Teche GdN: STORIA E RETROSCENA DI UNO SPICCIOLO
DEL REGNO D’ITALIA, I 20 CENTESIMI ESAGONO 

(di Michele Cappellari e Matteo Rongo | dal “GdN” n. 10 di ottobre 2012, pp. 24-29) | Con questo studio intendiamo proporre e documentare alcuni fatti, in parte inediti e in parte finora poco approfonditi, che portarono all’emissione, da parte del Regno d’Italia, della ben nota moneta da centesimi 20 Esagono negli anni 1918, 1919 e 1920.

IL QUADRO STORICO | La produzione del 20 centesimi Esagono ebbe inizio nel 1918, ovvero durante uno dei periodi storici più convulsi ed economicamente più depressi del regno di Vittorio Emanuele III. L’esigenza di immettere nella circolazione monetaria nazionale un nominale da 20 centesimi si era già manifestata dall’anno precedente, a seguito della preoccupante e progressiva sparizione dalla massa circolante delle monete spicciole in bronzo e nichelio, incettate dagli speculatori e sottratte alla loro naturale funzione monetaria dalle pressanti necessità belliche della Grande guerra. Il grave depauperamento del circolante minuto ed il conseguente aumento di gettoni succedanei della moneta spicciola emessi sia da istituzioni pubbliche che da ditte private, costrinse la Regia Zecca di Roma ad effettuare alcuni frettolosi studi tendenti a valutare l’introduzione di una moneta in alluminio o in ferro, non potendosi utilizzare, per le ragioni anzidette, i richiestissimi metalli (bronzo e nichelio) che fino a quel momento erano stati impiegati. Questi tentativi non ebbero però successo e rimasero quindi circoscritti alla sola fase progettuale.

LA CONIAZIONE | Il tempo stringeva e scartata a priori l’ipotesi di riprendere la coniazione del 20 centesimi, Libertà Librata del Bistolfi in nichelio pressoché puro (la relativa coniazione era stata peraltro sospesa fin dal 1915), si doveva trovare in tutta fretta una soluzione che contemperasse le esigenze delle casse statali con quella dell’introduzione di una moneta che fosse adeguata alla particolare contingenza storica. Che fare dunque? Come riporta il Lanfranco, nel suo saggio a puntate pubblicato in “Rassegna Numismatica” del 1932 a p. 312, “si fece strada il pensiero di utilizzare la grossa massa metallica monetaria costituita dai pezzi da 20 centesimi di nichelio misto (mistura di 75 parti di rame e 25 di nichelio) coniati negli anni 1894 e 1895 e poi ritirati per essere sostituiti con pezzi di nichelio puro, giusto il disposto della Legge 9 luglio 1905 nr. 363”.

Erano infatti ancora giacenti nei magazzini della Zecca grossi quantitativi di “nichelini” battuti negli anni 1894 e 1895 a nome di Umberto I, sebbene una parte considerevole di essi fosse già stata alienata all’industria privata come metallo da rifusione. Non si poteva quindi procedere ad una reviviscenza “sic et simpliciter”, del corso legale del “nichelino” (operazione che avrebbe potuto tecnicamente anche essere realizzabile con un Regio decreto ad hoc), e ciò proprio a causa delle cessioni già avvenute di tonnellate dei venti centesimi umbertini, ma si doveva procedere quanto meno ad effettuare un rapido ed economico “maquillage” delle precedenti impronte incise sulla moneta, tale da rendere “nuova”, almeno all’apparenza, la vecchia moneta già coniata.

In alto a sinistra, i 20 centesimi di Umberto I furono coniati nel 1894 e 1895 secondo il Regio decreto 21 febbraio 1894 n. 49 e ritirati con Regio decreto 13 giugno 1909 n. 361 (mm 22); in basso a sinistra, molto più eleganti, anzi, un vero capolavoro, i 20 centesimi di Vittorio Emanuele III coniati dal 1908 al 1914 e dal 1919 al 1922 e dal 1926 al 1935 per i numismatici (mm 22); a destra, per fronteggiare le spese belliche e la carenza di circolante, vennero emessi buoni di cassa non convertibili da 1 e 2 lire secondo il Regio decreto 18 agosto 1914 n. 828 (mm 83 x 45)

