UNA CATTEDRALE ALCHEMICA: IL 1000 LIRE
“NUOVO TIPO” DELLA BANCA NAZIONALE NEL REGNO 

(di Giovanni Ardimento) | “La moneta deve essere bella, perché deve farsi perdonare qualcosa: prima di tutto, quella di esistere”: così scriveva Roberto Mori, direttore centrale per la circolazione monetaria della Banca d’Italia, in uno dei suoi pregevoli saggi “Essere moneta”, di difficile reperibilità ma di intramontabili parole. E come ogni storia di autentica bellezza, anche questa merita di essere raccontata. 

Tra tutti gli istituti che nel 1861, nella nostra Penisola, detengono potestà di emissione monetaria, il più importante è la Banca Nazionale negli Stati Sardi, uscito vincente dalla lotta per la leadership dopo l’Unità d’Italia. A seguito del R.D. 1° maggio 1866 n. 2873, assumerà la denominazione di Banca Nazionale nel Regno d’Italia. Dopo una complessa fase iniziale, di emergenza monetaria e finanziaria (su segnaliamo al lettore, al proposito,lo studio apparso su “Panorama Numismatico” n.321 “Le prime emissioni della Banca Nazionale del Regno: problemi tecnici, monetari e finanziari”), le emissioni ripresero il loro corso ordinario, per cui, dopo un ragionevole periodo, si giunse anche al rinnovo della veste grafica di alcuni tagli. Ma ciò che accadde agli inizi del 1878 e si trattò di un evento monetario destinato a lasciare il segno!

Mentre le prime emissioni negli alti tagli della Banca Nazionale furono curate da una delle più prestigiose aziende europee specializzata nella produzione di carta valori (la ditta Saunier di Parigi), a partire dal 6 febbraio 1871, l’Istituto iniziò ad operare in via autonoma a Roma, prima a Palazzo Ruspoli in Via del Corso, poi nel 1876, con un proprio Ufficio Fabbricazione Biglietti in Via dei Cestari. Infatti come rileva lo stesso Tuccimei (cfr. “L’ordinamento e le operazioni della Banca Nazionale nel Regno d’Italia”), i rapporti di collaborazione con stampatori stranieri erano proseguiti per tutti gli anni ‘60, fino agli inizi degli anni ‘70 dell’ottocento. Ciò spiega la ragione della emissione del biglietto da 1000 lire negli anni 1872 e 1873 ancora nella primitiva versione, la quale – benché esteticamente pregevole – era ormai tecnicamente superata. Ed è qui che le nostre fonti si insinuano, nel narrare un passaggio avvincente, che descrive la genesi e l’ideazione di quello che sarà il 1000 lire “nuovo tipo” della Banca Nazionale.

Dalla relazione inviata il 26 marzo 1894 dal capo ufficio Fabbricazione Biglietti, Giulio Cesare Carraresi, al vice direttore generale della Banca d’Italia Ettore Levi, si apprende che “il biglietto da lire mille della Banca Nazionale fu prima ideato in Francia ma poi modificato e disegnato dal prof Schiassi di Roma […] mentre l’incisione del biglietto è di Alessandro Foli, abilissimo xilografo […]”. Pertanto, da questi primi importanti elementi tratti dagli archivi storici, si apprende che il bozzetto originario del biglietto fu ideato in Francia (non dimentichiamo che la Banca Nazionale tratteneva rapporti privilegiati con la Banque de France e che la Saunier di Parigi era ancora il punto di riferimento per tutte le fasi di realizzazione dei biglietti), ma fu completamente rielaborato e trasformato in Italia, da personale altamente specializzato, e quindi prodotto a Roma, nei nuovi stabilimenti, con macchinari e maestranze autoctone, abilmente istruite a Francoforte e a Genova con personale francese. Inizia pertanto ad affermarsi, anche sul piano internazionale, quella proverbiale abilità artistica che sarà destinata a fare storia, e che vede in questo esemplare, in modo assoluto, il primo e più lampante esempio di “arte monetaria italiana”.

Il fronte, elaborato ed elegante, della banconota da 1000 lire “nuovo tipo” della Banca Nazionale nel Regno d’Italia (source: web)

Proseguendo nel nostro viaggio, occorre rilevare che il Carraresi ebbe occasione di soffermarsi anche sugli aspetti tecnici del biglietto e nel corso della relazione egli annota: “[…] non parlo del biglietto da lire mille, il quale morrà forse immune da qualsiasi tentativo di falsificazione” cercando la sua sicurezza “nella bontà della carta e della filigrana e non solo, ma anche nella sovrapposizione della stampa a diversi colori”. Qui è opportuno aggiungere che la carta dei biglietti della Banca Nazionale venne fornita dagli stabilimenti Papeteries du Marais et de Sainte-Marie fino alla nascita della Banca d’Italia e che inoltre si preferì adottare anche negli alti tagli la tecnica di stampa tipografica (con matrici in rilievo) e non ancora quella calcografica (con matrici in incavo), scelta, sulla quale alcuni esperti di tecnologia monetaria in precedenza dissentirono (cfr. Marco Minghetti, “Relazione sulle tecniche di produzione delle banconote in Europa. Torino 24 agosto 1855”, manoscritto conservato a Roma presso l’Archivio Storico della Banca d’Italia). Tuttavia, nonostante queste limitazioni tecniche figlie del tempo, ciò che venne offerto alla circolazione monetaria fu un manufatto di altissimo livello che continua ad incantare dopo quasi un secolo e mezzo di storia.

