(di Raffaele Iula) | Il Sole è stato considerato, e a volte lo è tuttora, come fonte di energia vitale da diverse civiltà del mondo antico, non ultima quella di Roma. L’attenzione verso un così importante astro celeste si intensificò a dismisura nel corso del III secolo d.C., in piena età imperiale, fino a sfiorare l’acme sotto il breve ma, da questo punto di vista, rivoluzionario regno di Sesto Vario Avito Bassiano, passato alla storia come Eliogabalo. Eliogabalo (il cui nomignolo, come vedremo, risulta collegato al culto solare, in quanto composto da “El-” (“dio”) e “gabal” (“montagna”), assimilabile alla pietra sacra in cui si venerava all’epoca l’astro) era di origini siriane, ma vide la luce per la prima volta nella capitale dell’Impero sotto il regno di Caracalla, nel 203 d.C. La madre, Giulia Soemia Bassiana, apparteneva ad una delle famiglie più in vista di Emesa, città dell’antica Siria, nella quale deteneva da tempi lontani legittimi diritti sulla più alta carica religiosa cittadina, quella inerente al culto del dio Sole sotto forma di un meteorite sacro: il betilo.
Busto marmoreo che ritrae il giovane Eliogabalo (source: web)Dunque, anche Eliogabalo, per motivi di discendenza, fu associato a questo incarico religioso in Siria quando era ancora molto piccolo. E’ interessante notare come, seguendo questo peculiare aspetto, egli mostri già in tenerissima età un profondo interesse per il lato religioso e cultuale della sua patria d’origine, tant’è che, accanto al nome di famiglia ereditato dal padre (un certo Sesto Vario Marcello, il quale fu incaricato anche della Prefettura del Pretorio sotto l’imperio di Caracalla), accostò giocoforza anche quello della stirpe materna, Bassiano, in quanto era usanza in Oriente trasmettere il potere sacerdotale soprattutto attraverso la discendenza matrilineare. Infatti, Giulia Soemia era la figlia di Giulia Mesa, la quale, a sua volta, era figlia di Giulio Bassiano, gran sacerdote del dio Sole d’Emesa ed esponente dell’ antica stirpe reale autoctona.
Il giovinetto si ritrovava così ad essere uno dei rappresentanti più in vista di questa illustre famiglia, in quanto pronipote in linea diretta di Bassiano stesso. Quest’ultimo, peraltro, era anche padre di Giulia Domna, moglie dell’imperatore Settimio Severo e madre di Caracalla (il quale, a differenza di suo fratello Geta, aveva anch’egli, come il Nostro, ereditato il nome di Bassiano). In tal modo, Eliogabalo si dimostrava strettamente imparentato anche con la famiglia imperiale che, in questo periodo storico, si ritrovava a reggere le sorti del più potente Stato del mondo conosciuto. La sua ascesa fu rapida ed architettata dalle influenti donne della sua famiglia, le quali non solo mal tolleravano l’usurpazione intercorsa nella dinastia dei Severi da parte di Macrino (217–218 d.C.), ma arrivarono a considerarsi in pericolo di vita a causa della loro appartenenza alla dinastia imperiale.
Denario in argento della zecca di Roma, databile al 221 d.C. (R.I.C. 40). Si noti che al R/ è presente la personificazione del dio Sole, classica iconografia che avrà chiara fama soprattutto per gran parte del III sec. d.C. Il simbolo della stella è poi presente su gran parte delle coniazioni di Eliogabalo, forse come simbolo connesso al betilo (source: Auctiones 22, lot 72)L’unica arma di cui disponevano sia Soemia che sua madre Mesa era il ragazzino, di non più di quattordici anni d’età, nipote dell’ormai defunto Caracalla. A quel tempo, Eliogabalo si trovava in esilio in Siria a causa dell’ascesa al potere proprio di Macrino, ma grazie al suo ascendente religioso e all’abilità politica delle due Giulie, egli diventò ben presto un punto di riferimento per l’Oriente romano e per tutti coloro che ancora sostenevano il partito dei Severi. La situazione si sbilanciò quando Soemia e Mesa vollero approfittare del malcontento che regnava tra le legioni di stanza nella regione, che si vedevano messe in difficoltà a causa della politica d’austerità condotta da Macrino nei loro confronti, gettando in quest’occasione il loro fanciullo nello spietato circuito politico del tempo, comprandosi la fedeltà dei soldati con le ingenti ricchezze familiari.