(di Michael Matzke, courtesy “CoinsWeekly”, traduzione italiana di Roberto Ganganelli) | Raffigurante lo stemma dell’antipapa Felice V (al secolo Amedeo VIII di Savoia, 1383-1451) con chiavi, tiara e infule, nei fondi dell’antica zecca elvetica di Basilea si trova un conio del tutto particolare, che testimonia uno dei passaggi più complessi nella storia del potere pontificio. Il conio, trasferito assieme ad altri materiali presso l’Archivio di Stato di Basilea nel 1905, risale al periodo 1440-1449, ossia agli anni intercorsi dall’elezione dell’esponente di casa Savoia da parte del Concilio riunito nella città svizzera e la sua volontaria abdicazione, in accordo con il nuovo papa “romano” Niccolò V Parentucelli (1447-1455) che lo convinse ad abbandonare la tiara il 7 aprile 1449, quando Amedeo si dimise spontaneamente “per favorire l’unità dei cristiani” e porre fine allo scisma in atto.
In parte corroso, il conio riporta la legenda FELIX*P[a]P[a]* | *QVINTVS tra due cerchi di perline interrotti dallo stemma sabaudo con chiavi decussate, tiara e infule. Ad esso, inoltre, non corrisponde nel fondo della zecca di Basilea alcun conio di rovescio. Pubblicato per la prima volta da Ernst Alfred Stückelberg nella “Rivista Italiana di Numismatica” del 1908, venne identificato come conio da utilizzare per la produzione di gulden in oro e, per come si presenta a livello di usura e di segni presenti, è stato certamente utilizzato per battere monete anche se, ad oggi, di questa tipologia non è conosciuto alcun esemplare (e probabilmente non lo sarà mai…).
Dopo lo scisma consumato a Basilea nel 1431, all’elezione di papa Eugenio IV Della Rovere (1431-1447), l’allora duca di Savoia Amedeo VIII – che nel frattempo aveva abdicato al trono ritirandosi con pochi cavalieri nel castello di Ripaille – si trovò eletto dal Concilio elvetico non soltanto per la sua “pietas” ed il forte senso religioso, ma anche per la sua buona salute e la sua influenza, nella speranza che potesse aiutare la fazione riunita a Basilea a prevalere nella controversia con Roma. Tuttavia, come sappiamo, il Savoia non era destinato a non avere successo.
Federico III d’Asburgo (1440-1493), da poco eletto al trono di Germania, si mantenne prudentemente neutrale nel conflitto tra Roma e Basilea sulla questione papale, come il suo predecessore ed i suoi grandi elettori; soltanto il gran ciambellano imperiale Corrado di Weinsberg (1370-1448), in quanto protettore del Concilio, e il margravio del Baden-Hachberg-Rötteln si schierarono apertamente dalla parte degli scismatici svolgendo importanti funzioni. In particolare, Corrado godeva tra i propri privilegi quello di far coniare gulden in oro presso la zecca di Basiela.
Il giorno seguente l’incoronazione, ci ricordano le cronache, Felice V, una volta celebrata la messa mattutina, donò ad un gruppo di prelati “due monete d’argento e una moneta d’oro” ciascuno (“duo argentei nummi et unus aureus”). E’ ragionevole supporre che si trattasse di monete coniate proprio a Basilea, tesi supportata anche dalla raffigurazione di esemplari all’epoca circolanti e prodotti dall’officina monetaria della città, un rappen e uno stäbler (mezzo rappen) che si ritrovano su di una campana fusa in onore del nuovo pontefice, raffigurati assieme allo stemma papale.
Si può dunque sostenere che le monete in oro (gulden) distribuite dall’antipapa Felice V vennero certamente coniate dalla zecca imperiale di Basilea, soprattutto considerando il fatto che il proprietario dell’officina, il già citato Corrado di Weinsberg, fungeva da deputato reale e da protettore secolare del Concilio. Come seconda autorità universale, assieme all’imperatore, il pontefice aveva del resto il diritto di coniare monete celebrative a proprio nome. Così venne realizzato un conio di dritto, e per il rovescio venne probabilmente utilizzando un conio con la protettrice della città, la Vergine Maria, madre del Salvatore, simile se non identico a quelli impiegati per le ultime monete a nome del re Alberto II (1438-1439) e per i primi gulden del successore Federico III.
Più di settant’anni dopo, nel 1512, l’allora pontefice Giulio II Della Rovere (1503-1513) ribadì ancora una volta la “regalia” grazie alla quale i cittadini di Basilea, che avevano preso parte alle campagne vittoriose contro Luigi XII di Francia (1498-1515), avevano diritto di coniare proprie monete in oro. Già nello stesso anno, non a caso, gulden a nome di Giulio II vennero battuti dall’officina monetaria della città che tuttavia, per non rischiare, si rivolse anche all’imperatore in modo da avere conferma del privilegio di coniazione, che venne effettivamente accordato nel 1516.
Alla luce del fatto che l’antipapa Felice V non riuscì a prevalere su Roma, anzi si sottomise alla volontà della Sede Apostolica, non sorprende che ad oggi non si conoscano esemplari dei suoi gulden “cerimoniali” coniati a Basilea. E c’è da credere che anche i pochi prelati omaggiati delle monete non abbiano esitato a cambiarle e a farle rifondere non appena divenne chiaro che si trattava di esemplari “del papa sbagliato”, destinato a soccombere. Ciò che i collezionisti e gli studiosi di numismatica di oggi considererebbero delle eccezionali rarità, infatti, all’epoca costituivano un pericoloso “corpo del delitto” politico-ecclesiastico.