A chi venne questa brillante idea? Il Lanfranco (op. cit., p. 312), afferma che venne a lui “la felice idea di ristampare con nuovi coni le vecchie monete” e che il Ministero del Tesoro, “senza consultare la Commissione monetaria, diede incarico alla Regia Zecca di allestire rapidamente nuovi coni che bene fossero adatti a cancellare le vecchie impronte, stampandone delle nuove”. Il problema tecnico della riconiazione venne invece affrontato e risolto dall’Incisore Capo della Zecca, professor Attilio Silvio Motti, che in brevissimo tempo e dopo una rapida sperimentazione, approntò i conii da utilizzare per la ristampa dei nichelini e “preparò due modelli per sostituire le vecchie impronte direttamente sulle monete emesse con un colpo della pressa” (“Relazione della Regia Zecca. 25 Esercizi finanziari dal 1° luglio 1914 al 30 giugno 1939”, p. 21).

Come vedremo, la rapidità nell’approntamento dei nuovi conii e la sommaria preparazione dei vecchi tondelli (“le sole operazioni alle quali le vecchie monete da 20 centesimi venivano sottoposte prima della stampa, consistevano in una rincozione entro recipienti chiusi ed in un successivo imbianchimento”, ibid., p. 22) non fu soltanto la causa di un lavoro artisticamente poco curato, ma si riverberò anche (o forse, soprattutto) sull’apparato normativo di supporto alla nuova emissione monetale, che risulterà nella circostanza alquanto impreciso ed insolitamente incompleto.

I DECRETI ISTITUTIVI | E’ opportuno a questo punto citare i provvedimenti che istituirono la nostra moneta. Il primo e fondamentale atto normativo che istituì la moneta da centesimi 20 Esagono fu il Decreto luogotenenziale del 30 dicembre 1917 n. 2111 (pubblicato nella “Gazzetta ufficiale del Regno d’Italia” n. 13 del 16 gennaio 1918) che, all’art. 2, autorizzava “la coniazione ed emissione di una nuova moneta da centesimi 20 in lega di nickel e rame, per l’ammontare di 16 milioni di lire.”

In alto, un rarissimo esemplare non emesso, con rovescio diverso dalla versione finale, del 20 centesimi Esagono 1918 (Ni-Cu, mm 21,3, g 4) modellato da Attilio Silvio Motti (ex Collezione D’Incerti, courtesy Numismatica Varesi); in basso, esemplare di serie del 20 centesimi Esagono 1918 (Ni-Cu, mm 21,3, g 4) in conservazione eccezionale (ex Collezione D’Incerti, courtesy Numismatica Varesi)

L’art. 3 del Decreto rimetteva invece, ad un successivo decreto del ministro del Tesoro, la determinazione delle “dimensioni” e delle “caratteristiche” di tali monete. E qui siamo arrivati al dunque, ovvero a trattare l’aspetto della vicenda che, all’inizio di questo studio, definivo “inedito”. Mentre i fatti finora riportati sono ben noti e conosciuti da tutti, anche perché ampiamente illustrati dalla letteratura numismatica corrente, siamo certi invece che il passaggio seguente desterà qualche sorpresa.

Dopo il citato Decreto luogotenenziale n. 2111 intervenne infatti un Decreto ministeriale che, seppure per pochi giorni (per l’esattezza 19), introdusse nell’ordinamento monetario del Regno d’Italia una moneta dalle caratteristiche artistiche ben diverse da quelle che poi vennero stabilite definitivamente per il 20 centesimi Esagono, con un successivo Decreto ministeriale modificativo del primo. Si tratta del Decreto ministeriale 2 marzo 1918 n. 130258 (pubblicato nella “Gazzetta ufficiale del Regno d’Italia” n. 73 del 27 marzo 1918) che, in attuazione del citato Decreto luogotenenziale n. 2111, determinò le caratteristiche della nuova moneta di nichelio misto da 20 centesimi. Come si può notare dalla lettura dell’art. 1, le caratteristiche della nuova moneta non sono affatto quelle che verranno poi (e lo vedremo fra breve) imposte al rovescio del nostro Esagono. Infatti, mentre l’impronta del dritto prevedeva: “entro ad un cerchietto di pallini, lo scudo Sabaudo sormontato dalla Corona Reale fra due rami di quercia e di alloro intersecati in basso con sotto le iniziali A.M. e la leggenda <REGNO D’ITALIA> posta circolarmente in alto della moneta” (e qui ci siamo Nda), il rovescio doveva recare “entro ad una classica Corona romana, un esagono racchiudente in alto la stella d’Italia e nel centro l’indicazione <CENTESIMI 20> con sotto il millesimo di coniazione”.

