LA FRAZIONE DI FOLLARO DI GUGLIELMO I
CON L’AGNUS DEI E LEGENDA W REX DUX PNC

(di Angelo Cutolo) | La frazione di follaro che prendiamo in esame in questo articolo fu coniata nella zecca di Salerno sotto il regno di Guglielmo I di Sicilia (Palermo o Monreale, 1120 – Palermo, 7 maggio 1166), discendente degli Altavilla, detto “il Malo”, re normanno di Sicilia dal 1154 al 1166, del cui regno era già coreggente dal 1151 col padre Ruggero II (Mileto, 22 dicembre 1095 – Palermo, 26 febbraio 1154) e alla morte del quale, essendo deceduti i suoi tre fratelli maggiori, successe direttamente. Già principe di Taranto e Bari, dopo la morte del fratello Anfuso (1144) divenne principe di Capua e duca di Napoli e alla morte del fratello Ruggiero (1148) anche duca di Puglia.

Nonostante l’epiteto con cui è passato alla storia Guglielmo I non fu, per l’epoca, un cattivo regnante, anche se il regno di Sicilia (Fig. 1), sotto di lui visse in un periodo scosso dal pericolo di attacchi esterni, da Federico I Barbarossa, da Manuele I Comneno e dal papa Adriano IV, senza contare le rivolte interne fomentate dai baroni avversi all’assolutismo stabilito da Ruggero II e stroncate energicamente.

Il 18 giugno 1156, dopo anni di relazioni turbolente, venne firmato il Trattato di Benevento (il cui manoscritto originale è conservano nell’Archivio Segreto Vaticano) tra Guglielmo I di Sicilia e papa Adriano IV (nato Nicholas Breakspear a Abbots, Langley 1100 circa – Anagni, 1° settembre 1159), che allontanato dalla popolazione da Roma e trasferitosi a Benevento, territorio papale da oltre un secolo, era rimasto solo ad opporsi ai Normanni, il cui esercito siciliano guidato dal re Guglielmo I si stava avvicinando alla città; perciò papa Adriano IV si rassegnò a concludere la pace con i sovrani d’Altavilla.

Fig. 1 | Il Regno di Sicilia nel 1154 e nel 1156

Partendo da una posizione di vantaggio, la delegazione siciliana ottenne un notevole successo: la sovranità di Guglielmo I fu riconosciuta su Sicilia, Puglia, Calabria, Campania, Amalfi, Napoli, Capua, Gaetae sui territori conquistati nelle Marche e negli Abruzzi, già reclamati da Ruggero ed Alfonso, fratelli maggiori di Guglielmo, mentre il papa ottenne il diritto di inviare legati nel reame peninsulare, diritto che ebbe anche il re e che venne confermato il versamento del tributo al papato di 600 scifati, concordato con Ruggero II in base al Trattato di Mignano del 1139, al quale vennero aggiunti ulteriori 400 scifati per le nuove terre conquistate. Adriano IV, al quale il re offrì doni in oro e argento incoronò, nella chiesa di San Marciano, Guglielmo re di Sicilia, Puglia e Capua e gli diede il “bacio della pace”.

Guglielmo I, verso la Quaresima dell’anno 1166, iniziò a soffrire di forte dissenteria, malattia che andò peggiorando sino a condurlo alla morte, ma avendo capito che la fine si avvicinava, si preparò a tale evento facendo penitenza, confessandosi, liberando alcuni carcerati, condonando l’esazione di denaro imposto alla Puglia e fece testamento, nominando erede di tutto il regno Guglielmo, il terzogenito, ma figlio maggiore in vita, e confermò all’altro figlio, Enrico, il Principato di Capua, ordinando che la moglie Margherita di Navarra divenisse tutrice e governatrice di tutto il Regno e dei due figli fin quando non avessero l’età per governare da soli. Dispose inoltre che Riccardo Palmer, eletto vescovo siracusano, e Matteo d’Aiello, maestro dei suoi notai, esperti di diritto, fossero consiglieri e avessero rapporti di familiarità con sua moglie e con i suoi figli e lasciò denaro da elargire per la salvezza della sua anima. Guglielmo I morì il 7 maggio dell 1166 intorno alle ore 15.

A questo sovrano è ascritta la moneta una frazione di follaro coniata in rame che presenta al dritto nel campo il cosiddetto “Agnus Dei” (Agnello pasquale) nimbato andante a sinistra (per l’osservatore), ma con la testa rivolta all’indietro, che porta una lunga croce inclinata e dietro il corpo dello stesso; il braccio corto della croce, in relazione all’altro, appare molto corto. Il tutto è racchiuso in un bordo perlinato. Il nimbo a disco, in alcuni casi, è complicato da raggiera per cui l’aureola è divisa in parti, il cui numero sembra essere sette (numero con numerose valenze religiose, legato alle virtù teologali e cardinali come ai doni dello Spirito Santo, agli arcangeli, nonché ai peccati capitali e ai sigilli dell’Apocalisse).

Al rovescio figura invece una croce a bracci uguali intersecati a metà e terminanti a croce, terminazione che in alcuni esemplari è costituita da tre punti posti sempre a mo’ di croce. In ogni quarto sono disposte delle lettere e precisamente, andando da sinistra a destra, nella prima riga W | REX e nella seconda DUX | PNC. La legenda è stata interpretata come WILIAM REX DUX [et] P[ri]NC[eps] ossia GUGLIELMO RE DI SICILIA, DUCA DI PUGLIA, PRINCIPE DI CAPUA. In alcuni casi la lettera P è sormontata da un punto.

