(di Roberto Ganganelli) | “Con il merito e con il tempo”, questo si legge sul dritto del grosso da 3 soldi emesso dalla zecca di Milano sotto Francesco II Sforza (1495-1535) e sul grosso da 5 soldi a nome di Gian Galeazzo Maria Sforza (1444-1476) con Ludovico il Moro reggente (1452-1508). Il motto, curiosamente, appare su un nastro avvolto attorno ad una scopetta. “L’impresa della scopetta o spazzola (“brustia” in dialetto milanese), già di Francesco I Sforza e impressa sulle monete da Francesco II fu prediletta – ci ricorda Mario Traina – da Ludovico il Moro con il motto MERITO ET TEMPORE. Secondo Crippa l’impresa starebbe a testimoniare l’intenzione di ripulire il Ducato da ogni bruttura. Biondelli (vedi Gnecchi, 1884, p. LXXV) ricorda un aneddoto che indicherebbe un altro significato: ‘Ricevendo un giorno Ludovico alcuni ambasciatori fiorentini in una sala, la faceva intanto scopare per dar loro ad intendere le proprie intenzioni d’impadronirsi (con il valore e con il tempo) degli Stati italiani; e che quelli, avvedutisi, lo avvertirono che la spazzatura gli insudiciava le vesti’. Interpretazione quest’ultima giudicata ‘poco felice’ da Biondelli, ‘esclusa d’altronde dal fatto che la stessa impresa era stata anteriormente adottata dal padre del Moro’.
La stessa impresa, ma a volte con l’anima diversa (SCOPIS MVNDATA) venne assunta da Federico II di Montefeltro ed illustrata in molte sale del Palazzo Ducale di Urbino. L’impresa viene così spiegata: ‘Essendo Federico nato spurio e mediante il pontifico diploma di Martino V mondato di questa macchia, volesse alludere al detto del Vangelo, essere la sua natività ‘scopis mundata’, non disdegnando si sapesse ch’egli era legittimato e non legittimo figliuolo ‘ (vedi, Colucci, 1786, v. 21, p. 144).
Sulle loro monete i Visconti e poi gli Sforza ostentano anche il titolo di COMES ANGLERIAE, che deriva dalla contea di Angera da sempre rivendicata dai signori di Milano anche se, di fatto, apparteneva ai Borromeo. Nell’intento di nobilitare la loro origine, i Visconti pretendevano infatti di discendere da un immaginario Anglo, nipote di Enea e fondatore di Angera. Circa il soprannome ‘il Moro’, questo dovrebbe derivare a Ludovico dal colorito scuro della carnagione e dalla sua folta e nera capigliatura; secondo un’altra tradizione il soprannome deriverebbe invece dal carattere di Ludovico che per la sua accortezza sarebbe stato paragonato dal padre alla pianta del gelso, detta volgarmente ‘moro’, assunta dall’araldica come simbolo della prudenza dato che verdeggia solo a stagione avanzata”.