(di Luca Mezzaroba) | “Dopo aver giurato Anastasio si recò all’ippodromo e […] fu quindi sollevato in piedi sullo scudo e un ‘campiductor’ dei Lanciarii, salitovi, gli pose in capo il proprio ‘maniakis’. Vennero sollevate le insegne e i soldati e il popolo lo acclamarono. Scese quindi dallo scudo recandosi di nuovo nella sala in cui vestì le insegne imperiali”. (la testimonianza di Pietro Patrizio è riportata in G. Ravegnani, “Imperatori di Bisanzio”, Bologna 2008, p. 78) Con queste parole, Pietro Patrizio (funzionario imperiale del VI secolo) descrive l’incoronazione di Anastasio I, avvenuta l’11 aprile 491. Quando ascese al trono, Anastasio I (491-518) aveva ormai sessant’anni e, fino a quel momento, aveva rivestito una dignità minore all’interno della corte imperiale; nonostante questo, proprio durante il suo regno furono poste le basi per i grandi eventi politico-militari del secolo successivo e, per molti versi, prese avvio la numismatica bizantina.
Posto fine alle rivolte interne e fermata l’avanza persiana in Oriente, il sovrano si dedicò infatti al risanamento delle finanze dello Stato, ridotte, in quel periodo, in una situazione di crisi senza precedenti. Alla fine del V secolo, l’impero romano d’oriente si avvaleva principalmente di due tipi di monete, il solido d’oro e il nummo di bronzo; se però la stabilità del solido, e delle sue frazioni quali il semisse e il tremisse, era riconosciuta, il valore del nummo era invece precipitato, arrivando a 1/7200 della moneta d’oro, con un peso ridotto a circa 1 grammo.
A sinistra, mezzo follis di Anastasio I. Bronzo, g 8,92; mm 28; h 6; a destra, decanummo di Giustiniano I. Bronzo, g 4,69; mm 22; h 6
Nel 498, dunque, Anastasio I intraprese una vera e propria riforma della moneta di scambio, introducendo nel mercato una serie di multipli del nummo, il più importante dei quali è certamente il follis. Questa moneta di larghe dimensioni, in bronzo, aveva il valore di 40 nummi, come indicato chiaramente dalla grande M del rovescio (in greco infatti la M segnalava anche il numero 40); al dritto invece venne proposta la figura imperiale, di profilo, con i classici abiti e attributi della prima età bizantina (diadema gemmato, corazza, fibbia e il mantello detto “paludamentum”).
Oltre al follis, Anastasio I introdusse altri due multipli del nummo: il mezzo follis e il decanummo: entrambe le monete, al dritto, mostrano la stessa iconografia imperiale del follis, tuttavia, come dice il nome stesso, il loro valore era differente: il primo infatti corrispondeva a 20 nummi, e per questo, al rovescio, presentava una grande K, il secondo a 10 nummi, ed era quindi contrassegnato da una I. L’ultimo intervento di Anastasio I in campo monetario avvenne nel 512; in quell’anno infatti fu introdotto un ultimo multiplo del nummo, il pentanummo, equivalente a 5 nummi e caratterizzato, al rovescio, dalla lettera E.
A sinistra, follis di Giustiniano I. Bronzo, g 21,44; mm 32; h 12; a destra, pentanummo di Giustino II e Sofia. Bronzo, g 1,67; mm 14; h 12
Questa riforma, e in modo particolare l’introduzione del follis, fu sicuramente una delle più grandi e fortunate innovazioni della storia monetaria imperiale e, per molti studiosi, fu proprio la creazione di questa moneta di bronzo, sopravvissuta tra alterne fortune per circa sei secoli, a costituire l’inizio di una vera e propria monetazione bizantina. (al riguardo si veda P. Grierson, “Byzantine Coinage”, London, 1982, p. 2)
L’azione intrapresa da Anastasio I diede ottimi frutti: fu proprio grazie alla sua riforma che la situazione economica dell’impero migliorò a tal punto da consentire, ad esempio, una migliore paga per i soldati, fattore necessario per le grandi espansioni militari di età giustinianea. Proprio durante il regno di Giustiniano I (527-565) il follis e gli altri multipli del nummo subirono un primo, importante, intervento, sia sul piano iconografico sia su quello materiale. Come nel solido d’oro, anche nelle monete di bronzo la figura imperiale iniziò ad essere ritratta in modo diverso: dal 538 infatti il sovrano venne raffigurato, al dritto, pienamente frontale, con corazza, elmo con diadema e “paludamentum”, mentre stringeva nella destra il globo crucigero e nella sinistra uno scudo stilizzato decorato con l’immagine di un cavaliere. Al rovescio, invece, oltre alla consueta indicazione del valore della moneta, veniva indicato anche l’anno di regno del sovrano. Giustiniano I, poi, modificò anche il peso del follis, che fu portato a 25 grammi; tale provvedimento ebbe però poca fortuna a causa della scarsa convenienza della moneta, che già pochi anni dopo (541) vide il suo peso ridursi a 22 grammi.