Stampato nel formato di circa 214 x 124 millimetri, con matrice arabescata in cromotipografia, su carta filigranata ad impasto speciale in canapa e cotone di color ceruleo, il 1000 lire Banca Nazionale “nuovo tipo” fece il suo esordio col Decreto di fabbricazione del 16 gennaio 1878 e si congedò con i massimi onori il 30 giugno 1899, dopo aver ottenuto la proroga del fuori corso (con la Legge 2 luglio 1896 n. 253), per poi cadere in prescrizione in via definitiva il 31 dicembre 1907.

Dal D.M. 19 ottobre 1877 n. 4091 si apprendono le sue caratteristiche, tra cui spiccano le superbe immagini delle due filigrane ovali a punto fisso di Minerva coperta di un elmo crestato e dell’Italia con corona turrita, di proverbiale espressività. Il recto del biglietto (fig. 1) presenta un fondo in tinta violetta chiara, con una vignetta in azzurro-cenere, difficilmente falsificabile ovvero trattabile chimicamente (infatti i biglietti di questa tipologia che hanno subìto l’oltraggio del “trattamento” di restauro sono ben riconoscibili da un esperto e presentano una alterazione cromatica caratteristica) che rappresenta l’allegoria dell’industria e dell’agricoltura, adagiate sulla cornice del fondo ed unite in simmetrica triangolazione, con uno sfondo marittimo su cui solcano un piroscafo ed una nave a vela latina.

Il verso (fig. 2) invece presenta un fondo di color giallo-bruno, costituito da una sottilissima intelaiatura che occupa gran parte del biglietto, su cui si staglia al centro un medaglione, a vacuo ovale, rappresentante l’Italia a mezzobusto, col petto e le spalle coperti da una lorica e recante un fermaglio con la croce dei Savoia. In ornato si intravvedono gli otto stemmi delle principali città italiane.

Il retro, altrettanto complesso e simbolico, di questo autentico capolavoro dell’arte monetaria italiana del XIX secolo (source: web)

Ma vi è molto di più. Sulla base degli studi di iconografia monetaria che sto conducendo da anni e che sfoceranno in un organico trattato, ho avuto modo di constatare relazioni ben precise tra molti esemplari della cartamoneta italiana ed antiche simbologie tratte da testimonianze cabalistiche, alchemiche ed ermetiche. Il lemma “ermetismo” deriva la propria etimologia da Ermete Trismegisto, eminente sapiente dell’età preclassica ed autore del “Corpus hermeticum” da cui ha attinto un’intera corrente della filosofia occidentale. Esso indica la conoscenza iniziatica, il cui apprendimento richiede un profondo studio ed una apertura mentale non convenzionale. Tra i nomi più eccelsi di tale forma di pensiero, si annoverano personaggi del calibro di Pitagora, Platone, Giordano Bruno, Cosimo de’ Medici e Marsilio Ficino.

Questa banconota, per la complessità della sua struttura e per la elaborata profondità dei temi, rappresenta un “laboratorio iconografico” che svela al cultore di nummografia un percorso del tutto inedito. Analizzando l’impianto iconografico del verso e del recto del biglietto emerge in modo ineccepibile la relazione col frontespizio del “Chymical Collections” una silloge di opere sull’alchimia pubblicate nel 1650 a Londra, dallo studioso ed alchimista James Hasolle (fig. 3). Per chi si occupa di filosofia ermetica e di epistemologia, questo non genera stupore. L’alchimia è la progenitrice della chimica moderna, intesa come parte della scienza che indaga la struttura e le trasformazioni della materia. Il frontespizio rappresenta nella colonna di destra oggetti legati alle arti dell’azione (le scienze militari) mentre nella colonna di sinistra, oggetti legati alle arti della contemplazione (le scienze della natura e dell’arte). Il basamento centrale, con epigrafe inneggiante al mercurio filosofico, poi ripreso dal caduceo retto in alto e posto tra il sole e la luna è indicativo di un “principio di bilanciamento” tra gli opposti, di un superiore equilibrio tra i due aspetti della natura umana, eterna aspirazione di natura archetipica, del resto indagato anche da Carl Gustav Jung in alcune delle sue più lucide pagine di psicologia clinica e sperimentale, pubblicate postume.

Tale concetto, di importanza fondamentale nella storia del pensiero moderno, (la cosiddetta “coincidentia oppositorum”), che ha segnato il superamento dell’oscurantismo medievale, aprendo la strada alla scienza moderna è stato ripreso e sviluppato, secondo stilemi tipici, nella iconografia del 1000 lire Banca Nazionale “nuovo tipo”, oggetto di questo studio.

