Di Giovanni Ardimento (prosegue). Il giorno del suo esordio, 3 gennaio 2009, il bitcoin non aveva ancora una quotazione propria; nei primi mesi si aggirava intorno ai 40 centesimi di dollaro, iniziando a salire a ritmo crescente, con una sola flessione significativa nel 2014. Il 2017 è stato un anno di svolta: dal dicembre 2016 al dicembre 2017 il bitcoin ha registrato un incremento pari a + 1850%,con una capitalizzazione di mercato pari a 260,8 euro per bitcoin. A fine 2017 il valore di un bitcoin si aggirava intorno ai 15.594,85 euro. Come è stato osservato dai tecnici monetari, a ogni pagamento in bitcoin cresce il valore di quelli in circolazione e sia per la costante domanda di tale asset, sia perché la quantità di bitcoin che si può creare diminuisce.
Col tempo questa condizione determinerà una particolare forma di deflazione, in quanto il valore reale del bitcoin aumenterà con pendenza quasi verticale, mentre il suo valore di scambio tenderà a zero a causa della difficile reperibilità nelle future transazioni. Tale fenomeno, particolarmente delicato e complesso e finora non ancora approfondito in tutte le sue implicazioni, è conosciuto in economia monetaria come trappola della liquidità: potrebbe assumere un’importanza crescente nel corso del tempo e ripercuotersi sull’intera struttura dei mercati. Infatti, tale forma di moneta, non in grado di adeguarsi alla domanda per transazioni e rigida nell’offerta, determinerebbe un gap che si riverbererebbe sull’intera struttura dell’economia reale, con conseguenze non del tutto chiare, essendo il bitcoin uno strumento monetario sperimentale.
Intanto lunedì 4 dicembre 2017 si è registrato il debutto sul mercato di Chicago di un nuovo strumento derivato della specie future che opera sul bitcoin, ovvero che assume tale moneta e le sue oscillazioni come suo sottostante, in ordine al quale, determina rendimenti o perdite per chi lo detiene. È stato osservato che l’adozione di nuovi strumenti speculativi su valute già di per sé altamente volatili genera nuova instabilità nei mercati e nuova entropia finanziaria, con una elevazione del rischio sistemico suscettibile di innescare nuove e future perturbazioni.
Del resto, la stessa posizione di Bankitalia e della BCE è concorde nel considerare il bitcoin uno strumento finanziario altamente speculativo, che solo nominalmente assume la veste di strumento monetario, per cui bastano poche transazioni a determinare un’ampia oscillazione di prezzo, con evidente inaffidabilità della commodity.
Si aggiunge una serie di problemi relativi all’adozione del bitcoin quali la velocità di circolazione non ancora ottimizzata alle esigenze di mercato; l’estrema volatilità che lo rende inadeguato come forma di risparmio; l’elevato rischio di bolle speculative a causa dell’elevato trend di quotazione; la concorrenza asimmetrica rispetto alle altre valute mondiali; la difficoltà di calcolo rispetto ai diritti speciali di prelievo stabiliti dal FMI; la ricaduta ambientale a seguito dell’estrazione digitale; i problemi di riciclaggio connessi all’utilizzo; il finanziamento al terrorismo che sfrutta tale forma di criptovaluta.
Quanto alla ricaduta ambientale connessa alla creazione/estrazione del bitcoin, si è calcolato che in un anno vengono utilizzati per minare bitcoin circa 30,14 terawattora ( TWh) di elettricità (il consumo medio annuale dell’intera Irlanda è di 25 terawattor). Si anche è stimato che nel 2017 la quantità media di elettricità utilizzata per minare bitcoin ha sorpassato i consumi energetici medi di 159 nazioni.
Ogni volta che viene minato un bitcoin è necessario che sia controllato, validato e crittografato e per fare ciò occorre una elevata potenza di calcolo che si traduce in costo fisico-energetico. Maggiore è il numero di bitcoin prodotto e più complesse ed elaborate diventano le operazioni di calcolo. Mentre fino a qualche anno fa, un pc di buon livello era in grado da remoto di minare bitcoin mediante open source, oggi è necessario utilizzare migliaia di processori in parallelo. Per il mining sono stati approntati processori chiamati Asic (Application specific integrated circuits) che risucchiano enormi quantità di energia e pongono problemi ambientali di non trascurabile portata, perché oggi la maggior parte dell’energia elettrica è prodotta da combustibili fossili.
Altro aspetto fondamentale è quello relativo alla insidiosità del nuovo strumento monetario nel settore del riciclaggio del denaro sporco e del finanziamento al terrorismo. Il 28 luglio 2017 le agenzie di stampa davano per avvenuto l’arresto di Alexander Vinnik. Catturato in Grecia su mandato della autorità statunitensi, il 38enne russo dovrà rispondere di 21 capi di accusa tra cui il riciclaggio di notevoli quantità di bitcoin provenienti dagli attacchi ransoware, nonché la sua partecipazione all’hacking di Mt. Gox, che nel 2014 aveva subito una rapina digitale di 475 milioni di dollari. Secondo gli investigatori la capitale mondiale del riciclaggio di bitcoin avrebbe sede in Russia e i cyber-criminali si servivano della piattaforma BTC-e di cui Vinnik era appunto il proprietario. Si calcola che nel corso della sua carriera e abbia contribuito a riciclare più di quattro miliardi di dollari di fondi illegali.