A sinistra, follis di Giustino II e Sofia. Bronzo, g 14,32, mm 32; h 12; a destra, decanummo di Maurizio. Bronzo, g 3,53; mm 20; h 6
Gli ultimi anni del VI secolo furono infine caratterizzati dalla nascita di una quinta moneta di bronzo, dal valore di 30 nummi, contrassegnata al rovescio dalla lettera Λ o dal numero in cifre romane XXX. Queste varianti iconografiche coinvolsero, in realtà, anche le altre monete di bronzo, ad esempio il decanummo dell’imperatore Maurizio (582-602) in cui la lettera I era sostituita dalla cifra romana X o dai follis di Giustino II (565-574) e dello stesso Maurizio, nei quali, al dritto, l’immagine del sovrano in abiti militari era rimpiazzata da quella della coppia imperiale in abiti civili o, addirittura, dal monogramma dei due sovrani.
Questa situazione di grande varietà in ambito monetario subì un drastico ridimensionamento durante il VII secolo: la grave crisi politico-militare dell’impero bizantino, colpito duramente dall’espansione araba nelle sue province orientali, si fece sentire soprattutto nella produzione delle monete di bronzo. Se infatti il solido d’oro riusciva ancora a mantenere il suo prestigio, e anzi acquisiva la funzione di moneta di propaganda della legittimità imperiale, il follis e gli altri antichi multipli del nummo conobbero un vero e proprio declino sotto tutti i punti di vista. Ancora con Eraclio I (610-641) il follis presentava con chiarezza, al rovescio, l’indicazione dell’anno e la grande M, mentre al dritto la figura imperiale, spesso accompagnata dagli eredi al trono, era visibile in tutti i suoi particolari; già pochi anni dopo, tuttavia, molti di questi aspetti subirono i contraccolpi della crisi dell’impero.
A destra, follis di Eraclio I e Costantino III. Bronzo, g 8,63; mm 29; h 6; a destra, follis di Costante II e Costantino IV. Bronzo, g 6,16; mm 22; h 8
Con il regno di Costante II (641-668) il peso del follis scese infatti a soli 3 grammi, tanto da rendere difficile la produzione del mezzo follis; d’altra parte l’iconografia, che pure tentava di mantenere il passo con quella del solido, rappresentando i vari componenti della famiglia imperiale, era molto più scarna e meno particolareggiata, tanto che alcuni studiosi sono arrivati a definire “abominevole” la fabbricazione delle monete di bronzo di questo periodo. (Cfr. P. Grierson, “Byzantine Coinage”, op. cit., p. 19).
Le crisi del follis continuò per tutto il secolo e, nonostante alcuni sporadici e infruttuosi tentativi di risollevarne il valore, all’inizio dell’VIII secolo il suo prestigio era ormai crollato; proprio per questo motivo, la nuova dinastia isaurica tentò di porre un rimedio alla situazione semplificando il più possibile la produzione di monete di bronzo. Durante il regno di Costantino V (741-775) non furono più coniati pentanummi e decanummi, Leone IV (775-780) invece abolì l’indicazione della K sul rovescio del mezzo follis, tanto che l’aspetto di questa moneta era pressoché indistinguibile da quello dei follis già al tempo di Costantino VI (780-797), che in ogni caso ne fece cessare la produzione. La semplificazione voluta dagli isaurici colpì infatti anche la stessa iconografia delle monete di bronzo: se alcune di esse presentavano ancora, al rovescio, la grande M al centro del campo, in altre invece essa era del tutto assente, sostituita dalla rappresentazione, tipica della dinastia isaurica, degli avi dell’imperatore; in ogni caso l’indicazione dell’anno non era più presente da tempo.
