L’analisi di una ventina di denari fu abbastanza deludente. Il tenore di argento variava da un minimo del 52% ad un massimo del 73,9%. Chi fece l’analisi ci fornì anche una spiegazione di risultati così inattendibili.
Passando dalla formazione della lega alla lastra pronta per il conio, si ha un arricchimento del tenore di argento, poiché la lastra prima del taglio dei tondelli da coniare viene « sbiancata » mediante trattamento con sostanze chimiche che fanno sciogliere il rame ossidato degli strati superficiali. L’arricchimento in argento è notevole per monete di piccolo spessore, come i denari, nei quali lo strato superficiale, rappresenta una percentuale importante dello spessore totale. Ne consegue che i dati ottenuti col metodo XRF (fluorescenza ai raggi X), non rappresentano la composizione media della moneta ma la composizione dello strato superficiale (anche se la profondità di queste analisi è di 30 micron).
Nelle zecche antiche e in quelle nascenti nel XII secolo, era in uso, anche per rendere ben accetta la moneta, l’imbianchimento del numerario non era una frode, era un abbellimento. Consisteva appunto nel riscaldare i tondelli in lega di rame/argento, il riscaldamento ossidava i glomeruli di rame superficiale, il successivo decapaggio eliminava gli ossidi, lasciando una superficie ricca di argento e spugnosa. La successiva coniazione, esercitando una fortissima pressione sul tondello, spianava tutto e dopo la pulizia, la moneta aveva un gradevolissimo aspetto argenteo.
Con l’amico Gino Terzago e la disponibilità di Giacomo Astengo, abbiamo pensato che solo un’analisi distruttiva della moneta sarebbe stata in grado darci un’informazione più corretta del titolo. La somma chiesta per un’analisi privata fu proibitiva, bisognava tentare (nell’attesa di tempi migliori) una classificazione in base agli elementi conosciuti e dalle grandi informazioni che si potevano trarre dall’enorme numero di denari esaminati circa 2000. Ma, cos’era questo benedetto denaro che uscì dalla neonata zecca genovese?