicipite caricata in petto da scudo a scacchi coronato e con, nei rostri, la spada e lo scettro; attorno, la legenda LEOPOLDI . I . IMP. MVNVS.
L’unghero di Castiglione dei Pepoli in vendita a Monaco di Baviera (source: Numismatik Lanz)La moneta, diametro di 24 millimetri e dal peso di circa 3,35 grammi, è presente sia nella ex Collezione Reale che nelle raccolte numismatiche del Museo Correr a Venezia. Resta un mistero il luogo effettivo in cui venne battuta e la scatola che ne conserva I conii fa parte delle raccolte del Museo Civico Archeologico di Bologna. In ogni caso, come sottolinea Michele Chimienti in “Le zecche italiane fino all’Unità” (pp. 586-587) “Le monete non furono in ogn I caso battute nella zecca di Bologna perchè un’autorizzazione simile sarebbe stata registrata negli atti dell’Assunteria di Zecca, completi e precisi per quel periodo […]”.
Dopo Ercole e Cornelio, Anche Alessandro e Sicinio Pepoli avrebbero coniato ungheri, altrettanto rari, per il piccolo feudo appenninico, nel periodo 1703-1713; dei mezzi bolognini in rame a nome dei Pepoli, invece, ci rimangono solo pochissime e controverse testimonianze.