A sinistra, follis di Costantino V e Leone IV. Bronzo, g 2,89; mm 18; h 6; a destra, follis di Michele II e Teofilo. Bronzo, g 7,46; mm 27; h 6
Già all’inizio del secolo, infatti, la datazione presente nelle monete di bronzo, costituita dalla parola “ANNO” e dalla data in cifre romane rispettivamente a sinistra e destra del contrassegno del valore, era stata rimpiazzata dalle lettere NNN XXX; questo fenomeno andò aumentando con l’avvento al potere della dinastia amoriana. Già durante il regno di Michele II (820-829) il peso del follis era aumentato, arrivando ad 8 grammi; con il figlio Teofilo (829-842) il senso stesso del follis e del suo valore di 40 nummi, ormai caduto del tutto in disuso, perse anche la dignità iconografica. L’imperatore infatti ordinò di sostituire la grande M del rovescio con una scritta su più righe, in genere quattro, nella quale il sovrano era lodato attraverso vari epiteti, quali “eusebes” (pio) e “pistos” (fedele). Al dritto, invece, le figure imperiali, del sovrano e del possibile correggente, continuavano ad essere rappresentate, con chiari intenti propagandistici, con tutti i simboli del potere e nei loro ricchi abiti cerimoniali.
Follis di Teofilo. Bronzo, g 6,11; mm 19; h –
Tralasciando la particolare iconografia delle rare monete bronzee di Michele III (842-867), queste caratteristiche del follis furono mantenute pressoché inalterate fino al regno di Giovanni I Zimisce (969-976). Durante il suo regno infatti la struttura del follis subì il cambiamento più deciso e repentino di tutta la sua storia: al dritto, infatti, la figura dell’imperatore fu sostituita con quella di Cristo e, al rovescio, l’iscrizione celebrativa del sovrano con una formula più conforme alla figura di Cristo celebrato come “Basiléus Basiléon” (“re dei re”).
L’introduzione di questi nuovi follis (detti anonimi in quanto la scritta, ridotta nel corso del tempo a semplici sillabe, non indicava più il nome del sovrano) e l’entrata in scena così spettacolare delle caratteristiche cristiane nelle monete di bronzo, prima del tutto assenti, ebbe sicuramente effetto su tutti gli strati sociali dello Stato bizantino; questo è dimostrato dallo storico Giovanni Scilitze che, pur essendo vissuto un secolo dopo, scelse di dedicare un passaggio della sua opera proprio per sottolineare questo tema.
A sinistra, follis classe A del periodo di Basilio II e Costantino VIII. Bronzo, g 10,6; mm 28; h 6; a destra, follis classe B del periodo di Romano III Argiro. Bronzo, g 15,62; mm 34; h 6
Come evidenziato da alcuni studiosi, è probabile che la decisa introduzione di simboli cristiani nel follis non sia casuale, ma coincida, tralasciando la fede personale dei sovrani, con l’offensiva anti-araba che gli imperatori macedoni stavano portando avanti proprio in quegli anni; l’introduzione della croce nel rovescio delle varie classi del follis anonimo (molto semplice nella classe B, più elaborata nelle classi C, H ed I) e della Madre di Dio nel rovescio della moneta (classe G) sono altre testimonianze di questo fenomeno. (al riguardo si vedano C. Morrison, “Byzance et sa monnaie. IV-XV siècle”, Lethielleux 2015, pp. 46-47 e P. Grierson, “Catalogue of the Byzantine coins in the Dumbarton Oaks Collection and in the Whittemore Collection 3”, Washington, 1966-1999, p. 68.)
Queste grandi trasformazioni nell’iconografia del follis segnarono, paradossalmente, la sua fine: le molte varianti del follis anonimo emesse tra il X e l’XI secolo, furono infatti coinvolte nella grave crisi politico-militare che colpì l’impero bizantino alla fine dell’XI secolo; in questo periodo le coniazioni in bronzo avevano perso gran parte del loro prestigio e il loro peso era tornato a meno di 6 grammi. L’avvento al trono di Alessio I Comneno (1081-1118) e la sua grandiosa riforma monetaria (1092) sancirono, infine, la definitva scomparsa del follis.