(di Roberto Ganganelli) | Il 18 giugno di due secoli fa, la battaglia di Waterloo segnò il destino di Napoleone e quello dell’Europa intera. E il prossimo 23 giugno, la nota casa d’aste londinese Baldwin’s dedicherà alla figura del Grande Corso, del suo storico avversario Wellington e, più in generale, all’epoca delle guerre napoleoniche un intero incanto il cui contenuto spazia dai documenti d’epoca ai bronzetti, da cimeli e stampe a lettere autografe di importanti protagonisti del tempo senza trascurare le medaglie – sia commemorative che al merito, presenti a decine – e tra le quali spicca, per interesse e importanza assoluta, un insieme di opere di un grande artista italiano del conio: Benedetto Pistrucci. Dopo la vittoria di Waterloo ottenuta dalla coalizione anti napoleonica capeggiata dall’Inghilterra e di cui facevano parte Paesi Bassi, Regno di Hannover, Regno di Prussia e i ducati di Brunswick e Nassau, infatti, la Royal Mint decise di celebrare adeguatamente l’evento affidando allo scultore italiano – correva l’anno 1816 – la realizzazione di una medaglia da coniare in oro, in grande modulo, e da consegnare ai regnanti alleati e ai loro ministri, nonché agli alti ufficiali delle armate che avevano preso parte allo scontro.
Un’elegante cornice conserva un raro esemplare, a facce separate, della medaglia di Waterloo opera di Pistrucci (source: Baldwin’s)L’opera, tuttavia, ebbe una gestazione difficile dal momento che Pistrucci realizzò celermente i modelli preliminari, ma la medaglia rimase poi ferma, addirittura fino al 1844 – causa rivalità fra l’artista ed altri incisori della Royal Mint e divergenze sul compenso – e fu completata solo nel 1849 quando, ormai, tutti i protagonisti di quella storica battaglia erano ormai deceduti.
A rendere il tutto più complicato – quasi sulla medaglia fosse caduta una “maledizione postuma” da parte di Napoleone, il grande sconfitto di Waterloo – si aggiunsero problemi nella tempera dei conii per cui non si poté mai mettere in atto una vera e propria produzione di serie e i pochi esemplari realizzati furono prodotti per galvanoplastica o in guttaperca, una sostanza naturale molto simile al caucciù. A testimoniare il processo creativo di Benedetto Pistrucci per questa elaborata (e sfortunata) medaglia rimangono, inoltre, i conii – esposti nel museo della Royal Mint – e i modelli preparatori in cera, conservati a Roma nel Museo della Zecca.
Medaglia in bronzo (a facce saldate), uno dei pochissimi esemplari prodotti per galvanoplastica (source: Baldwin’s)Diamo un’occhiata alla medaglia più da vicino: al dritto vi sono quattro busti accollati, laureati e drappeggiati di Giorgio IV, di Francesco II d’Austria, dello zar Alessandro I di Russia e di Federico Guglielmo III di Prussia; intorno a loro una processione di figure classiche che alludono al Trattato di Pace: Apollo, restauratore del giorno dopo notte; Iris e l’arcobaleno Zefiro che spargono fiori a festeggiare la pace; Castore e Polluce, i gemelli guerrieri che rappresentano, forse, Wellington e Blücher, ma che simboleggiano anche il mese in cui la battaglia venne combattuta; quindi la Giustizia sopra le Parche ed Ercole che sopprime le Furie. Al rovescio, in alto campeggia Giove con quadriga sormontata dalla Vittoria e al centro le classiche figure equestri di Wellington e Blücher, all’interno di un decoro che rappresenta una battaglia fra diciannove tritoni, simbolo di altrettanti anni di guerra. Il tutto, in 133 millimetri di diametro.
I modelli/stampi in negativo utilizzati per realizzare in galvanoplastica le medaglie di Waterloo (source: Baldwin’s)Una medaglia splendida, complessa, degna della mano di Benedetto Pistrucci e che oggi possiamo riscoprire dal momento che nell’asta Baldwin’s del prossimo 23 giugno è presente, come già accennato, un insieme eccezionale di reperti ad essa collegati (lotti nn. 70-74). Si comincia con le due facce separate, ottenute per galvanoplastica in rame, incorniciate elegantemente con fondo di velluto scuro e si prosegue con un lotto simile, ma caratterizzato da argentatura e montaggio su fondo di velluto verde; a completare l’insieme una medaglia in bronzo naturale in galvanoplastica, un’altra – rarissima – in guttaperca e la coppia (un “unicum”) di modelli in negativo usati per il processo galvanico di produzione. Insomma, escluse le cere di Roma e i conii di Londra, tutta la storia di una delle più importati medaglie europee del XIX secolo.
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