(di Carlo Pedrazzi) | Tra il X e il XII secolo la società genovese, sotto la spinta di avvenimenti tra i quali crociate orientali e occidentali e politiche di espansione, passa da agricola a mercantile, e crescono l’attività navale e il commercio. Circolava in quel tempo a Genova il denaro pavese, non più erede del buon denaro carolingio, ma, svilito e dal bassissimo contenuto d’argento. L’affermazione di potenza marittima, i traffici con il meridione, con la Linguadoca, il litorale provenzale e catalano facevano sentire l’impellente necessità di una moneta propria e di prestigio.Sul finire dell’anno 1138, Corrado II re dei Romani concedeva a Genova il privilegio di zecca. Nasce la moneta genovese e come dice il De Negri (cfr. T. O. De Negri, “Storia di Genova”, Aldo Martello Editore, Milano 1974), “s’innesta su quella pavese e della pavese ripete anche lo schema aniconico, con la croce, il nome dell’Imperatore […] nonché quello della città. Quale fu il modello a cui si ispirò la zecca per battere il suo primo denaro? Il Casaretto, nel suo interessante saggio sulla prima moneta genovese (cfr. “La moneta genovese in confronto con le altre valute mediterranee nei secoli XII e XIII”, Società Ligure di Storia Patria, Genova 1928) formula l’ipotesi che non furono presi a modello i denari di Asti, Piacenza o dell’area milanese, ma, un denaro che favorisse la penetrazione commerciale in Provenza, nella Linguadoca e nell’occidente mediterraneo. La scelta fu per i denari melgoriensi, cioè, il numerario di Melgueil e di Montpellier. Questa moneta aveva gran reputazione anche fuori del meridione francese. Questa moneta, come tutti i denari dell’Alto Medioevo, si svilì nel tempo; da buon argento, si ridusse nel 1130 ad un contenuto di un terzo d’argento, come stranamente il nostro denaro genovese dieci anni dopo. In un documento del 1141 si ha che il peso del denaro di Genova deve essere 1,099 grammi e il titolo 333 millezsimi.
Di diversa opinione è M. Chiaudano (cfr. “La moneta di Genova nel secolo XII”, estratto da “ Il risparmio” Anno V, Fasc. 8, agosto 1957), il quale concorda con il Casaretto nel sostenere che il modello per il denaro genovese non fu il denaro pavese, ma dubita che possa riprodurre la moneta melgoriense. Egli elabora l’ipotesi con una serie di ragionamenti sui cambi correnti, sui contatti commerciali, che forse il modello per il denaro di Genova fu quello astigiano in quel tempo dello stesso intrinseco.