LE CONIAZIONI PONTIFICIE
PER I PRIMI GIUBILEI (1300 E 1350) | 1

(di Antonio Rimoldi) | Alle origini del Giubileo | “Conterai sette settimane di anni, cioè sette volte sette anni; queste sette settimane di anni faranno un periodo di quarantanove anni. […] Dichiarerete santo il cinquantesimo anno e proclamerete la liberazione nel paese per tutti i suoi abitanti. Sarà per voi un giubileo; ognuno tornerà nella sua proprietà e nella sua famiglia. […]. In questo anno di giubileo, ciascuno tornerà in possesso del suo” (“Levitico”, XXV). L’istituzione dell’Anno Giubilare è da far risalire agli anni immediatamente successivi al 587 a.C., allorché alcuni sacerdoti in esilio da Babilonia ripresero ed attuarono le prescrizioni dettate da Dio a Mosé e contenute nel venticinquesimo capitolo del “Levitico”. La gioia del Giubileo scaturiva allora da una totale remissione dei debiti, dalla liberazione dalla schiavitù, da un fenomeno che potremmo generalizzare come una sorta di azzeramento degli oneri fiscali e della subordinazione servile. Tale usanza venne poi mantenuta nell’antico mondo ebraico.

 Il Giubileo cristiano si differenziò fin da subito per la sua componente maggiormente spirituale piuttosto che di tipo sociale/pratico. Infatti il primo Giubileo, indetto da papa Bonifacio VIII (24 dicembre 1294 – 11 ottobre 1303) ebbe come scopo principale l’annullamento delle pene meritate per i peccati. La richiesta di tale indulgenza – cuore dell’anno giubilare – era venuta originandosi dai pellegrini, che avevano letteralmente invaso l’Urbe fortemente influenzati da svariate profezie di carattere millenaristico.

 L’Anno Giubilare venne solennemente proclamato il 22 febbraio 1300, l’indulgenza venne inoltre concessa anche a chi aveva effettuato il pellegrinaggio precedentemente, a partire dal Natale dell’anno precedente; difatti a quell’epoca il nuovo anno iniziava il giorno 25 dicembre. Questo primo Giubileo ebbe una genesi molto particolare, infatti la decisione dell’indizione dello stesso da parte di papa Caetani fu originata da una “[…] opinione dubbia e quasi priva di attendibilità che tendeva ad assicurare la possibilità di lucrare una pienissima indulgenza della pena meritata per tutti i peccati commessi, in virtù del prossimo futuro e ormai imminente anno centenario del 1300, a quanti si fossero recati a visitare la basilica di San Pietro, principe degli apostoli”.

 L’Anno Giubilare verrà indetto successivamente nel 1350 da Clemente VI (7 maggio 1342 – 6 dicembre 1352), seguiranno poi tre giubilei ravvicinati nel 1390, nel 1400 e nel 1423. A partire dal Giubileo del 1450 indetto da Nicolò V (6 marzo 1447 – 24 marzo 1455), tutti gli anni giubilari fino a quello del 1925 verranno distanziati l’uno dall’altro da 25 anni anziché dagli originari 50. Con questo contributo è nostra intenzione fornire una panoramica delle coniazioni databili ai Giubilei del 1300 e del 1350, effettuate a nome del papato o di altre istituzioni aventi privilegio di coniazione all’interno dello Stato della Chiesa.

La produzione monetaria nei domìni pontifici tra 1300 e 1350 | Riteniamo sia di fondamentale importanza, prima di avventurarci nelle ipotesi di attribuzione di particolari monete ai due anni giubilari in questione, fornire una visione d’insieme di quali fossero i nominali, i tipi e le autorità emittenti nei domìni pontifici nel periodo preso in esame. Le coniazioni riportanti chiaramente il nome del pontefice sono prerogativa delle due zecche allora operanti nel Contado Venesino, vale a dire Avignone e Pont de Sorgues (italianizzato in Ponte della Sorga), e di una ristretta serie di zecche minori italiche: zecca incerta situata nel Patrimonio di San Pietro (Benedetto XI), Macerata (Giovannni XXII e Benedetto XII), Montefiascone (Giovanni XXII e Benedetto XXII), Parma (Giovanni XXII). Tutte queste zecche emettevano in allineamento con lo standard locale; di conseguenza avremo la coniazione di denari imperiali a Parma mentre i denari coniati nelle zecche del Patrimonio saranno del tipo c.d. paparino. Allo stesso modo la produzione delle zecche d’Oltralpe è perfettamente inquadrabile sui piedi tipici della monetazione francese del tempo.

