(di Francesco Di Rauso) | Su una splendida fusione settecentesca siciliana campeggia, al rovescio, un pensiero del principe di Biscari Ignazio Paternò Castello alla memoria di un “amico” scomparso, Vito Maria Amico Statella, storiografo regio, benemerito ed erudito tra i più noti nel mondo dell’archeologia del ‘700. In Sicilia come in Campania fu notevole l’interesse per la storia antica e la ricerca in campo archeologico e, in questo periodo in pieno fervore culturale, visse Vito Maria Amico Statella, figlio di Vito Amico e Anna Statella, entrambi provenienti da nobili famiglie catanesi. Vito Maria (Catania 1697-1762) si dedicò da giovanissimo allo studio e a 16 anni entrò nel monastero di San Nicolò all’Arena di Catania; erano gli anni della Guerra della Quadruplice Alleanza e la Sicilia era sconvolta da combattimenti che vedevano protagonisti Spagnoli, Sabaudi ed Austriaci per il predominio di una delle isole più strategiche e ricche del Mediterraneo.
All’età di trentaquattro anni, Vito Maria divenne priore della comunità monastica siciliana e nello stesso tempo mostrò tutto il suo interesse per la conoscenza della storia; era solito frequentare luoghi dove avrebbe potuto reperire notizie sulla storia siciliana, raccoglieva campioni di lava dell’Etna, fossili nel territorio di Militello, ceramiche e monete antiche che acquistava durante i suoi viaggi a Napoli e a Roma che poi consegnava al Museo di Antichità greco-romane accanto alla Biblioteca che lui stesso aveva fondato. Divenne rettore della cattedra di Storia civile all’Università di Catania e fondò la prima biblioteca pubblica catanese.