A sinistra, biglietto da 20 lire della Cassa veneta dei prestiti emesso nel 1918 e circolante nei territori occupati dall’Austria-Ungheria a seguito della disfatta di Caporetto (mm 129 x 90); in alto a destra, buono di campo di prigionia in territorio italiano da 10 lire usato per il pagamento dei salari ai prigionieri e per il loro approvvigionamento di beni presso gli spacci (m 114 x 70); in basso a destra, francobollo da 10 centesimi incapsulato ed usato come gettone, con apposizione di messaggio pubblicitario, rimasto in uso all’incirca dal 1917 al 1925

IL 20 CENTESIMI 1918 ESAGONO PROVA | Le caratteristiche del rovescio di questa moneta ricordano molto da vicino il tondello che il Lanfranco, il Pagani, il Simonetti, l’Attardi-Gaudenzi, il Montenegro catalogano come “prova”, mentre nella recente opera di Domenico Luppino, il tondello viene classificato (a nostro avviso più correttamente) come “moneta non emessa”. La suddetta “prova” in effetti differisce dalla moneta descritta nel Decreto ministeriale del 2 marzo 1918 per la mancanza, al dritto, del “cerchietto di pallini” e per la presenza, al rovescio, del “simbolo di zecca R”, non riportato invece dal decreto. Non abbiamo reperito, dalle usuali fonti letterarie, ulteriori notizie circa l’esistenza della moneta dalle caratteristiche indicate nel Decreto ministeriale n. 130258 del 2 marzo 1918 e ciò ci fa pensare che in realtà la moneta in questione non sia mai stata coniata, nemmeno come prova. Saremmo quindi al cospetto di una moneta mai emessa o, comunque, di una moneta le cui caratteristiche vennero modificate prima che si procedesse alla sua battitura.

Come già anticipato infatti, le caratteristiche del 20 centesimi Esagono vennero in seguito modificate dall’art. 1 del Decreto ministeriale 11 aprile 1918 (pubblicato nella “Gazzetta ufficiale del Regno d’Italia” n. 89 del 15 aprile 1918) che, lasciando inalterata l’impronta del dritto, rideterminò quella del rovescio, stabilendo che essa “avrà, entro ad una classica corona romana, circondata da un cerchietto di pallini, un esagono racchiudente nel cerchio l’indicazione <Cent. 20> con sotto il millesimo di coniazione e l’iniziale R per la Zecca”. L’art. 2 del medesimo Decreto modificava inoltre la tolleranza di peso in più o in meno della moneta, portandola al 3% (mentre nel precedente decreto era stata fissata all’1%) ed introduceva un nuovo parametro di tolleranza riferito alla misura del diametro ed indicato in mm 0,3. Quest’ultima indicazione si rendeva certamente necessaria a seguito della lavorazione grazie alla quale il contorno godronato dei “nichelini” di Umberto veniva eliminato, per rendere il taglio dell’ Esagono liscio.

A sinistra, Decreto luogotenenziale 30 dicembre 1917; a destra, Decreto ministeriale 2 marzo 1918

Accennavamo, qualche riga più su, ad alcune ulteriori e curiose anomalie riscontrate nei provvedimenti che istituirono la moneta di cui trattiamo. La più evidente e macroscopica è che ci si dimenticò di attribuire il corso legale al 20 centesimi Esagono. Un unico elemento ci consente invero di desumere, “per relationem”, che alla nostra moneta tale fondamentale prerogativa fosse stata attribuita ed è l’art. 2 del Decreto luogotenenziale n. 2111 (istitutivo del 20 centesimi) che stabilisce che “l’accettazione delle monete indicate all’art. 1 del presente decreto sarà obbligatoria per tutti per somma inferiore a lire 5”. La precisazione che il 20 centesimi Esagono avrebbe avuto potere liberatorio “erga omnes” seppure nei limiti della somma di cinque lire, ci consente di ritenere come implicitamente accordato alla moneta il corso legale nello Stato, anche se non ci permette ovviamente di sapere da quale momento esso ebbe decorrenza.