Le emissioni capitoline sono invece quelle raggruppate nelle emissioni del Senato romano, la cui produzione ebbe inizio verso il termine del XII secolo; infatti la zecca di Roma tornerà a coniare a nome dei pontefici solamente a partire dall seconda metà del XIV secolo, in concomitanza con la visita in città di Urbano V nel 1367. Le monete coniate nel periodo 1300-1350 dalla zecca romana sono: denari provisini; denari piccoli; grossi samperini; grossi e mezzi grossi romanini (del gruppo dei c.d. araldici); ducati. Concentrandoci sulle monetazioni databili ai Giubilei del 1300 e del 1350, analizzeremo le coniazioni riportanti i nomi dei pontefici Bonifacio VIII e Clemente VI, nonché le emissioni romane riferibili – più o meno certamente – ai due Anni Santi.

Le coniazioni del Giubileo del 1300 | Prenderemo ora in analisi le emissioni di Pont de Sorgues riportanti il nome di Bonifacio VIII e la monetazione capitolina attribuibile all’anno 1300 circa. Le emissioni riportanti il nome di Bonifacio VIII sono costituite solamente da due tipologie monetarie, ad oggi di grandissima rarità, la cui coniazione iniziò certamente tra il 5 giugno 1300 e l’anno 1301. Le due tipologie sono molto simili sia per tipo che per legende. Sul valore nominale molti studiosi si sono espressi nel corso degli anni, fornendo diverse interpretazioni sul valore specifico delle due monete e sul cambio tra le stesse. Sulla denominazione impiegata ai tempi di papa Caetani ci viene in aiuto il Capobianchi, che riporta come nel 1302 tali monete fossero definite “coronati o nuovi paparini” (“coronatum seu paparinum novorum”). Sempre Capobianchi ci fornisce indicazioni preziose sulla circolazione di queste monete, rendendo noto come il rettore Comitato Venesino ordinò nel 1302 che i nuovi paparini fossero la sola moneta accettata nel suo territorio. Moneta ad uso prettamente locale quindi quella di Bonifacio VIII, e forse è proprio questa la ragione per cui – come si è detto precedentemente – è oggi così difficilmente reperibile.

Le denominazioni odierne delle due tipologie in oggetto non sono univoche. Le maggiori opere sulla monetazione papale impiegano il termine di “grosso” per la moneta maggiore e di “denaro” per quella minore, aggiungendo poi ad entrambe le denominazioni l’aggettivo di “paparino” – di uso documentato negli anni immediatamente successivi al ‘300 in riferimento a tali emissioni.

Altri studiosi sostengono che la moneta maggiore imiti un nominale tipicamente provenzale, nello specifico il “double-coronat”; pertanto quest’ultima sarebbe quindi la denominazione più corretta per la moneta di Bonifacio VIII. Effettivamente il rovescio dell’emissione in argento richiama fortemente quello dei coevi doppi denari coronati di Carlo II d’Angiò, con la croce di simile stile ed accantonata nel II quarto dall’iniziale del nome del sovrano (K nel caso di Carlo, B nella moneta di Bonifacio). Anche da un punto di vista metrologico le due monete sono simili. Resta un interrogativo riguardo al nominale con cui sia possibile identificare la moneta minore, interrogativo che può essere risolto abbastanza agevolmente facendo un paragone tra questa e il cosiddetto “obole-coronat”. L’obolo di denaro coronato venne infatti prodotto da Carlo II d’Angiò con al rovescio una croce senza elementi nei quarti (come nel caso della moneta minore coniata da Bonifacio VIII) e con un peso teorico di poco inferiore al grammo. Anche in questo caso la moneta papale in oggetto aderisce perfettamente al modello provenzale angioino, andando quindi a costituire la metà di un denaro coronato. Il cambio quindi tra la moneta maggiore e quella minore di Bonifacio VIII può essere stabilito nel rapporto di 1:4.

