I preparativi per la battaglia contro Massenzio erano completati e, nella notte tra il 27 e 28 ottobre del 312 avvenne il sogno rivelatore: Costantino ebbe la visione in cui il Dio dei cristiani lo incoraggiava alla battaglia e il giorno seguente l’imperatore fece apporre il monogramma di Cristo sugli scudi delle sue truppe; la vittoria presso il Ponte Milvio fu schiacciante e Massenzio cadde in battaglia. Le testimonianze storiche che i letterati antichi ci hanno tramandato riferiscono che Costantino, entrato vittorioso in Roma, non salì al Campidoglio per sacrificare a Giove Ottimo Massimo, pratica secolare in cui tutti i generali e imperatori vittoriosi si erano cimentati per ringraziare e identificarsi con la massima divinità statale romana. L’Editto di Milano, promulgato da Costantino e Licinio nel 313, sanciva una netta vittoria per i cristiani e le altre religioni che erano presenti nel tessuto sociale dell’Impero poiché riconosceva la libertà di culto e soprattutto che le chiese cristiane poterono organizzarsi anche sotto il punto di vista economico per aiutare gli orfani e le vedove, cosa che prima dovevano fare solo di nascosto poiché erano perseguiti dalle leggi romane.
Statua colossale di Costantino (source: Musei Capitolini)Nel 319 Costantino emanò una legge che vietava l’attività dell’aruspicina privata, antichissima pratica religiosa italica, e le pene per chi infrangeva la legge erano pesantissime: la pena di morte sul rogo per l’aruspice e l’esilio su un’isola e la confisca dei beni per chi aveva voluto consultarlo (“Codice Teodosiano” IX, 16, 1); invece nel 321 circa l’imperatore riconobbe il culto pagano come esistente di diritto poiché soprattutto in Italia e a Roma una buona parte della popolazione era di fede pagana, come quasi tutti i componenti del Senato.
Agli ultimi anni di vita di Costantino (335-337 circa) è datata l’epigrafe di Spello (CILX, 5265) dove è trascritta una lettera dell’imperatore ai cittadini di Hispellum: “Infatti abbiamo concesso agli abitanti di Spello il vocabolo eterno e il nome venerando del nostro appellativo, in modo tale che la città predetta si chiami in futuro Flavia Costante; nel suo grembo vogliamo anche che sia costruita come opera magnifica anche un tempio della gente Flavia, in altri termini della mia famiglia, come voi desiderate, anteposta però a questa osservazione: il tempio dedicato al nostro nome non sia contaminato dalle frodi della contagiosa superstizione”; dalla parte finale di questo scritto è esplicito il riferimento al divieto dei sacrifici pagani. Qui si osserva una certa ambiguità di Costantino verso la religione, dettata dal divieto del vecchio culto pagano, ma contrapposta alla venerazione, tramite il tempio, della famiglia imperiale; tale ambiguità può essere risolta dal fatto che la famiglia imperiale, e l’imperatore in primis, erano elevati a esseri soprannaturali, semidivini, e ciò portava alla manifestazione religiosa del popolo verso gli imperatori.
Rilievo raffigurante il dio Sole sull’Arco di Costantino (source: web)