EDITORIALE: A PROPOSITO DI MONETE ED ESTREMISMI, RISPETTO E DIVERSITA’

documents-button(di Roberto Ganganelli) | La notizia della distruzione di Nimrud, nel nord dell’Iraq, era stata diffusa a inizio marzo dal Ministero del Turismo e delle Antichità iracheno che, con un post sulla propria pagina Facebook, affermava che l’Isis aveva raso al suolo con i bulldozer l’antico sito archeologico assiro. L’Unesco aveva condannato con decisione la distruzione paragonandola ad un vero e proprio crimine di guerra e la direttrice generale, Irina Bokova, aveva anche fatto appello alle autorità politiche e religiose della regione a sollevarsi contro una simile barbarie. Nimrud, la biblica Calah, è –  o meglio, era – un sito assiro a sud di Mosul, seconda città dell’Iraq identificata con l’antica Ninive, sulle rive del Tigri, sotto il contro dei miliziani dell’Isis dal giugno 2014: fondata dal re Shalmaneser (1274-1245 a.C.), divenne capitale dell’Impero Assiro sotto Assurbanipal II (883-859 a.C.) arrivando a contare ben 100 mila abitanti. Ieri, tutti i telegiornali e gli altri media hanno rilanciato le sequenze in cui, armati di martelli pneumatici e picconi, alcuni uomini hanno polverizzato, con lo zelo e l’alacrità che solo una parossistica esaltazione ideologica sanno infondere, sculture e bassorilievi che erano sopravvissuti a tre millenni di eventi naturali e di presenza umana.

Altre immagini, tragicamente simili e sempre provenienti dal Medio Oriente, ci hanno mostrato tempo fa gli edifici e i reperti dell’antica Hatra cancellati per sempre dal patrimonio dell’Umanità; e si tratta solo di due esempi, quelli che si sono maggiormente imposti agli occhi del mondo, mentre infiniti altri rimarranno celati come celate rimangono troppe stragi di esseri umani, in questa guerra sottovalutata dal mondo che il sedicente Stato Islamico sta portando avanti in scala sempre più ampia.

Dio – hanno dichiarato i “purificatori” di Nimrud – ci ha dato l’onore di distruggere questi idoli”. Ma quale Umanità agisce, in questi casi? E in nome di quale Dio? Domande che ci dobbiamo porre perché quella numismatica che lega noi tutti, sia come piacevole passione collezionistica che, soprattutto, come espressione e fonte di arricchimento culturale, rappresenta anch’essa un aspetto non secondario della Storia e della Civiltà e dunque le monete, come segni del passato e del presente – specchio di vicende umane, convinzioni religiose, sistemi di potere diversi – fanno parte “fisiologicamente” degli oggetti sui quali l’Isis, come altri estremismi, potrebbero scagliare il proprio odio, sistematico, cieco e incontrollabile.

Nessuna moneta e nessun reperto archeologico – sia ben chiaro – valgono una singola vita umana, ma è proprio questa indifferente ed eguale ferocia con cui l’Isis – al pari di Al Qaeda: ricordate le statue di Buddha di Bamiyan, in Afghanistan, fatte esplodere dai talebani nel 2001? – tratta gli uomini e le cose, gli esseri viventi e le vestigia delle loro civiltà, che maggiormente spaventa. Non vi è Dio, infatti, che giustifichi le decapitazioni, le pulizie etnico-religiose, l’arruolamento di bambini come killer e di bambine come kamikaze; non esistereligione nè ideologia che possa avallare i massacri di ieri e quelli di oggi.

Ricordo ancora la mia prima collezione, nei primi anni Ottanta, composta di monete di tutto il mondo: di nessun valore commerciale, ma di fascino e bellezza ineguagliabili perché ogni tondello – compresi quelli con iscrizioni in arabo e indiano, cinese o nepalese, che non sapevo comprendere – era a miei occhi un frammento d’Umanità e di Storia da stringere nel palmo della mano. Un piccolo tesoro affascinante creato da uomini lontani da me, bambino, sia nello spazio che e nel tempo; un tesoro che non ero in grado di interpretare, ma che era pura bellezza e mistero ai miei occhi e che, come tale, andava rispettato e conservato. Era un modo inconsapevole, forse, anche per imparare a rispettare la diversità e gli altri, tanto è vero che quella raccolta la conservo ancora oggi, a distanza di più di trent’anni.