(di Roberto Ganganelli) | “DEVS PROTECTOR ET REFVGIVM MEVM” (oppure “DEVS PROTECTOR ET REFVGIOM MEOM”) è la legenda latina (ispirata ai “Salmi”, 17, 3) che appare su una delle monete più eleganti e, in un certo senso, “gotiche” del primo Cinquecento italiano. Si tratta di un raro e bellissimo tallero da 40 grossi (per alcuni, una medaglia e niente più) che venne coniato dalla zecca di Carmagnola nel 1516 a nome di Margherita di Foix, reggente del piccolo feduo. Al rovescio è raffigurato ad un albero – secco e sradicato – al quale è appeso lo stemma delle armi accollate dei Foix e dei Saluzzo con sopra un uccellino, con legenda I I C. Al dritto, invece, campeggia un solenne busto in vesti vedovili di Margherita con T C a fine legenda e data (1516). Le lettere T C stanno per TVTRIX e CVRATRIX e completano la legenda MARGARITA DE FVXO MARCHIONISA SALVCIAR. L’albero sradicato ricorda la scoparta del marito, principe Ludovico, lo stemma la continuazione della dinastia, l’uccellino simboleggia invece il desiderio di salvare l’anima amata dal naufragio della morte e di vedere un prospero futuro con l’aiuto di Dio considerato da Margherita, come recita la legenda, “mio protettore e conforto”.
L’elegante e severo ritratto di Margherita di Foix al dritto del tallero che ricorda la morte del marito (source: NAC Numismatica Ars Classica)
Il “Corpus” in una nota avverte: “Questo pezzo è ritenuto da alcuni una medaglia per il rilievo e per il rovescio, da altri come moneta per il peso e la presenza delle sigle degli zecchieri”. Per Ravegnani Morosini “avvalorano la tesi che sia più una medaglia che una moneta il fatto che nella legenda del D/ figuri solo il nome di Margherita, non accompagnato da quello del figlio Michele Antonio, del quale la marchesa era tutrice, le caratteristiche formali e l’alto rilievo.
Lutto, ma anche speranza e fede per l’allegorica composizione del rovescio (source: NAC Numismatica Ars Classica)
D’altra parte il peso, uguale a quello del tallero, e più ancora la sigla degli zecchieri (I I C per i fratelli Da Clivate) fanno ritenere che il pezzo avesse corso legale” e fosse, dunque, moneta a tutti gli effetti. Le lettere I I C sono le stesse che si trovano sulla moneta d’oro da 10 scudi del 1503 di Ludovico II e Margherita di Foix e nel tallero d’argento dello stesso anno. Le tre lettere hanno avuto nel tempo interpretazioni controverse: secondo alcuni potrebbero essere il seguito della legenda come “ETC[etera]”; secondo altri sono da ritenersi le prime lettere di Januae Johannes Clot, incisore tedesco che lavorava alla zecca di Genova agli inizi del XVI secolo; secondo altri ancora, infine, sarebbero la sigla della famiglia milanese di maestri di zecca e incisori Da Clivates, attivi nella zecca di Carmagnola.