Fig. 2 | A sinistra ritratto di Guglielmo I “il Malo” e a destra la scheda della frazione di follaro conservata nel Museo della moneta di Bankitalia

Nel 1839 Salvatore Fusco aveva, nelle “Tavole di monete del Reame di Napoli e della Sicilia” (tav. IX, n. 5), già correttamente e integralmente descritto tale tipologia, ma poi per lungo tempo ed in numerose opere si è mancato di riportare la C finale della legenda al rovescio, in quanto mancante, spesso, per decentratura del conio. Nel 2003 Lucio Bellizia e Giovanni Florio, nel libro “Monete inedite o poco note della zecca di Salerno”, a p. 51, n. 32, pubblicano e descrivono un esemplare di tale tipologia; l’esemplare ha un diametro di mm 13 e un peso di g 1,70. Anche Pierluigi Canoro, nell’articolo “Una variante non censita di una moneta salernitana” in “L’Occhio di Arechi” di gennaio e febbraio 2017 n. 71 descrive tale tipologia.

Osservando più monete di tale tipologia si nota che l’immagine al dritto è leggermente diversa e/o anche le lettere, la croce e la perlinatura al rovescio possono presentarsi diverse e ciò attesta che esistono più conii, anche se la moneta è di difficile reperibilità. Tali frazioni di follaro sono molto spesso decentrate, per cui le immagini del dritto appaiono monche; la decentratura, al retro comporta in alcuni casi la perdita delle lettere esterne; sicuramente la decentratura è stata la causa della perdita della lettera C del gruppo PNC, che è andata facilmente soggetta a tale problema essendo il gruppo di lettere il più lungo.

Fig.3a e Fig. 3b | Gli esemplari di frazione di follaro venduti in asta Numismatica Canusina e dallo Studio Numismatico d’Arte e Filatelico “Et Hier Rex”

L’esemplare conservato al Museo della moneta della Banca d’Italia presso Palazzo Koch ed inventariato col numero 3813 (Fig. 2) presenta un diametro di mm 13-14, un peso di g 1,37 ed un orientamento delle facce a 90°, ma la legenda al retro è monca della lettera D, infatti è leggibile come W REX | VX PNC. La moneta esitata come lotto 792 nell’asta online n. 18 di Numismatica Canusina (Fig. 3a) , essendo di apprezzabile conservazione e centratura, permette una piena comprensione delle immagini, al dritto l’Agnello nimbato, con la complicanza a raggiera, retrospiciente, e al retro, la perlinatura le terminazioni della croce e la legenda W REX | DΛX PNC completa (la particolarità della lettera V capovolta della parola DVX); per cui tale frazione di follaro è catalogabile come una variante del tipo (catalogato Bellizia 178, Cappelli 159, Travaini 305). Pesa g 1,61. Un altro esemplare è stato esitato dallo Studio Numismatico d’Arte e Filatelico“ Studio Numismatico d’Arte e Filatelico “Et Hier Rex” (Fig. 3b) ha un diametro di mm 13,1 e un peso di g 1,2 g con leggenda al retro monca di diversa, infatti è leggibile come RE | X PNC. Vengono infine riportati (Fig. 4) i due esemplari della collezione dell’autore con le rispettive caratteristiche ponderali.

Il primo esemplare al dritto presenta l’Agnus Dei nimbato andante a sinistra (per l’osservatore) e retrospiciente, che porta una lunga croce disposta inclinata e dietro il corpo dello stesso; la croce è quasi impercettibile, come il nimbo, e l’Agnello è leggermente decentrato sulla destra (per l’osservatore). Al rovescio la croce è piuttosto centrata eccezion fatta per la parte alta della terminazione; la legenda leggibile è W RE | VX PNC. Ha un diametro di mm 12-1,3 e un peso di g 1,23 g. L’orientamento delle facce è a 120°.

Fig. 4 | I due esemplari nella collezione dell’autore: quello di sinista pesa g 1,23 per mm 13-14 (orientamento 120°), quello di destra pesa g 1,64 per mm 13 (orientamento 180°)

Il secondo esemplare al dritto presenta l’Agnus Dei nimbato andante a sinistra (per l’osservatore) e retrospiciente, che porta una lunga croce disposta inclinata e dietro il corpo dello stesso; l’Agnus è leggermente decentrato sulla destra (per l’osservatore), ma in compenso è ben osservabile il nimbo che presenta anche la complicanza a raggiera, per cui è diviso in sette parti. Al rovescio la croce è piuttosto centrata eccezion fatta per la parte alta della terminazione e per quella sinistra (per l’osservatore); la legenda leggibile è W RE | VX PNC (la C è leggermente visibile, in quanto è decentrata). Ha un diametro di mm 13 e un peso di g 1,64. L’orientamento delle facce è a 180°.

In generale, per tale tipologia il peso è variabile da g 1,20 a 1,70, mentre il diametro varia da mm 12 a 14. Anche l’orientamento dei due coni di faccia è variabile. La tipologia è considerata R3 per la sua difficile reperibilità. La moneta – non riportata da alcuni dei testi fondamentale in materia -è storicamente un’importantissima testimonianza dell’adesione alla religione cristiana; infatti, durante il regno Guglielmo I d’Altavilla si assisteva al crescente affermarsi di un forte partito ecclesiastico, alimentato dall’arrivo da tutta Europa di alti prelati e personaggi dell’amministrazione, assieme a numerosi insediamenti monastici e a una diminuzione della tolleranza religiosa verso i Musulmani e i Bizantini.