Si definì restauratore dello stato, restitutor reipublicae, e si servì delle stesse zecche già attive, senza istituirne di nuove
di Roberto Diegi
Nel 411 d.C. Giovino fu elevato al soglio imperiale – pur essendo un usurpatore perché l’imperatore legittimo era Onorio – a Mogontiacum (Magonza), dopo la morte di un altro usurpatore, Costantino III. Giovino non era un parvenu, ma il nipote di Flavio Valente Giovino, nominato Magister Armorum per Gallias sotto l’imperatore Giuliano, circa un secolo prima. Ebbe il sostegno della nobiltà gallo-romana e si alleò con le tribù nomadi dei Burgundi e degli Alani stanziate oltre il Reno.
Nella stessa zona, però, giunsero anche i Visigoti di Ataulfo, che avevano lasciato l’Italia portando con loro come ostaggi l’ex-imperatore Prisco Attalo e la sorellastra di Onorio, Galla Placidia. I rapporti tra Ataulfo e Giovino, pur formalmente alleati, mostravano già qualche incrinatura. Col sostegno di Ataulfo, Giovino espanse il proprio territorio nella Gallia sud-orientale, ma nominò imperatore coreggente il fratello Sebastiano senza consultare preventivamente Ataulfo, di cui non si fidava.
Per parte sua, Ataulfo cercava un territorio in cui i suoi Visigoti potessero insediarsi, come Giovino aveva fatto con altre nazioni barbare. La reazione del sovrano visigoto fu quella di accordarsi con Claudio Postumo Dardano, prefetto del pretorio in Gallia e unico alto ufficiale rimasto fedele a Onorio in quella provincia. Attraverso Dardano, Ataulfo concluse con Onorio un accordo, in base al quale l’imperatore avrebbe fornito ai Visigoti viveri ed equipaggiamenti in cambio dell’uccisione dei due fratelli usurpatori, da provarsi con la consegna delle loro teste mozzate. Lo scontro fra Giovino e Sebastiano da una parte e Ataulfo dall’altra divenne inevitabile e si risolse a favore del sovrano visigoto.
Era il 413 d.C. e la breve avventura dei due fratelli, nei quali i nobili gallici riponevano le loro speranze d’indipendenza, stava terminando. Sebastiano e Giovino si rifugiarono con i superstiti del loro esercito all’interno delle mura di Valentia (Valence), nel sud della Gallia. La città fu messa immediatamente sotto assedio dalle truppe di Ataulfo, il quale si attendeva che i Burgundi o gli Alani accorressero in aiuto del loro benefattore, ma né gli uni né gli altri si mossero.
A quel punto Ataulfo, sicuro delle proprie forze, riuscì a entrare in città senza incontrare particolare resistenza. I due nemici furono subito catturati e, rispettando il patto con Onorio, Ataulfo li consegnò a Dardano in quanto governatore della provincia, che risiedeva a Narbona. Gli usurpatori furono condannati a morte e decapitati. Le teste di Giovino e Sebastiano furono consegnate alla corte di Onorio, a Ravenna, dove giunsero il 30 agosto del 413 d.C., ed esposte come monito sulle mura della città.
La reazione dei nobili gallici, soprattutto Arverni, che avevano appoggiato la causa di Giovino e di suo fratello fu violenta e preoccupante, tanto che l’imperatore d’Occidente incaricò Dardano di porre fine alle rivolte e ai malcontenti che i maggiorenti già stavano fomentando in tutta la provincia per manifestare la loro insofferenza nei confronti del governo centrale.
La repressione di Dardano fu spietata: centinaia furono i condannati a morte, soprattutto tra i nobili Arverni filo-gioviniani. I due fratelli usurpatori, passati alla storia come sovrani fantoccio nelle mani dei barbari, furono presto dimenticati e, in un occidente sempre più germanizzato, solo coloro che riuscirono a sfuggire alla persecuzione di Dardano poterono raccontare le loro gesta.
La monetazione di Giovino è composta da solidi, silique e mezze-silique, a differenza di quella del fratello Sebastiano, che coniò solo silique. Le zecche attive per Giovino furono quelle di Treviri, Lione e Arelate, il che dimostra che Giovino controllava quanto meno tutta la Gallia orientale. L’usurpatore Giovino, come risulta da alcuni suoi solidi, si definì “restauratore dello stato” (restitutor reipublicae) e si servì delle stesse zecche già attive, senza istituirne altre.
Giovino fece coniare anche delle rarissime mezze silique di circa 0,90 grammi nella zecca di Lugdunum con al diritto il suo busto e la legenda tradizionale, ma con un rovescio inusuale per la sua monetazione: una croce con in esergo SMLD, cioè il marchio della zecca.