(di Roberto Ganganelli) | Non sono affatto semplici, i primi passi della neonata Repubblica Italiana uscita vincente dalle urne del referendum del 2 giugno 1946 nel quale ha prevalso, sull’istituto monarchico, per soli due milioni di voti. Il Paese è lacerato, stremato dalle privazioni e dalle distruzioni del conflitto da poco terminato: due milioni di alloggi distrutti, come pure un quarto della rete ferroviaria, un terzo dei ponti e gran parte della flotta mercantile, senza contare la disoccupazione, il disagio dei reduci rientrati dal fronte o dalla prigionia e il disavanzo dello Stato che, tra il 1946 e il 1947, schizza da 409 a 534 miliardi di lire. Ci si consola con una ritrovata libertà, con un acceso confronto politico – che in occasione delle elezioni del 1948 rischia addirittura di sfociare in guerra civile – e con la consapevolezza (o almeno la speranza) che il peggio è passato. Il Piano Marshall riversa sull’Italia fondi per la ricostruzione e lo sviluppo industriale, nonché le materie prime e i beni di prima necessità che scarseggiano, calmierando gli eccessi della borsa nera e riportando una certa stabilità in ambito monetario.
Quasi scomparsa la moneta metallica, non più coniata dopo il 1943, l’Italia è invasa da una massa cartacea di emissioni sia nazionali che di pertinenza, rispettivamente, del Regno del Sud e della Repubblica Sociale, senza contare i circa 171 miliardi di Am-lire, le sterline di occupazione e i dollari a timbro giallo, i buoni di liberazione e partigiani. Bisogna voltare pagina, e il governo ne è consapevole, anche sotto il profilo della monetazione metallica, espressione istituzionale primaria che deve segnare il passaggio da Regno a Repubblica, dalla dittatura alla democrazia. E, per la verità, ad una nuova serie di spiccioli si pensa già durante la Luogotenenza e il breve periodo di Umberto II, il “re di maggio” dato che portano proprio le firme del 25 giugno 1944 e dell’8 maggio 1945 i due decreti che prevedono la coniazione di nuovi tipi da 1, 2, 5 e 10 lire. La modellazione viene affidata a Giuseppe Romagnoli, l’incisione dei conii a Pietro Giampaoli e, nel corso del 1946, si provvede alla coniazione degli esemplari di prova sui quali, in attesa dell’esito del referendum, appare la scritta ITALIA.
Sarà Enrico De Nicola, capo provvisorio dello Stato, con decreto del 6 settembre 1946 a fissare le caratteristiche definitive dei nuovi spiccioli, a sancire che su di essi appaia l’iscrizione REPUBBLICA ITALIANA e a segnare anche una vera e propria rivoluzione tecnica: per la prima volta, infatti, viene impiegata per il conio una lega di alluminio (96,2%), magnesio (3,5%) e manganese (0,3%) che viene ribattezzata italma (ITaliano ALuminio MAgnesio). Peraltro, nel decreto in questione viene indicato anche, in modo esplicito, il millesimo 1946 da apporre sui rovesci: un fatto, questo, che per tutta la durata della serie (fino al 1950 compreso) costringerà a promulgare un nuovo decreto di emissione ogni anno per fissare le caratteristiche delle monete. Quattro monete che entreranno nella storia e che tutti i numismatici conoscono, quatto piccoli capolavori che – in realtà profondamente simbolici – solo all’apparenza esaltano l’agricoltura celando in realtà richiami ad iconografie classiche di grande fascino e notorietà, lontane dalla retorica di tante emissioni del ventennio precedente e per questo, ancora oggi, così amate dai collezionisti.