Questo contributo inaugura una breve serie di interventi che delineano rapidamente la storia della cartamoneta italiana. Senza pretese di completezza o rigore, l’autore ne segue l’evoluzione nel tempo in relazione ai cambiamenti sociali e culturali del paese.
Di Claudio Giacchetti. Il concitato periodo che segnò la storia dell’Italia nel secondo dopoguerra, durante il passaggio dal regime fascista alla repubblica e alla democrazia, è testimoniato anche dalle emissioni di banconote della Banca d’Italia e di biglietti di Stato. La necessità di cambiare in fretta la cartamoneta emessa durante il Ventennio, a cui si aggiunsero le difficoltà di riorganizzarne la produzione – durante la guerra l’Officina cartevalori della Banca d’Italia era stata trasferita a L’Aquila per proteggerla dai bombardamenti alleati su Roma – fece sì che in questa fase le emissioni fossero caratterizzate dal riutilizzo dei bozzetti delle banconote già esistenti con alcuni essenziali cambiamenti (ovviamente spariscono i fasci littori) e dal ricorso al pur semplice cliché dei vaglia cambiari dell’istituto di emissione.
Nascono così i “titoli provvisori” da 5.000 e 10.000 lire, tagli divenuti indispensabili a causa della fortissima svalutazione della lira, il 98 per cento rispetto al valore anteguerra.
Si nota la modifica del contrassegno di Stato avvenuta con decreto ministeriale del 14 agosto 1947, da «testina dell’Italia diademata» a «testa di Medusa». In tutte le emissioni in lire il contrassegno era il simbolo dell’autorizzazione dello stato a una banca di emettere cartamoneta, da cui il termine banconota. I biglietti di Stato, stampati in proprio attraverso il Poligrafico, infatti non avevano alcun contrassegno.
Questa tipologia di banconote, caratterizzata da complicati motivi floreali, si deve alla fantasia dell’incisore senese Rinaldo Barbetti e fu rappresentata, con poche variazioni, dal 1897 fino al 1950. Intanto, subito dopo la caduta del regime, sul verso delle banconote fu operata la sostituzione del fascio littorio con il monogramma della Banca d’Italia.
Questa fu la prima banconota della Repubblica Italiana, emessa solo qualche settimana dopo la sua proclamazione. Negli anni Trenta il mille lire rappresentava il sogno economico dell’italiano medio, tanto da essere celebrata nella canzone del 1939 Mille lire al mese di Gilberto Mazzi. Allora il suo potere d’acquisto corrispondeva a circa 1.600.000 lire (circa 830 euro), mentre nel 1946, il suo valore era sceso a poco più di 30 euro di oggi. Dal 1947 furono ideate nuove banconote di dimensioni più ridotte, almeno per i tagli che rappresentavano ormai valori poco rilevanti, come il 1.000 lire Italia ornata di perle, uscito il 20 marzo 1947, fra l’altro con una prima limitata tiratura con contrassegno “testina”, e il 500 lire Italia ornata di spighe, della stessa data. Questa fu l’ultima banconota da 500 lire emessa dalla Banca d’Italia. Successivamente intervenne un accordo con lo Stato che riservava a sé la stampa di biglietti fino a 500 lire, mentre l’istituto di emissione stampava tagli a partire dalle 1.000 lire.
Anche lo Stato produceva i propri biglietti attraverso il Poligrafico e, dopo la caduta del regime dittatoriale, dovette sostituire le precedenti versioni fortemente compromesse graficamente con i simboli di quel regime.
I cambiamenti furono radicali anche se, a ben vedere, nel biglietto da 10 lire fu riprodotta la cifra 10 con la soprascritta in lettere in maniera del tutto identica a quella imperiale, mentre i biglietti da 1 e 2 lire mantennero la lettera V romana al posto della U fiorentina. Con la Repubblica, i bozzettisti, forse logorati dai troppi cambiamenti, non diedero grandi prove di fantasia, ideando biglietti di Stato da 50 e 100 lire assolutamente identici, anche perché destinati a circolare per brevissimo tempo, in quanto era già stata presa la decisione di convertire quei tagli in monete metalliche.
Infatti dopo questa emissione il Poligrafico continuò a stampare soltanto il taglio da 500 lire (fino al 1979), convertendo tutti i valori più piccoli in moneta metallica che con l’aumento costante dell’inflazione perderanno sempre più il loro valore fino a essere degradati a spiccioli.
Ma l’epoca delle banconote di grandi dimensioni non era ancora finita. Ecco infatti, a partire dal 1947, l’arrivo dei cosiddetti lenzuoli, come il 5.000 e il 10.000 lire tipo Repubbliche marinare, uscite rispettivamente il 17 gennaio 1947 e l’8 maggio 1948.
Erano banconote enormi, misuravano rispettivamente 233,5x 124,5 e 246×125 millimetri. Per poter essere infilate nei portafogli venivano piegate in quattro. Circolarono per oltre un decennio, fino ai primi anni Sessanta. Il potere di acquisto delle 5.000 lire, nel 1947, era pari a 93 euro, quello delle 10.000, l’anno successivo, era di 175 euro. Nel 1962, ormai vicine alla sostituzione, valevano rispettivamente solo 57 e 114 euro. Ormai erano alle porte i “favolosi anni Sessanta”, gli anni del boom economico e demografico. L’Italia stava prendendo maggiore consapevolezza di sé come nazione e stava diventando una potenza mondiale. Le banconote si rinnovano completamente: vanno in pensione, dopo decenni, i motivi floreali e allegorici per dare rilevanza ai personaggi che fanno parte della nostra storia e hanno dato lustro al paese nel mondo.