(di Roberto Ganganelli) | Clemente XI Albani nacque il 23 luglio 1649 ad Urbino (ma secondo alcune fonti a Pesaro), primogenito di una famiglia nobile di origine albanese (da cui il cognome). Studente modello, versatissimo nel greco e nel latino, si laureò a Roma in “Utroque iure” e nell’ateneo della città d’origine, invece, conseguì il titolo di dottore. Ammesso dalla regina Cristina di Svezia nella sua esclusiva Accademia, su presentazione del cardinale Decio Azzolino, grazie alla sua competenza e alla sua profonda conoscenza del sistema amministrativo e burocratico della Chiesa divenne consigliere di Alessandro VIII Ottoboni (1689-1691) e di Innocenzo XII Pignatelli (1691-1700).
Mal visto da parte della Curia in quanto considerato uomo integerrimo e scevro da corruttele e nepotismo, fu ordinato sacerdote solo nel mese di settembre dell’anno 1700 e poco dopo, alla morte di papa Pignatelli, uscì sommo romano pontefice dal Conclave avendo modo, peraltro, di chiudere la Porta Santa di quel Giubileo che il suo predecessore aveva indetto e che, per le malferme condizioni di salute, non era nemmeno riuscito a delegare di persona.
Papa Albani sarebbe restato sul trono per quasi 21 anni, morendo dopo una breve malattia il 19 marzo 1721. Scelse di essere sepolto in maniera umile e le sue spoglie furono deposte sotto il pavimento della Cappella del coro dei Canonici della Basilica di San Pietro, dove tuttora riposano, ricoperte da una semplice lastra di porfido. Santa Veronica Giuliani riferì che il pontefice le apparve dopo la morte, dicendole che era in Purgatorio e che voleva essere liberato. La santa pregò molto tempo per lui, finché qualche anno dopo le apparve di nuovo dicendole che era pronto per il Paradiso.
Papa Albani sviluppò proficue relazioni diplomatiche coi sovrani europei, svolgendo un’attività intensa come mecenate e promotore di nuove opere pubbliche e se, in effetti, durante il suo pontificato il meccanismo del nepotismo non ebbe fortuna come in altri periodi, il pontefice marchigiano non mancò, nella sua monetazione, di mostrare una certa “predilezione” per Urbino, sua città, alla quale dedicò alcune belle monete in argento. Data al quarto anno sul soglio di Pietro la mezza piastra con al rovescio san Crescentino martire, patrono di Urbino, colto a cavallo, in vesti di guerriero, nell’atto di uccidere il drago. Moneta splendida, opera di due virtuosi del bulino – il Borner e l’Hamerani – che l’anno dopo lascia il passo ad un magnifico testone “architettonico”, opera di Ermenegildo Hamerani, sul quale campeggia una veduta del Palazzo Ducale a cui lavorarono, per i Montefeltro e in particolare per Federico, due geni come Luciano Laurana e Francesco di Giorgio Martini.
Sotto la legenda “CIVITAS VRBINI”, che fa quasi pensare ad una coniazione in qualche modo “locale” ed “autonoma” – anche se gli studi dimostrano che la moneta venne battuta a Roma – campeggia la facciata dei Torricini con i due snelli pinnacoli, i fornici degli archi, la cupola e il campanile della Cattedrale e con, tutt’attorno, gli altri edifici della città in un contesto bucolico con tanto di ponte ad archi attraversato da un carro.
E’ tuttavia su una terza moneta che Clemente XI riafferma non solo il legame con la città natale ma anche quanto fatto per renderla splendente come all’epoca della Signoria rinascimentale. “RESTITVISTI MAGNIFICENTIAM” (ossia, “(Ne) hai restituita la magnificenza”) si legge infatti sul testone dell’anno quinto di pontificato che allude al restauro del Palazzo Ducale di Urbino mostrandone “l’altra faccia”, ossia la severa e massiccia mole delle mura che affacciano sulla piazza della Cattedrale.
Urbino, infatti, godette di preferenze specialissime da parte del “suo” papa. Una lapide murata nel Palazzo Ducale nel 1710 annovera i benefici che la città ebbe da Clemente XI: oltre al restauro del palazzo stesso e di quello arcivescovile, alla cancellazione di numerosi debiti con la Camera Apostolica, alla costruzione di un istituto educativo per la gioventù, Albani provvide alla decorazione della Cattedrale con dipinti e un magnifico altare, al consolidamento e restauro delle mura, alla fondazione di una biblioteca pubblica, alla costruzione di una chiesa e di un convento, e perfino all’erezione di un obelisco e di un monumento all’antenato del papa, Alessandro VIII, senza contare numerosi privilegi all’Università, dove egli stesso era stato studente.
Un’autocelebrazione numismatica, dunque, in fondo del tutto meritata…