001Doppio denaro coronato | Fig. 1 (es. ill.: NAC 90, 459) | D/: (d) + DOMINI BO PAPE – Busto del pontefice mitrato e con chiavi nella mano destra. R/: (d) + COITAT VENAVSIN – Croce inquartata nel II quarto da B’. Riferimenti bibliografici: Muntoni, 1 (come grosso paparino)
002Obolo di denaro coronato | Fig. 2 (es. ill.: Hervera 70, 6101) | D/: (d) + DN BON PAPE – Testa del pontefice mitrata. R/: (d) + COIT VENAVSIN – Croce. Riferimenti bibliografici: Muntoni, 2 (come denaro paparino)

Analizziamo ora le coniazioni effettuate nei domìni pontifici italiani in concomitanza con il primo anno giubilare. Come si è già avuto modo di sottolineare, l’unica zecca dello Stato della Chiesa operante in Italia nel 1300 era quella di Roma, che produceva moneta in nome del Senato. La moneta piccola coniata nel periodo in esame era il denaro del tipo provisino, ad imitazione di quello della Champagne. Al tempo del primo Giubileo (e/o agli anni immediatamente precedenti o successivi) possono con certezza essere datati i provisini aventi impresso nel campo del diritto un pettine a sette denti, intersecante la legenda con le sue estremità. Tale macro-tipologia viene definita “caprignana” in quanto raggruppa in sé i tipi rinvenuti negli strati archeologici più superficiali nei pressi del castello di Caprignano di Casperia (RI), il cui sito fu abbandonato nel 1307 circa.

I provisini caprignani rappresentano quindi il circolante popolare nella Roma del primo Giubileo, e con ogni probabilità la coniazione spicciola dell’anno giubilare stesso. Si possono distinguere tre tipi fondamentali, il cui ordinamento cronologico è possibile grazie all’analisi del fino contenuto. Il primo tipo è composto dai caprignani aventi un tenore d’argento di 182,35 millesimi (once 2 e denari 2 e 1/2); la croce in campo al rovescio non è inquartata con simboli. Nel tipo successivo l’argento fino scende a 141,95 millesimi (once 1 e denari 21 e 1/2) e la croce nel rovescio reca nel II quarto un’omega degenerata e nel III quarto una stella. Il tipo più tardo è riconoscibile per un’ulteriore riduzione del fino (130,2 millesimi; once 1 e denari 18) e per la presenza di un bisante nel I e nel IV quarto della croce.

003Denaro provisino (caprignano, I tipo) | Fig. 3 | D/: + SENAT’ P Q R – Pettine a sette denti, intersecante con le estremità la legenda, sormontato da S tra un crescente (a destra) ed una stella a cinque punte (a sinistra). R/: + ROMA CAPVD M – Croce patente. Riferimenti bibliografici: Muntoni, 82. CNI, 345
004Denaro provisino (caprignano, II tipo) | Fig. 4 | D/: + SENAT’ P Q R – Pettine a sette denti, intersecante con le estremità la legenda, sormontato da S tra un crescente (a destra) ed una stella a cinque punte (a sinistra). R/: + ROMA CAPVD M – Croce patente accantonata da un’omega nel II quarto e da una stella a cinque punte nel III. Riferimenti bibliografici: Muntoni, 90 var. II. CNI, 421
005Denaro provisino (caprignano, III tipo) | Fig. 5 | D/: + SENAT’ POPVL’ Q R – Pettine a sette denti, intersecante con le estremità la legenda, sormontato da S tra un crescente (a destra) ed una stella a cinque punte (a sinistra). R/: + ROMA CAPVD MVND’ – Croce patente accantonata da un bisante nel I e nel IV quarto. Riferimenti bibliografici: Muntoni, 86. CNI, 399

Analizzata la monetazione minuta, passiamo ora ad una revisione della monetazione argentea prodotta dalla zecca capitolina in occasione dell’Anno Santo 1300. Certamente sono riferibili al primo Giubileo le produzioni di grossi del tipo c.d. samperino, recanti al diritto la figura di S. Paolo ed al rovescio quella di S. Pietro. La raffigurazione dei due Santi è infatti ispirata alle due statue che Bonifacio VIII fece collocare in Laterano, nella Loggia delle Benedizioni. Nel Corpus Nummorum Italicorum i samperini vengono datati al 1265-1303 circa, differentemente il Martinori sostiene che questa moneta non avesse corso prima del pontificato di papa Caetani.