Un’ulteriore lacuna dei provvedimenti è costituita dal fatto che ci si dimenticò, come avviene di consueto per i nuovi tipi monetali, di ordinare il deposito presso l’Archivio di Stato delle impronte in piombo della nuova moneta. Una dimenticanza più unica che rara nella lunga e ricca monetazione di Vittorio Emanuele III. Per paradossale coerenza, anche la cessazione della validità legale della nostra moneta (che nella normalità dei casi è disposta con provvedimenti che dichiarano la cessazione del corso legale a decorrere da una certa data, indicando altresì il momento della prescrizione del diritto al cambio), non avvenne durante il Regno d’Italia.

L’art. 3 del Regio decreto-legge 21 gennaio 1923 n. 215 (pubblicato nella “Gazzetta ufficiale del Regno d’Italia” n. 46 del 24 febbraio 1923) stabilì infatti che “è autorizzato il ritiro delle monete di nichelio in lega di nichel e rame da centesimi venti, emesse in virtù del Decreto Luogotenenziale 30 dicembre 1917 n. 2111, e la loro sostituzione, sino all’ammontare autorizzato con l’art. 1 di detto decreto (16 milioni di lire, Nda), con le monete di nichelio puro di egual valore autorizzate con Regio decreto 23 gennaio 1908 n. 22”; il provvedimento tuttavia nulla dispose in ordine alla cessazione del corso legale.

In alto a sinistra, Decreto ministeriale 11 aprile 1918; in basso a destra, Decreto legislativo del capo provvisorio dello Stato 18 maggio 1947

I possessori della moneta sarebbero stati quindi rimborsati fino alla concorrenza della somma di lire 16 milioni, senza una scadenza temporale ma solo nei limiti della somma suddetta. Tale importo in effetti, rappresenta all’incirca il quantitativo dei 20 centesimi Esagono battuti negli anni 1918, 1919 e 1920, per un totale di 77.452.000 di esemplari. Va ricordato infine che gli ottocenteschi “nichelini” di Umberto non furono sufficienti a soddisfare la richiesta complessiva di tondelli su cui imprimere le nuove impronte, cosicché si ricorse anche all’impiego di tondelli vergini, sui quali, evidentemente, la rigatura del contorno è del tutto assente, a differenza delle monete ristampate il cui taglio lascia quasi sempre intravedere qualche traccia di rigatura. Solo in periodo repubblicano ci si accorse che la moneta non era mai stata dichiarata fuori corso e così, con il Decreto legislativo del capo provvisorio dello Stato 18 maggio 1947 n. 470, si decretò la cessazione del corso legale del 20 centesimi Esagono, unitamente a quella delle monete in argento da 20, 10 e 5 lire coniate in occasione della costituzione dell’Impero.

CONCLUSIONI | La moneta di cui ci siamo occupati – uno spicciolo solo all’apparenza privo di particolare interesse – risulta “figlia dei suoi tempi” ed assume certamente la connotazione di “moneta di necessità o di emergenza”. Riflettendo sulle anomalie che illustravamo sopra, si ha l’impressione che le autorità del Regno d’Italia provassero quasi imbarazzo, dopo le raffinate e ricche produzioni monetali dei primi tre lustri anni del Novecento, ad immettere nella circolazione una moneta povera, sia dal punto di vista artistico che da quello della composizione metallica; una sorta di “cenerentola” delle monete, creata in tutta fretta e da dimenticare al più presto.

Questo “imbarazzo” si è riverberato persino sulla formulazione, stilisticamente poco elegante ed anzi, persino farraginosa, dei provvedimenti istitutivi della nostra moneta. Ciò però si spiega e trova la sua giustificazione se si ha riguardo al momento storico ed alle impellenti esigenze che imposero questa coniazione di emergenza. Si può tuttavia affermare che, nonostante tutto, la nostra moneta sopravvisse al Regno d’Italia e si difese con grande dignità se è vero, come riporta la “Relazione della Regia Zecca” (op. cit., p. 22), che nel 1940 essa aveva“ancora dei residui di circolazione, quantunque da tempo ne sia stato disposto il ritiro e la sostituzione con monete di nichelio puro”.

 

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

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