Intanto, è stato di recente istituito a livello internazionale il Gafi-Fatf (Financial action task force, ‘gruppo di azione finanziaria’), un organismo intergovernativo indipendente che opera ai più alti livelli col mandato di sviluppare e promuovere politiche finalizzate a proteggere il sistema finanziario globale contro il riciclaggio, il finanziamento al terrorismo e la proliferazione illegale di armi. Tra le sue azioni si sottolinea l’arresto di Ali ShukriAmin (condannato nel 2015 a 11 anni di carcere) che ha cospirato per fornire materiale e risorse all’Isis, mediante il ricorso a internet. Attraverso twitter, Amin forniva istruzioni su come usare bitcoin per mascherare la fornitura di fondi per l’Isis e aiutava nel contempo i sostenitori che volevano recarsi in Siria per combattere. Ma non era il primo caso che il Gafi-Faft portava all’attenzione dell’opinione pubblica mondiale: c’era anche l’indagine su Ross Ulbricht, proprietario e gestore di Silk road (‘la via della seta’), un sito operante nel dark web progettato per consentire agli utenti di acquistare e vendere illegalmente e anonimamente armi, farmaci, identità rubate, stupefacenti e che nel contempo svolgeva attività di pirateria informatica e riciclaggio di denaro fuori da ogni controllo investigativo. Ulbricht è stato condannato all’ergastolo, benché sul suo caso sia stato presentato appello.
In Italia, la ‘ndrangheta utilizza i cosiddetti tumbler, intermediari che operano attraverso la rete, la cui specialità è acquistare criptovalute, spacchettarle in più operazioni e rivenderle a clienti puliti: ciò rende complesso ricostruire la filiera di tutti i passaggi ai fini investigativi.
Di recente stanno nascendo aziende che si occupano di compravendita di bitcoin, guadagnando una percentuale sul valore scambiato, ma spesso tale attività è connessa al traffico di droga e allo sfruttamento della prostituzione. Di recente la polizia postale ha sequestrato il sito coinbit.it e si sta occupando di bitdigital.it, con sede a Lecce. Su questi portali è possibile svolgere attività di trading su bitcoin: è sufficiente indicare un indirizzo e-mail (che può essere creato anche in modo fittizio), l’importo dell’acquisto e riportare il metodo di pagamento utilizzato (paypal o bonifico), mentre l’identità di chi svolge l’operazione resta segreta.
Con deliberazione n.19866 dell’1 febbraio 2017 la Consob ha sospeso in via cautelare per 90 giorni l’attività pubblicitaria di una società straniera relativa all’offerta al pubblico per la estrazione di criptovalute. Ha poi successivamente adottato con deliberazione n. 19968 del 20 aprile 2017 un provvedimento di divieto dell’attività pubblicitaria effettuata tramite un sito internet, nei confronti della medesima società, per l’offerta al pubblico di pacchetti di estrazione di criptovalute.
Intanto l’Unità di informazione finanziaria presso la Banca d’Italia ha diffuso varie comunicazioni interne volte ad alzare la guardia sull’utilizzo anomalo delle criptovalute. Uno degli aspetti più delicati della questione è che la normativa vigente (d.lgs. 21.11.2007 n. 231; legge 15.12.2014 n. 186; d. lgs. 231/2007) si frange contro l’anonimato tipico delle criptovalute, che non consente un’adeguata verifica della clientela e l’individuazione dell’effettivo titolare del conto wallet. Infatti, secondo la vigente normativa «i prestatori di attività funzionali all’utilizzo, allo scambio e alla conservazione di valute virtuali e alla loro conversione in valute aventi corso legale non sono in quanto tali destinatari della normativa antiriciclaggio e quindi non sono tenuti all’osservanza degli obblighi di adeguata verifica della clientela, registrazione dei dati e segnalazione delle operazioni sospette» (d.lgt. n. 231/227 adottato in attuazione della direttiva 2005/60/CE). Tuttavia è tecnicamente possibile controllare le transazioni effettuate da un indirizzo che vengono annotate sulla blockchain, assimilabile a un registro contabile pubblico. Da ogni indirizzo sono ottenibili ulteriori indirizzi connessi ad altrettante operazioni di pagamento. Il problema è capire l’entità che si cela dietro quelle operazioni.
Intanto si registrano interventi non trascurabili in sede europea. La prima bozza della quinta direttiva antiriciclaggio (5AMLD), presentata nel febbraio 2017, prevede tra l’altro un’estensione dell’ambito di applicazione alle «piattaforme di scambio di valute virtuali» nonché ai «prestatori di servizio di portafoglio digitale». Queste entità dovranno applicare gli obblighi di adeguata verifica della clientela al cambio di valute virtuali in valute reali, ponendo fine all’anonimato tecnologico che caratterizza questi scambi. Nel contempo vengono anche estesi gli obblighi di autorizzazione per l’esercizio dell’attività, sia per gli exchanger che per i wallet. Viene inoltre stabilito un potenziamento dell’Unità di informazione finanziaria. Comunque l’Uif, nei limiti di potere di cui dispone, richiede agli intermediari finanziari, specie quando prestano servizi di pagamento, di valutare specificamente ed eventualmente di segnalare «qualsiasi attività di movimentazione economica e di acquisto o vendita compiuta in cripto valuta» e ciò per chiare esigenze prudenziali.