I samperini possono essere suddivisi in due serie fondamentali, distinte dalla presenza o meno di un capitello sotto i piedi dei Santi. Esistono poi ulteriori varianti recanti – su una o ambedue le facce della moneta – le iniziali del Santo oppure simboli di zecca (ad es. un crescente lunare) in legenda. Sono noti tipi ibridi con solamente un Santo stante su un capitello.

006Grosso samperino (tipo senza capitelli sotto alle figure dei Santi) | Fig. 6 (es. ill.: NAC 90, 436) | D/: SENAT P QVE R – S. Paolo stante. R/: ROMANI PRICIP – S. Pietro stante. Riferimenti bibliografici: Muntoni, 66. CNI, 128
007Grosso samperino (tipo con capitelli sotto alle figure dei Santi) | Fig. 7 (es. Ill.: NAC 90, 437) | D/: SENAT POPVL Q R – S. Paolo stante su capitello. R/: ROMAN PRICIPE – S. Pietro stante su capitello. Riferimenti bibliografici: Muntoni, 68. CNI, 135

E’ evidente il forte messaggio religioso trasmesso dai grossi samperini. Bonifacio VIII volle con ogni probabilità ridefinire i soggetti impressi sulle coniazioni capitoline, al tempo fortemente laiche. Un laicismo che mal si accordava all’indizione e alla celebrazione dell’Anno Santo. Ma proprio tra le emissioni tipiche del Senato abbiamo un’emissione legata a papa Caetani, senatore a vita dal 1297, e di conseguenza sicuramente circolanti (se non addirittura emessi) durante il Giubileo del 1300. Si tratta di un mezzo grosso al tipo romanino recante lo stemma Caetani (senza scudo) al diritto, sotto le zampe di quel leone – simbolo del popolo di Roma – che durante il governo di Brancaleone degli Andalò fece la sua prima comparsa in moneta .

008Mezzo grosso romanino | Fig. 8 (es. ill.: NAC 90, 406) | D/: + SENATVS P Q R simbolo bisanti a trifoglio capovolto – Leone andante a sinistra, con muso di profilo. In esergo stemma Caetani senza scudo. R/: ROMA CAP MVNDI – Roma assisa con globo nella destra e ramo di palma nella sinistra. Riferimenti bibliografici: Muntoni, 25 – 25/2. CNI 158–165

Notiamo come la zecca capitolina coniò due tipologie monetali per il papa/senatore Bonifacio VIII. Se il mezzo grosso romanino si inserisce perfettamente nel solco della tradizione, altrettanto non si può dire a riguardo dei samperini. A riprova di come quest’ultima tipologia fosse più frutto (e mezzo) della propaganda teocratica del Caetani che moneta di reale utilità, basta domandarsi quale fosse la ragion d’essere di una moneta con valore intermedio a quello delle monete normalmente coniate e/o circolanti a Roma. Altri elementi degni della nostra attenzione sono la totale mancanza nel samperino del rimando all’autorità emittente e addirittura della zecca, quella “Roma caput” mundi centro della Cristianità (e per Bonifacio VIII quindi anche dell’Universo).

Proprio per la mancanza di riferimento all’autorità senatoria lo studioso si trova in imbarazzo nel definire i samperini monete senatoriali. Ma altrettanto imprecisa sarebbe la definizione di emissioni pontificie. E come definire quindi il samperino? Forse bisogna guardare indietro, non per fare nostro il vocabolario di quegli studiosi che – pur di inserire queste particolari emissioni in una “classe” – inventarono termini non documentati nelle fonti e pertanto d’invenzione apposita (e, quindi, comodi per le proprie specifiche necessità) ma per prendere atto proprio di quella non-appartenenza dei samperini, né alla classe “papale” né tantomeno a quella “senatoriale”, che troviamo nelle fonti. Già la definizione, tutta di matrice popolare, di samperino definisce queste monete in una maniera che ci pare più che sufficiente.

(leggi qui la seconda parte)