Ed infatti proseguendo con l’analisi dei due trofei che si palesano al verso del biglietto, si scorgono a sinistra strumenti di natura scientifica legati alla chimica, alla geodesia, alla fisica, mentre al lato destro vengono rappresentati strumenti della musica, della drammatica, della scultura. Il punto di sintesi e di equilibrio nel verso del biglietto è dato dalla allegoria dell’Italia turrita, rappresentata nel medaglione centrale e racchiusa tra il pentalfa e la testa di Mercurio col tipico petaso alato. Entrambe le simbologie sono riprese nella parte alta del frontespizio dell’opera citata, in cui Mercurio reca nella mano destra un caduceo e nella mano sinistra una stella.

Frontespizio dell’opera “Chymical Collections” di James Hasolle (source: web)

Il pentalfa indica un percorso di illuminazione mistica, un’ascesa verso una superiore forma di comprensione. Mercurio è la personificazione di questo percorso ed infatti, le ali simboleggiano il primato dell’intelligenza che si pone al di sopra della materia per dominarla mediante l’intuizione, mentre i due serpenti attorcigliati esprimono la polarità del bene e del male, della luce e dell’ oscurità, tenute in equilibrio dall’asta del dio, che ne domina le forze.

Ma l’intera dialettica degli opposti è ripresa e sviluppata in modo sapiente anche al recto del biglietto. Infatti, da una più attenta analisi, partendo dallo stemma sabaudo, si scorge a destra di questo un ramo di alloro, simbolo di virtù e di veggenza ed a sinistra un ramo di quercia, simbolo di forza e di vigore virile; prosegue dopo il cartiglio con un contrappunto cromatico nelle targhe rette dai putti, in quello di sinistra la cifra 1000 appare chiara su un fondo scuro, mentre in quella di destra appare scura su un fondo chiaro; poi, lo sguardo del putto di sinistra volge verso il basso (la materialità), al contrario del putto di destra che volge verso l’alto (la spiritualità); inoltre, le comminatorie antifalsari appaiono in modo antitetico sugli specchi dei basamenti, essendo quella di sinistra chiara su un fondo nero e quella di destra nera su un fondo chiaro; poi, lo sguardo delle matrone femminili segue anch’esso un contrappunto morale: quella di sinistra ostenta un sardonico ed infido sguardo verso il basso, mentre quella di destra si svolge con sguardo sereno e disteso verso l’alto.

Pentalfa (pentagramma geometrico): si sice che il termine fu coniato da Pitagora, per il quale il simbolo era composto da cinque lettere Alfa (Α) intersecate fra loro (source: web)

Tale atteggiamento è ripreso anche nella simbologia che accompagna le figure: il martello, su cui l’allegoria dell’industria porge la mano è simbolo plasmatrice della materia e della decisione, mentre il falcetto, su cui l’allegoria dell’agricoltura poggia la mano, è simbolo di morte e di rigenerazione. Infine, nei tondi delle filigrane, leggermente ovalizzati e perfettamente simmetrici, sono presenti al lato sinistro Minerva, mitico personaggio del conflitto esteriore ed interiore, che simboleggia la lotta contro i vizi e le passioni da cui è continuamente pervaso l’animo umano e al lato destro, in perfetto contrappunto concettuale l’Italia turrita, simbolo della padronanza di sé, con autorevole pacatezza ed aulico candore.

Il punto di equilibrio nel recto del biglietto è dato dal triangolo alchemico ottenuto dalla intersecazione delle mani delle matrone, sede dell’azione, che si chiude col pollice impresso sulla mano destra e dalla congiunzione in linea retta del loro capo, sede dell’intelligenza. Luogo geometrico di sintesi metafisica, figura geometrica di importanza assoluta ed indagata da Pitagora, essa sottende un percorso iniziatico e schiude ad una superiore forma di equilibrio e di capacità interiore. Infatti i tre vertici del triangolo, racchiudono il momento dialettico fondamentale della tesi, della antitesi e della sintesi, condensandolo in uno spazio di perfetta simmetria.

Il principio alchemico-filosofico degli opposti che si bilanciano e si fondano è stato ripreso e sviluppato da uno dei più importanti filosofi ermetici del rinascimento italiano, Giordano Bruno, il quale in una sua opera affermò che “la magia, è la capacità di moltiplicare con le arti, i calcoli e i simboli, il nostro dominio sul mondo”. Cinque secoli più tardi, un raffinato economista, Pierangelo Dacrema, in un suo studio, riferendosi all’energia demiurgica del denaro, parlerà di “miracolo della moltiplicazione”. Dopo decenni di studi, in tutta umiltà, sono del parere che la scienza monetaria e finanziaria, con la sua capacità e forza propulsiva dell’economia e del commercio sia stata in grado di cambiare il mondo e di plasmarlo verso orizzonti i cui confini e potenzialità non sono stati ancora del tutto esplorati. Di questo disegno mistico e potente, con cui da secoli si misurano le più grandi intelligenze, questo manufatto monetario italiano del XIX secolo esprime – in modo icastico ed ermetico – significativa ed aulica testimonianza.